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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
24/10/2018
Giorgio Canali
Le interviste di Loudd
È appena uscito “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”, che ha interrotto un digiuno creativo durato sette anni e che ce lo ha restituito ad un livello di forma pressoché inalterato (alcuni dicono che faccia sempre lo stesso disco, io semplicemente sostengo che non ne abbia mai sbagliato uno!). Di questo e di altro abbiamo parlato nella chiacchierata il cui resoconto trovate qui sotto. (A cura di Luca Franceschini)

Con Giorgio Canali sono quasi sempre in disaccordo, che si parli di politica, di religione o della realtà in generale. Semplicemente, abbiamo idee differenti su tutto. Ma la verità è che io per Giorgio Canali nutro un’ammirazione sconfinata, superiore a quella che ho per tanti altri artisti la cui produzione amo comunque alla follia. La ragione è semplice: Giorgio Canali è uno autentico, crede in quello che fa e lo fa bene. E quando si hanno davanti artisti così, tutto il resto passa in secondo piano. Anche le bestemmie, che personalmente non digerisco e che nel suo caso, stranamente, non mi hanno mai dato fastidio. Hanno dato probabilmente fastidio ad altri, però, visto che recentemente è stato multato proprio per questo, al termine di un concerto. È uno degli episodi più divertenti di un’intervista veramente piacevole, che Giorgio mi ha concesso al telefono qualche giorno fa e dove è apparso decisamente sereno e rilassato, smentendo un po’ l’immagine burbera e scontrosa che spesso gli viene appiccicata addosso (e che in parte corrisponde alla realtà, anche se, sotto sotto, rimango convinto che si tratti di una persona di buon cuore).

Di ragioni per essere contento, ad ogni modo ne ha: è appena uscito “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”, che ha interrotto un digiuno creativo durato sette anni e che ce lo ha restituito ad un livello di forma pressoché inalterato (alcuni dicono che faccia sempre lo stesso disco, io semplicemente sostengo che non ne abbia mai sbagliato uno!). Di questo e di altro abbiamo parlato nella chiacchierata il cui resoconto trovate qui sotto.

 

 

Innanzitutto, complimenti per il disco, davvero bellissimo!

Ti ringrazio! Me lo merito!

Eh certo! Direi proprio di sì! Anche se bisogna dire che io sono un tuo fan da parecchio tempo, quindi forse non faccio testo… comunque sì, hai tirato fuori un lavoro splendido! Una curiosità: l’ultima volta che ti ho intervistato, era prima di un tuo concerto al Circolone di Legnano, ti avevo chiesto un po’ del disco nuovo e mi avevi detto che proprio il giorno dopo sareste entrati in studio per registrare un po’ di idee…

Quando è stato questo?

Guarda, secondo me era il 2013…

Veramente? [Ride NDA]

Eh già, non era ancora uscito il disco di cover per cui…

Sì, già, potrebbe essere… in effetti abbiamo provato a registrare qualcosa ma poi non è venuto fuori un cazzo! O meglio, di musica è venuta fuori un sacco di roba però poi io non avevo un cazzo da dire quindi è rimasta lì. Poi alla fine su questo disco un paio di pezzi da quelle sessioni ci sono: “Piove finalmente piove” e mi pare “Mille non più di mille”. Ovviamente mi riferisco alla parte musicale perché poi i testi sono venuti fuori tutti a febbraio, quando mi sono messo a scrivere davvero.

Ho letto infatti l’intervista che hai rilasciato a Rumore, dove dicevi di aver avuto un’ispirazione improvvisa e che ti è venuto fuori tutto in poco tempo: cosa c’è dietro questa creatività ritrovata?

Sai, ci sono sempre un mucchio di fattori scatenanti. Il primo è senza dubbio campare, perché altrimenti come si fa [ride NDA]? Poi l’urgenza di non sentirsi più chiedere dopo i concerti: “Ma quando cazzo lo fate uscire un disco nuovo?” che è una roba che rompe piuttosto i maroni, anche perché alla fine non sai mai cosa rispondere e ne avevo fin sopra i coglioni di dire: “Non ho un cazzo da dire, quindi non esce niente!”. E poi ho cambiato casa, mi sono trovato in un altro universo, parallelo a quello padano in cui vivevo, da Ferrara mi sono spostato a Correggio che è un altro buco del culo del mondo in Padania; il fatto di cambiare casa, di cambiare tutto, ti dà degli stimoli, alla fine è normale: l’apparenza intorno cambia e trovi il modo e la maniera di dire le cose. Tra l’altro sono stato molto stupito da questo, che nel giro di due mesi c’era tutto, ma proprio tutto, in maniera quasi definitiva. Ho giusto fatto due o tre ritocchi qua e là. Evidentemente avevo bisogno di questi piccoli incentivi (che poi sono grossi!) e alla fine è venuto fuori così.

