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REVIEWSLE RECENSIONI
08/12/2020
Viadellironia
Le Radici sul Soffitto
La sopravvivenza di un certo tipo di Rock in Italia, legato fondamentalmente ad una dimensione alternativa con le proprie radici affondate saldamente negli anni ’90, potrà essere garantita solo se dei musicisti giovani avranno voglia di scrivere le proprie canzoni rivolgendo uno sguardo amorevole ai propri modelli, avendo nello stesso tempo una visione contemporanea da comunicare. Vale per tutti i generi musicali ma a maggior ragione per quelli che da più parti vengono considerati morti o anacronistici.

Maria Mirani, Giada Lembo, Marialaura Savoldi e Greta Frera sono senza dubbio le persone giuste per traghettare il passato all’interno di una dimensione presente. Hanno formato Viadellironia quando ancora andavano a scuola e col tempo il progetto ha preso forma fino a concretizzarsi nell’Ep d’esordio “Blu moderno”, ormai più di due anni fa. Da qui in avanti la loro vicenda ricorda molto da vicino certe faccende da Music Biz che si penserebbero legate esclusivamente ad una dimensione in cui la musica era ancora un qualcosa da prendere seriamente. In sintesi, Cesareo ascolta il lavoro, gli piace e decide di investire sul gruppo tramite Hukapan, l’etichetta e studio di registrazione fondata da Elio e le Storie Tese. Le quattro ragazze si sono poi aggiudicate il bando SIAE “Per chi crea”, che è stato un aiuto non indifferente alla realizzazione del progetto.

E così eccolo qui, “Le radici sul soffitto”, che ridefinisce e porta a compimento la proposta di un gruppo che, smussate le asperità e le incertezze dei primi passi, si trova ora avviato verso una nuova fase di maturità e consapevolezza.

La prima cosa che colpisce di loro è la rifinitura del suono: Cesareo ha fatto uno splendido lavoro, facendo risaltare ogni strumento all’interno di una dimensione spontanea, quasi live. Le chitarre graffiano, specie quando entrano nei fraseggi solisti, tra il ritornello e la strofa successiva, ma il focus non è mai sulla distorsione o sulla potenza ritmica, le nostre giocano piuttosto sulle sensazioni, sui chiaroscuri, e non è inusuale che il singolo brano viri su un mood ora ipnotico, ora decadente. La scrittura è di alto livello, utilizza pochi ingredienti ma è già in grado di sfoggiare un marchio di fabbrica, un’impronta ben riconoscibile, omaggiando certi riferimenti senza mai scadere nell’imitazione pedissequa.

Già, perché a cosa assomiglia Viadellironia? A tutti e a nessuno in particolare, perché se la voce di Maria Mirani può ricordare più o meno da vicino quella di Nada, il songwriting si muove anche in altre direzioni, andando a fondere sapientemente cantautorato e rock alternativo, senza peraltro disdegnare una certa impronta Beat e qualche piccolo inserto lisergico e sensuale.

Aggiungiamo che i testi sono ben sopra la media, riflessioni ad alto tasso letterario sul presente stato della società, senza troppa polemica ma mettendo bene in evidenza un senso di spaesamento che a tratti rischia di giocare la carta dell’esteta nella sua torre d’avorio, ma il più delle volte sa essere lucido e consapevole.

Le canzoni migliori? C’è solo l’imbarazzo della scelta. Dall’iniziale “Bernhardt”, che non ha un vero ritornello ma mette in fila tutti gli ingredienti della ricetta, accentuando peraltro la potenza della sezione ritmica; la title track, indolente e scanzonata pur nella generale impronta di disillusione; “La mia stanza”, che è una delle più anthemiche, quella dove la costruzione melodica funziona meglio (il ritornello è splendido); “Ho la febbre”, che è uscita come singolo apripista e che vede la partecipazione di un sempre ispiratissimo Edda (sempre più richiesto in questi ultimi tempi, segno evidente di una ritrovata autorevolezza, dopo dieci anni di carriera solista al top della forma); “Architetto”, forse l’unico brano del lotto con un contenuto esplicitamente ironico, accentuato da un esilarante featuring di Luca Mangoni, che architetto lo è veramente, e che ha messo i suoi celeberrimi inserti comici a servizio della canzone, creando così una sorta di dimensione meta narrativa davvero esilarante.

C’è poi “Canzone introduttiva”, a dispetto del titolo collocata a metà tracklist, con un senso della posizione eccellente, visto che rappresenta l’autentico zenith del lavoro. A metà tra l’invettiva politica di De André e il languore decadente de La Scapigliatura, una pseudo ballata Folk nei temi e nella struttura, che tra interpretazione vocale, bellezza della melodia e profondità del testo, sfiora davvero il capolavoro.

Il resto non è da meno, garantendo un disco conciso ed omogeneo, ispirato e privo di filler. Non vediamo davvero l’ora di ascoltare questi pezzi dal vivo. Sappiamo che prima o poi succederà.


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