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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
21/06/2021
Mèsa
Le interviste di Loudd
Sono passati quattro anni da “Touché”, un disco che Mèsa ha portato in lungo e in largo in giro per l’Italia, arrivando anche su palchi importanti (tra gli altri, l’avevamo vista a Milano assieme a The National e Franz Ferdinand). Non ci fosse stata una pandemia, il suo secondo disco sarebbe uscito già da un po’. Rischi calcolati, in anni di sempre maggiore accelerazione, dove rinunciare anche per poco ad una visibilità costante, potrebbe portare a contraccolpi inattesi sulla carriera di chiunque.

Federica però non è rimasta a guardare: ha pubblicato due singoli, “Animale” e “Romantica”, parte di un processo di avvicinamento ad un secondo disco che si rivelerà decisivo nel capire che direzione prenderà il suo cammino. Ed una qualche indicazione l’abbiamo già avuta: c’è molto più Pop, molta più immediatezza, in queste canzoni, laddove quelle dell’esordio si muovevano dentro strutture più elaborate ed erano debitrici, in maniera quasi anacronistica, ad un chitarrismo dalle radici saldamente piantate nei Nineties.

In “Stomaco”, l’ultimo brano finora ad essere pubblicato, c’è una certa leggerezza sognante, coi Synth che aprono molto a livello melodico e un ritornello dalle enormi potenzialità radiofoniche, che esplode nel mezzo del brano, segno indelebile che l’artista romana ha davvero aumentato esponenzialmente le proprie abilità di scrittura.

Se le premesse sono queste, questo autunno i tipi di Bomba Dischi avranno di che essere felici. Noi nel frattempo abbiamo chiamato Mèsa al telefono e ci siamo fatti raccontare qualcosa del nuovo brano, dell’imminente album e di quello che succederà quest’estate.

Innanzitutto complimenti per “Stomaco”, trovo che al momento sia il migliore, dei tre singoli che hai fatto uscire…

Ti ringrazio! Lo pensano in tanti, sta piacendo molto e sinceramente non me l’aspettavo, perché dal punto di vista del sound forse è quello meno Pop…

Rispetto a quel che è già uscito e a quel che deve uscire, come lo contestualizzeresti?

Credo che sia la prima canzone che ho scritto per questo disco, per cui funziona un po’ da ponte tra il mio materiale vecchio e quello nuovo. C’è un tema piuttosto rock, incentrato sulla chitarra e ispirato in un certo senso a Mac De Marco, un artista che stavo ascoltando parecchio in quel periodo. Parla principalmente del riconoscersi prima di conoscersi, di quando si incontra qualcuno e si sente nella pancia quella cosa per cui non si capisce bene se sia paura o felicità, è tutto un po’ un argomentare rispetto a questo, a partire sia da cose che mi sono successe, sia da episodi che mi hanno raccontato e che mi hanno ispirato. Rispetto alle altre due, almeno per me, era quella più ostica da ascoltare però tutti mi dicono che spacca, che c’è un ritornello mega Pop per cui probabilmente non differisce così tanto da “Animale” e da “Romantica”.

Sì, confermo che il ritornello è molto forte, probabilmente il tuo migliore. Rispetto al testo, ho letto la presentazione che hai scritto su Instagram, secondo cui l’ispirazione ti è venuta da un episodio che un’amica ti ha raccontato, a proposito di un ragazzo di cui era innamorata. Normalmente, soprattutto quando si parla d’amore, si parte dalla propria esperienza e anche tu in passato hai praticamente sempre fatto così. Non è un po’ particolare, questo appoggiarsi sui racconti di un’altra persona?

È molto strano, sì. La frase del ritornello in realtà è un po’ diversa da quella della mia amica, lei aveva detto una cosa del tipo: “L’ho riconosciuto dal mal di pancia che mi è venuto”. Ho provato a metterla giù così nel testo ma non era abbastanza poetica, suonava piuttosto come una roba goliardica (ride NDA). Ho scritto quindi il ritornello alla mia maniera ma poi ho raccontato quell’episodio su Instagram perché mi aveva colpito molto e poi lei l’ha argomentato in un modo assolutamente famigliare per me, è un’esperienza che ho fatto anch’io diverse volte e che il suo racconto ha in qualche modo evidenziato.