A livello musicale penso sia il tuo disco migliore, se non altro a livello di produzione, suona veramente da Dio!

Sì, soprattutto ho lasciato fare un po’ agli altri, che quando faccio io viene fuori sempre un casino terrificante [ride NDA]! Molto caratteristico, se vuoi, però… [ride NDA]. Tutta la fase della post-produzione l’ho lasciata curare a Diego Piotto che è bravissimo, quindi il mastering non me lo sono fatto io come al solito ma l’ho lasciato fare a qualcuno che è stato molto più morbido di come posso essere io quando cerco di decidere volumi e suoni nel risultato finale. Poi c’è anche il fatto che sono diverse sessioni di registrazione, come ti dicevo prima, e alla fine per uniformare devi stare un attimo più attento a non esagerare in un senso o nell’altro. Nel momento in cui non hai un’unica sessione di registrazione e quindi un suono globale simile e gestibile nella stessa maniera, sei obbligato un po’ a pignoleggiare, come si dice, quindi è normale. Il mix comunque è fatto in casa, non è che sia sta gran roba, eh!

È spontaneo, certo, però trovo che anche nella durezza, in un pezzo come “Emilia parallela”, che ha un riff che ricorda un po’ le cose di Lazlotoz, è un pezzo pulito nella potenza, non so se si capisce…

È un riff che potrebbe essere quello di una canzone dei Noir Desir; quello è il mio mondo musicale, me lo porto dentro e non c’è niente da fare, ogni tanto mi esce dalle dita qualcosa che suona esattamente così. Ci ho vissuto cinque anni con loro, era il mio gruppo ancora prima dei CSI, nonostante io fossi solo il loro fonico ma era come una famiglia, sono stati cinque anni di vita intensissimi, 150 giorni l’anno insieme, giorno e notte o anche peggio… me la porto dentro quella famiglia lì, non c’è niente da fare!

Immagino che te l’avranno chiesto un po’ tutti ma il titolo è comunque interessante: c’è una continuità diretta col lavoro precedente visto che “Orfani del cielo”, il brano da cui hai tirato fuori il verso con cui hai intitolato l’album, era quello che chiudeva “Rojo”. Però scusami, te lo devo chiedere: perché dici sempre che fai canzoni di merda?

Ma perché è bello essere un po’ autoderisori! Se non autoironici, almeno autoderisori! Prendersi per il culo è fondamentale! C’è così tanta gente che si prende troppo sul serio, che cerco di prendermi per il culo da solo, è una reazione normale a questo mondo di edonisti che sono convinti di essere i più bravi! Io ne sono convinto, di essere bravo ma non è che lo dica ad ogni frase. Di testi come i miei non ce sono in giro tanti: qualche amico li scrive, però pochi. O qualche “mito”, al massimo. Di questo sono consapevole però non è che lo vada a sbandierare ogni volta ai quattro venti, no? Quindi meglio dire che le tue canzoni fanno cagare, che sono canzoni di merda, piuttosto che dire: “Questo pezzo è bellissimo, andiamo!” [Ride NDA]

E invece la pioggia? È interessante questa cosa di metterla in tutti i testi: te ne sei accorto a posteriori, che era così oppure è una cosa che hai deciso a tavolino?

L’ho proprio messo apposta perché il titolo esisteva già prima dell’album. In ogni canzone doveva piovere per forza; certo, in alcune piove un po’ forzatamente, non è che ci fosse bisogno della pioggia però doveva esserci. Come “Rossofuoco”, il disco del 2002: in ogni canzone c’era il fuoco, c’era qualcosa che bruciava, qui c’è qualcosa che si spegne, c’è l’acqua, c’è la pioggia.

