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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
03/05/2021
Typo Clan
Le interviste di Loudd
I ragazzi di Typo Clan hanno da poco pubblicato il loro nuovo lavoro, “So Many Fights”, e noi non potevamo resistere dal fare una bella chiacchierata con loro al riguardo. Ecco a voi cosa ci hanno raccontato.

Ciao ragazzi, innanzitutto come va? Siete usciti con l’album a cui avete lavorato per due anni e immagino che, data la situazione, il lavoro sia stato ampio e difficoltoso. Mi raccontate un po’ com’è stato?

L’idea di scrivere un album nasce subito dopo l’uscita del nostro EP, quindi poco prima dell’estate 2019. Un paio di pezzi già esistevano in stato embrionale, tutti gli altri sono frutto del percorso artistico e personale di questi due anni, in cui sono successe giusto un paio di cosette nel mondo.

A livello pratico non è stato tanto diverso dal solito, nonostante l’anomalia della situazione che stiamo vivendo tutti. Siamo abituati a scrivere e produrre a casa nostra, dove abbiamo costruito nel tempo uno studio e quindi siamo riusciti a trovare una dimensione artistica sulla quale la pandemia non ha impattato quasi per nulla. Anzi, l’essere costretti a stare a casa ed osservare le cose succedere è stato un grande input per molti pezzi. La parte difficile è stata non poter condividere lo spazio e il tempo con tutte le persone che hanno collaborato al disco, a partire dalla nostra family bolognese Vulcano. Per un qualsiasi lavoro musicale la condivisione fisica è fondamentale ed essere costretti a ridurre al minimo questo aspetto è molto limitante. Penso però che siamo riusciti, alla fine, a trovare la giusta dimensione senza tradire il nostro approccio alla scrittura.

So Many Fights si apre con la già nota “Wake Up” e devo ammettere che mi ha colpito molto il lavoro fatto sulla produzione del brano, che riesce a mettere in risalto il testo. Due domande: da dove vi è venuta l’ispirazione per lavorare su suoni così particolari, che in meno di due minuti passano dal raggae all’elettronica per poi mischiarsi? E invece cosa volevate comunicare con la continua ripetizione di “Wake up, work, come back home, smoke a joint, repeat”?

Manuel. “Wake Up” per me è una traccia importantissima. Quando l’ho scritta ero in un periodo in cui ero in down pesante e riflettevo su come il mio tempo fosse costante ostaggio del mio vecchio lavoro e dell’arroganza di chi stava sopra di me. Non avevo più tempo e non avevo più energie. La mia vita si era ridotta ad un loop che non riuscivo più a tollerare. Trovare in una frase il modo di riassumere tutto questo fu liberatorio e ricordo di aver pensato subito che fosse da utilizzare grezza, senza aggiunte, ripetendola in modo ossessivo. Mi sembrava che desse perfettamente l’idea di quanto questo loop sia castrante e avvilente. Non riuscivo però a trovare la strumentale e Daniel un giorno mi fa sentire questo beat ed era perfetto, cattivo, conciso. Insieme abbiamo trovato la strofa che spezza in due il brano e l’idea di accelerarlo sul finale, che rende ancora più soffocante il concetto di ripetizione.

L’altro singolo che avete pubblicato prima della pubblicazione del disco è stato “Guillotine”, un brano completamente differente, che si muove su suoni più rilassanti e non più volutamente alienanti e ripetitivi. Come è nato questa canzone?

Manuel. “Guillotine” ha invece una genesi più standard: nasce nel 2019, strumentale, in una giornata di cazzeggio a casa nostra; sulla base che ne è uscita, ho scritto il testo in un paio di giorni. A livello di produzione però, sentivamo che mancava qualcosa, così abbiamo deciso di girare il pezzo a Bruno Belissimo (con il quale abbiamo già collaborato per il nostro EP, Venice Pitch) che è riuscito a trovare la quadra, soprattutto sui ritornelli. Quando il pezzo è tornato a noi abbiamo solo aggiunto il solo di tromba sul finale, et voilà!

In generale, la cosa che mi ha più colpito del progetto è stata l’ampia differenziazione nei singoli brani, i quali riescono a trasmetterti atmosfere diverse ma, nonostante ciò, rimangono comunque legati tra loro e infatti a fine ascolto ci si fa comunque un’idea chiara di quello che è il vostro suono. A cosa è dovuta questa ampia tela di colori?

Abbiamo sempre avuto tanti colori e atmosfere nel nostro sound e pensiamo che sia principalmente dovuto alla grande eterogeneità degli ascolti che facciamo. Inoltre, e torniamo alla prima domanda, questa è una delle cose positive di scrivere un album in così tanto tempo. In due anni si evolve tutto artisticamente: suono, riferimenti, ascolti, letture. È importante avere un approccio aperto e sincero con quello che arriva dall’esterno quando si fa musica e cerchiamo di non tradire mai questo principio.

Andando verso la conclusione volevo chiedervi una cosa molto semplice: come mai la scelta di scrivere e cantare in inglese?

Per quanto strano possa sembrare, quando 5 anni fa abbiamo deciso di iniziare a suonare insieme è stato naturale pensare al progetto in inglese, perché entrambi venivamo da esperienze in cui quella era la lingua.

Ultimamente stiamo sperimentando anche in italiano, perché il testo sta diventando sempre più centrale nel progetto, però non è uno spoiler per il breve termine. Come dicevamo nella domanda precedente, cerchiamo di essere aperti e lasciamo che la nostra musica maturi e si evolva come meglio crede.

Ora, in maniera molto classica, vorrei chiedervi cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro del Typo Clan?

Stiamo continuando a scrivere tanto, ma non sappiamo ancora la forma finale di quello che stiamo facendo. Stiamo sperimentando molto con la produzione per altri e con il beatmaking. Per ora è ancora un’idea senza un disegno preciso, ma oggi ci sentiamo di dirti che questa è la direzione che ci prende meglio.


TAGS: CristianoCarenzi | intervista | loudd | TypoClan