Bella anche l’immagine per cui la mente non è una galleria ma una stanza vuota: hai sempre usato metafore molto forti nei tuoi testi e mi sembra che qui tu abbia continuato la tradizione…

Il testo ruota attorno alla metafora dello stomaco come un qualcosa che è capace di vedere, mi piaceva poi continuare questo gioco e quindi ho parlato della galleria nella testa: sai quando si dice che una cosa ti è entrata da una parte e ti è uscita dall’altra? In realtà volevo che la mente fosse descritta come una stanza dove le cose e le persone non escono ma, soprattutto se sono pensieri o figure forti, rimangono dentro, come in attesa.  

Mi è piaciuto molto anche il video che accompagna il testo: l’ho trovato sobrio, molto semplice ma a suo modo efficace. È poi è anche un’occasione per vedere scorci di una Roma piuttosto diversa da quella più conosciuta e turistica…

Quello è il Pigneto, non so se conosci la zona…

Eh no, appunto! A Roma ci sono stato tante volte ma non l’ho mai veramente vissuta…

Quel video sta piacendo molto e la cosa continua a stupirmi. Non perché non mi piaccia ma perché è stato girato al volo, con la regista, Beatrice Chima, che è la stessa che ha fatto anche quelli di “Romantica” e “Animale”. Però appunto, con quest’ultimo brano avevamo provato Sanremo per cui il video era pieno di outfit, sul set c’era anche una truccatrice, era tutto molto studiato; quello di “Romantica” invece aveva i due attori in giro per Roma di notte, anche quella una roba super studiata. Per quest’ultimo invece ho sentito Beatrice, che abita vicino al Pigneto e lei mi ha detto: “Ti va di fare una cosa notturna, al tramonto, dove passeggi malinconica mentre senti la canzone e io ti vengo dietro?”. E così è stato. Ci abbiamo messo un’ora e mezza, due ore, siamo andati in giro nel quartiere, che poi non è quello dove vivo ora ma ci ho vissuto molto negli ultimi anni. È bello perché è una Roma diversa da quella che ti aspetti, poi ci sono molti scorci dove si vede la tangenziale, che io trovo bellissimi, molto romantici, con dentro anche un po’ di decadenza. Alla fine è venuto bene e sono molto contenta ma di suo è stata proprio semplice, già il giorno dopo Beatrice mi ha mandato il montaggio finito… tutto molto easy, insomma.

Oltretutto potrebbe essere un’occasione per il tuo pubblico di entrare più a stretto contatto col tuo mondo, di conoscerti un po’ meglio, non credi?

È molto naturale, sì. Ci sono io come mi vesto tutti i giorni, io, Federica, che va in giro, sente la musica col telefonino, si beve una birra e fa una passeggiata. Una cosa molto spontanea, vera, traspare anche molta malinconia che non è recitativa, fa proprio parte di me.

La location oltretutto aiuta molto. Mi colpisce molto come ci siano zone così diverse tra loro, all’interno della stessa città…

Eh ma perché Roma è grande, finché non fai un giro fatto bene non ti rendi conto né di quanto sia estesa, né di quanta diversità abbia dentro. Calcola che il Pigneto dista non più di dieci minuti dalla Roma turistica, quella più patinata. Eppure è un mondo completamente diverso, ha tantissima poesia dentro anche se certo, camminarci alla sera per una ragazza non è proprio il massimo della vita…

Milano, dal punto di vista della vita vissuta, è molto diversa: tendenzialmente quando si fa serata, i quartieri sono sempre quelli…

È anche molto più piccola, però.

Direi che possiamo parlare del disco: che cosa mi puoi anticipare?

Conterrà otto tracce, quindi ne mancano ancora cinque da sentire. Come si sente da questi tre brani, è un disco molto più Pop, soprattutto per quanto riguarda le strutture delle canzoni. “Touché” aveva pezzi molto lunghi, che se ne fregavano delle strutture, ma questo perché in quel periodo ero così, scrivevo in maniera diretta, fregandomene di mettere filtri, mi facevo anche poche domande. Questa volta l’approccio è stato molto diverso: le canzoni hanno meno parole e sono più incisive, per esempio dal punto di vista delle melodie. Gli arrangiamenti poi risentono molto delle cose che ho sentito tanto negli ultimi due-tre anni, quindi soprattutto il Dream Pop americano, ad esempio mi vengono in mente gli Alvvays, questa band canadese bravissima…

Sì, anche a me piacciono molto!