E che cosa rappresenta, questa pioggia? In alcune canzoni sembra quasi liberatoria…

Liberatoria come può essere liberatoria una bomba atomica. È un po’ un riecheggiare quella sorta di mito e culto della bomba atomica che c’era durante la Beat Generation, hai presente? Una cosa del tipo: “Vieni e distruggi tutto quanto!”. È un nichilismo cosmico, una pioggia che se arriva sotto forma di diluvio universale sono cazzi per tutti, no? Liberatorio ma direi in modo definitivo [ride NDA]!

Ho letto diverse recensioni di questo disco che puntano molto sull’aspetto politico, sottolineando come, in un’epoca come la nostra che sembra adagiarsi molto sul disimpegno, Canali continua invece a scrivere cose importanti. È una cosa senza dubbio vera ma ci vedo e sento molto di più: non liquiderei questi testi semplicemente come “testi politici”, mi sembra che ci siano dentro tutte le dimensioni dell’umano…

È così ma perché la gente dimentica che l’amore, fondamentalmente, è politica. Quando patisci o vivi delle situazioni intime, interne, forti, alla fine è difficile separarle da quello che succede fuori. Un giochino che faccio spesso, l’ho fatto spesso, in tutti i miei album, in parecchie mie canzoni, è quello di paragonare le mie sfighe personali, il mio stare male allo stare male del mondo, dove c’è veramente gente che ha ragione di lamentarsi. Non sono certo io quello che ha ragione di lamentarsi anche se magari, quando ti viene voglia di tagliarti le vene, stai malissimo. È normale quindi passare dal dentro al fuori in un attimo anche perché il fuori ti invade. Poi però ultimamente riesco anche a stare piuttosto staccato da quella che è la “mediatizzazione” delle cose: ho un po’ limitato il mio uso di internet e cerco di non passarci tutta la vita dentro, anche se so che i Social servono tantissimo in questo gioco di promozione di te stesso…

Hai appena fatto una diretta Facebook del tuo concerto a Bologna, infatti…

Beh, quello è normale! Però capito, nel momento in cui non leggi più i giornali (perché tanto la carta stampata è vecchia prima ancora di uscire in edicola), la tv non la guardo, perché ho solo il cavo attaccato con i Network tipo Netflix, Prime, quelle cose lì, il telegiornale mi capita di vederlo sono quando sono in qualche pizzeria cafona, di quelle che ti sparano Studio Aperto a palla mentre stai mangiando e ti girano anche un po’ i coglioni, no? Però, anche se sono un po’ avulso da quello che mi succede attorno, il mondo esterno arriva comunque, magari di straforo, magari di rimbalzo, ma arriva, entra nella tua vita. E credo quindi che uno sguardo a quello che sta succedendo, distaccato e disinformato come il mio, sia più onesto di tanti che sono informati ed attaccati alla notizia. Anche perché purtroppo il mondo dell’informazione è fatto di truffe: vedi quello che ti vogliono far vedere, sai quello che ti vogliono far sapere e se sei disattento, paradossalmente, riesci a cogliere la verità molto di più!

Senti, credo che un po’ c’entri con quello che hai appena detto: la mia canzone preferita del disco è “Undici”, che immagino diventerà presto uno dei tuoi inni, soprattutto dal vivo…

Guarda, per me è la canzone perfetta. Credo non mi sia mai uscita una canzone così.

Mi piacerebbe che me ne parlassi un po’. A cominciare magari dal titolo, perché non ho davvero capito a che cosa si riferisca…

[Ride NDA] È semplicemente l’ultimo pezzo che abbiamo scritto, ci siamo abituati a chiamarla così e alla fine non l’abbiamo più modificato. Verso la fine gli altri mi dicevano: “Dai, bisogna trovargli un titolo!” e io rispondevo: “Non me ne frega un cazzo, rimane così! Vedrai che qualcuno ci chiederà perché!”. E infatti [risate]

Mi sembra che sia un brano dove hai messo dentro un po’ tutta la tua summa poetica, c’è la tua proverbiale incazzatura… ci sono dentro tantissime cose, insomma…

È esattamente la cosa che andava scritta per mettere dentro tutte le stronzate che mi erano venute in mente e che erano rimaste fuori dalle canzoni [risate]! Seriamente, è andata proprio così! Ho scritto una sorta di lettera a la “Caro amico ti scrivo” di Lucio Dalla (anche se poi è una cara amica, è una persona di sesso femminile quella a cui mi rivolgo io) e con quella tecnica lì ho buttato dentro tutte le porcherie che erano rimaste fuori dalle altre canzoni. C’era ad esempio questa frase che mi girava in testa: “Gente con 4G e un’ignoranza da Medioevo”. Sono tutte le balle di internet, ovvero: “John Lennon fatto saltare in aria dalle Brigate Rosse a Sarajevo”. Abbiamo anche fatto una t-shirt, sai? La venderemo ai concerti anche se mi sa che non la vorrà nessuno!

Io te la compro sicuramente! È molto iconica quella frase, in effetti, devo averla sentita da qualche parte in qualche articolo che ho letto…

È mia, l’ho detta io!

Certo, la frase così formulata sì. Ma mi sembra di avere letto una qualche lamentela sul fatto che ci fosse gente che non era in grado di contestualizzare la figura di John Lennon e le circostanze della sua morte…

Ah beh, chiaro! Ma del resto, se chiedi oggi ai ragazzini chi ha messo la bomba alla stazione di Bologna, l’80% ti dice che sono state le Brigate Rosse! C’è quel tipo di disinformazione, cavalcata poi dalle scie chimiche e da tutte quelle cose che puoi scrivere sulla rete, che hanno valenza zero ma che comunque ci sono. Come il gioco della conquista della luna: anche se lì non c’è una presa per il culo, lì il mio dubbio è serio! Devono dimostrarmelo che qualcuno ci è veramente andato sopra! Con la tecnologia dell’epoca era veramente improbabile però poi boh, escono film come “Apollo 13” dove vogliono convincerti che in fondo anche con l’artigianato si riescono a fare le cose per cui… per me anche quella missione lì era farlocca, figurati!

Senti ma la roba dei pescecani? Mi sembra un verso splendido ed il modo più bello per concludere un pezzo così…

Quella è una frase che è fuori dal 1986. Era una mia canzone dell’epoca che diceva: “Lascia che torni l’estate vedrai, torneranno i pescecani, stai distante dal mare e accendi la tv.”. Non me la sentivo di dire: “Accendi la tv” per cui siccome era una lettera ad una persona cara, mi sembrava che “Pensami un po’ di più” fosse più adatta.

Quindi in pratica è una roba che hai ripreso dai cassetti della memoria…

Sì, certo, è un pezzo strano, molto obliquo, che non era mai stato registrato prima e la sua chiusa mi sembrava perfetta per un brano come “Undici”, che è un collage di immagini strane, dementi, che erano rimaste fuori dal disco.

Hai iniziato il tour venerdì da Bologna: com’è sta andando per adesso?

Beh sai, abbiamo fatto solo due date per ora, comunque bene, sono state entrambe molto belle, non c’è dubbio che si sia trattato di due bei concerti. È molto faticoso, però: abbiamo deciso di suonare tutto l’album, cosa che non facevamo da un bel po’ di tempo a questa parte. Forse solo per il disco di “Precipito” [più noto come “!” e uscito nel 2004 NDA] avevamo tutte le canzoni in scaletta, sicuramente in quelli successivi no, ne suonavamo al massimo sette…

Beh, “Rojo” credo che, tra una cosa e l’altra, tu l’abbia suonato tutto, anche se non in un concerto solo…

Esatto, non in un concerto solo. Anche se ci sono delle cose, tipo “Orfani dei cieli”, che avrò suonato una volta da solo e una volta col gruppo, non di più. Nel prossimo “Rossosolo” però voglio metterla dentro perché a questo punto è fondamentale…

Bello! Un po’ più di pezzi anche da “Tutti contro tutti” sarebbe bello sentirli. È uno dei tuoi dischi più belli ma anche quello più sacrificato dal vivo…

Adesso abbiamo messo su “Verità, la verità” che era da una vita che non facevamo. Poi che cosa c’è in quel disco?

Beh, da solo fai spesso “Tu non dormi” e “Falso bolero”, poi c’è “Alé Alé” …

No, quella adesso l’abbiamo tolta dalla scaletta, così come “Mostri sotto al letto”, perché ci siamo rotti i coglioni [ride]! Anche “Tutti gli uomini” abbiamo deciso che basta! Le donne che piangono ci danno fastidio, quindi non la suoniamo più [risate]!