Io stravedo proprio per questa roba qua, per cui la prima volta che sono andata in studio da Suri (Andrea Suriani, che ha prodotto il disco NDA) gli ho portato “Dreams Tonite” (degli Alvvays NDA) come riferimento per come avrebbe dovuto suonare. È un disco che ha un unico filo conduttore, sono tutte canzoni che affrontano una storia d’amore nei suoi vari momenti: da quando ti rendi conto che ti sei innamorato, da quando provi goffamente a comunicarlo, a quando pensi di essere ricambiato, quando poi arriva la delusione, fino al momento in cui tutto questo si conclude. È forse un amore più pensato che vissuto ma alla fine è un disco che parla d’amore, come ce ne sono molti, dopotutto (ride NDA)! Poi non so, se c’è qualcos’altro che vuoi sapere…

Cosa puoi dirmi del processo di avvicinamento a questo lavoro? Voglio dire, da “Touché” sono passati alcuni anni e dopotutto si dice sempre che se al disco d’esordio si arriva molto rilassati, perché si ha per forza di cose avuto più tempo per mettere a punto i brani, il secondo è più difficile perché ci sono delle scadenze da rispettare. Qui poi c’è stata pure di mezzo una pandemia…

L’ho scritto tutto prima!

Bene, almeno questa ce la siamo tolta (risate NDA)!

L’approccio comunque è stato normalissimo: ho iniziato a scrivere queste canzoni nel 2018 e sono andata avanti anche nel 2019. Ci ho lavorato tantissimo, come ti dicevo prima: su “Touché” l’approccio era stato quasi Punk, totale anarchia, chi se ne frega, non ho mai ripensato a mezza parola, qui invece sono stata mesi e mesi davanti alla tastiera in camera mia, a riflettere su come avrei voluto esprimere un determinato concetto, a come un certo pezzo avrebbe potuto essere più elegante… mi sono comprata anche un computer e una scheda audio, ho cominciato a fare delle bozze di arrangiamento… è stato tutto molto impostato ma lo dico con una declinazione positiva, non nel senso che mi abbia levato spontaneità, quanto che mi abbia reso più disciplinata.

Nell’ottica dell’imparare a scrivere meglio, mi verrebbe da dire…

Certo! A me interessa tantissimo la canzone Pop, l’eleganza della melodia, volevo molto migliorare questo aspetto, che nel primo disco era più acerbo.

Il primo disco era senza dubbio più ruvido, gli accostamenti con gli anni ’90 venivano più semplici. Questo, da quello che si può sentire ora, sarà più “adulto”: dopotutto il più delle volte associamo il Pop ad una dimensione infantile ma ci dimentichiamo che esiste anche del Pop adulto…

Sono cresciuta, semplicemente. D’altronde quando abbiamo registrato “Touché” avevo 25 anni, adesso ne ho 29: sono più grande!

Recentemente ho letto un articolo di Carlo Bordone in cui si lamentava del fatto che oramai il processo di avvicinamento al disco arriva attraverso tutta una serie di singoli, per cui quando l’album è effettivamente fuori, l’abbiamo praticamente già sentito tutto. E si domanda se un meccanismo del genere abbia senso…

Io personalmente sono molto legata a com’era il mondo della musica prima all’avvento di Spotify e affini: quando ero ragazzina ad esempio usciva il video su YouTube e io stavo le ore a guardarlo, poi prendevo la copertina, scorrevo le canzoni, andavo a vedere di quali ci fosse già il video… ecco, io sono affezionata a questi aspetti del primo Duemila: d’altronde sono del ’91, nel 2005 avevo 14 anni. Ora è cambiato proprio il mercato, non posso dire se in meglio o in peggio; semplicemente, facendo questo nella vita, mi adatto a questi schemi. Poi sinceramente secondo me cambia poco: se sono usciti quattro singoli e poi esce il disco, piuttosto che solo uno o due, a me cambia poco, l’importante è che la gente alla fine il disco se lo ascolti. Se poi non lo fa più come facevo io, in ordine di tracklist, ma in modo più spezzettato, un po’ qui e un po’ là, facendo venire meno la dimensione coesa dell’album, non importa, l’importante è che venga ascoltato e che piaccia!