Il pubblico ha risposto bene?

Sì, certo, c’era un mucchio di gente, al Locomotiv soprattutto era bello pieno, poi magari ci sarebbe entrata anche più gente facendocela entrare con lo scalpello e il martello… in realtà sai cosa è stato bello? Il fatto che ci fosse pochissima gente che cantava i pezzi! Il disco è uscito la mattina, quindi a parte qualche fanatico che si era imparato le parole a memoria il giorno stesso, gli altri erano zitti [ride]

Preferisci che la gente non canti, dunque?

Sinceramente un po’ mi dà fastidio quando c’è chi canta al mio posto: io sono pagato per farlo, perché dovete farlo voi che pagate il biglietto? È un po’ una sensazione strana, inoltre. È quel tipo di pudore che si ha… De Gregori è un po’ così, no? Un po’ come Bob Dylan, che canta tutte le sue robe fuori tempo così non gli cantano dietro…

Se devo dirti la verità, anche tu un po’ lo fai: ricordo anzi che la prima volta che ti vidi rimasi colpito da questo fatto, che era difficile cantare assieme a te i pezzi…

[Ride] Una di quelle che è proprio difficile cantare diversamente è “Nuvole senza Messico”, perché ci sono troppe parole in fila ed è difficile spostarle! Adesso però sono riuscito a buttare fuori tempo anche quella, così siamo a posto! Sono passati nove anni ormai da quando è uscito quel pezzo ma finalmente ce l’ho fatta!

Senti ma, a proposito di live, mi spieghi perché continui a tirare le testate al microfono tra un pezzo e l’altro? Ho sempre paura che ti spacchi la testa…

Perché fa boom! È come un colpo di cassa e poi ti sfoghi tantissimo quando lo fai, provare per credere! Ci picchi dentro, fa boom e hai detto l’ultima, è come tirare una bestemmia urlando però senza incorrere in sanzioni. A proposito, sono stato multato veramente, sai?

Ma va!

Sì, guarda. Ad Azzano Decimo, durante un concerto che ho fatto ad aprile. Hai presente “Lettera del compagno Laszlo al colonnello Valerio”?

Certo!

Hai in mente che c’è una bestemmia nel finale, no? Ecco, sono stato multato per quella! Neanche per tutte quelle che ho tirato in mezzo, tra un pezzo e l’altro! Però c’erano lì i carabinieri, che hanno registrato. Ma sicuramente c’è stato qualcuno che li ha sobillati proprio su quel pezzo lì perché durante le pause ne avrò dette almeno dieci ma non me le hanno mica contestate! Però sai, era un festival organizzato con soldi pubblici, da una giunta di “sinistra”, per così dire, per cui la controparte leghista deve aver mandato i carabinieri a registrare proprio quella canzone lì. Non c’è altra spiegazione, altrimenti!

Senti, per concludere mi piacerebbe che mi facessi una battuta su Vasco Brondi: in questi giorni ha annunciato che chiuderà il progetto de Le luci della centrale elettrica e stavo pensando che alla fine gran parte del merito del suo successo è proprio tuo. Con la tua chitarra e a livello di produzione gli hai dato davvero un’impronta decisiva…

Solo sulle prime cose però! Comunque sì, c’è il fatto che io e Vasco siamo molto amici e che il disco lo conoscevo a memoria già prima che uscisse perché ho partecipato a tutta la fase dei provini e di “consulenza esterna”, diciamo così. Appena i pezzi nascono gli do dei consigli che puntualmente lui non segue mai [risate]! Infatti bisogna che una volta tanto gli dia dei consigli diversi, sbagliati, così magari fa la cosa giusta [risate]! Comunque, tanto di cappello a questa scelta di Vasco, che mi ricorda un po’ quella che abbiamo fatto noi all’epoca dei CSI, di chiudere un marchio all’epoca conosciutissimo, per aprirne uno sconosciuto, alla faccia della Universal, che ci avrebbe mandato a calci in culo sulla luna, per quella scelta! È una cosa per cui lo stimo tantissimo: c’è stato tutto questo vociare su Le luci della centrale elettrica per cui adesso vediamo, vediamo se chiude questa storia qui e ne apre un’altra, che è come dire: “Chi mi segue merita la mia attenzione, gli altri fatti loro!”. È un grande, insomma!