Dicevi che hai lavorato tu stessa agli arrangiamenti?

È andata così: due estati fa mi sono messa a scrivere e a lavorare sui brani a casa mia, ho scritto il grosso delle parti, ovviamente con l’abilità e l’esperienza di una che ha appena comprato Ableton e ha provato un po’ a smanettare (ride NDA). Dopodiché ho chiamato il mio amico Bartolini che invece è molto più esperto, e gli ho chiesto di darmi una mano. Il febbraio immediatamente prima del lockdown è passato così: andavo a casa sua e mettevamo a posto i provini, che a quel punto iniziavano ad assomigliare molto a delle pre produzioni. Avendo poi questo prodotto, che era già più professionale, più rotondo, il passo successivo è stato andare da Suri, che ha lo studio a Bologna e che come sai ha prodotto Calcutta, Cosmo, Giorgio Poi, nomi così. È molto, molto bravo, è stato bellissimo lavorare con lui. Sostanzialmente ha preso quella roba lì e l’ha resa quello che è adesso, le ha dato quel tocco che solo lui le poteva dare, aggiungendo anche delle parti che prima non c’erano.

Chi ha suonato sul disco?

La maggior parte delle cose le ha fatte Bartolini, io ho suonato delle chitarre acustiche e ho fatto qualche tema di elettrica, però dei bassi e della maggior parte delle chitarre se ne è occupato lui; i Synth li ha fatti Andrea Suriani, così come il pianoforte, nell’unica canzone in cui compare. Abbiamo fatto tutto noi tre, insomma.

Quando uscirà? Dopo l’estate?

Verso settembre, sì.

E prima, che cosa succederà?

Quest’estate la dedicherò a fare tantissime prove con la band, anche perché adesso abbiamo un elemento in più ai Synth, quindi dobbiamo rodarci. Poi, se questa pandemia mondiale ce lo permetterà, appena uscirà il disco partiremo con il tour. Non so se nel frattempo lanceremo un altro singolo ma in ogni caso è così: suoneremo a porte chiuse durante l’estate, nella speranza di poterlo poi fare a porte aperte durante l’autunno!

Coraggiosa, da parte tua, questa decisione: in un momento in cui tutti fanno a gara ad annunciare concerti, non è che così scontato che tu scelga di fare altro…

Ma sai, abbiamo aspettato così tanto! Queste canzoni le ho scritte tra il 2018 e il 2019, adesso siamo nel 2021: cosa vuoi che sia, aspettare tre mesi in più? Nessuno mi sta correndo dietro, credo tantissimo in questo disco che secondo me è molto bello, quindi penso che aspettare un po’ per poter fare una cosa ancora più figa a livello di live, possa soltanto giovare. Poi adesso è uscita tantissima roba, ci sono fin troppo concerti, forse non è il caso di aggiungere altra carne al fuoco; inoltre, tenere la gente seduta con le mascherine, con questo caldo... speriamo che ad autunno si possa riprendere, magari in condizioni migliori!

I ragazzi della band con cui suonerai sono sempre gli stessi?

Sono sempre loro, in più ai Synth ci sarà una ragazza, il suo monicker, che è anche il nome del suo progetto, è Marat. Studia composizione e quindi sul palco farà un po’ di tutto, anche i cori e la chitarra in alcuni brani. Sono molto contenta perché siamo amiche da tempo ed è molto brava, ascoltatela se ne hai l’occasione. Inoltre è una nuova “quota rosa” all’interno della band: sarebbe molto bello fare un gruppo tutto al femminile ma i ragazzi sono molto bravi, suoniamo insieme da 4-5 anni e siamo davvero una bella squadra!

Cosa non scontata nei progetti di oggi, vero?

No, per niente!


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