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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
15/03/2018
Linda G
L’insostenibile Leggerezza Dell’apparire
I Quantenesappiamonoi, da ora abbreviati in Quansapp, furoreggiano a suon di meme goliardici, citazioni semi dotte, riferimenti culturali tratti di norma dalla scena pop. Perché i Quansapp hanno deciso che il pop, nell’accezione più pura del termine, è figo.
di Linda G

Accade che, da quando i social network hanno preso al lazzo la vita dei più, rendendola visibile a volte, risibile altre o ricercatamente interessante, si siano create delle nuove categorie sociali.

Spesso ci si infervora dibattendo circa la presa di coscienza dei minus habens che popolano il web, persone che prima sedevano, forse, al bar Sport sulla sedia in formica, quella a fianco alla porta e giacevano lì, nell’angolino dell’emarginato di paese ed ora , rinvigoriti dall’ anonimato, inorgogliti dall’ ignoranza e forti di un consenso che giammai li aveva toccati, sproloquiano dalle loro stanzette o, molto probabilmente, dalla sedia in formica nell’angolino del bar, quella accanto alla porta.

Di loro però si è già abbondantemente parlato, si è scomodato persino Eco. L’impoverimento culturale è evidente, lapalissiano, inutile quindi compilare l’ennesimo “J’accuse” e parlarsi addosso.

Esiste una categoria, invece, di cui si parla poco e lo si fa perché chi ne fa parte di norma percula i minus habens di cui sopra, si erge a giudice culturale, decide cosa è figo e cosa non lo è. E’ la categoria dei trentenni “quante ne sappiamo noi”.

I Quantenesappiamonoi, da ora abbreviati in Quansapp, furoreggiano a suon di meme goliardici, citazioni semi dotte, riferimenti culturali tratti di norma dalla scena pop. Perché i Quansapp hanno deciso che il pop, nell’accezione più pura del termine, è figo. Quindi, citare ogni 3 giorni "Ritorno al Futuro", piangere in coro la magnificenza dei testi di Donatella Rettore, fare del trash argomento di nicchia e sentirsi estremamente moderni e al passo coi tempi, è il loro pane quotidiano.

Dai loro smartphone di ultima generazione "spolliciano" come se dovessero sbattere il grano per farlo essiccare, rapidi, quasi ipnotici, bullizzano i cinquantenni, rei di esser, a loro dire, dei semi rincoglioniti.

Poi vaglielo a spiegare tu ai Quansapp che i loro pollici sono lì che si dinoccolano su tecnologie che se non fosse per i cinquantenni neppure esisterebbero …

L’apice della soddisfazione di un Quansapp si concretizza durante la messa in onda di programmi TV di cui, sino al loro ultimo ciclo mestruale o polluzione notturna, ignoravano l’esistenza. Durante le suddette dirette Tv si scatenano con veri e propri battaglioni di hashtag (che poi diciamolo, quello è il cancelletto, quello che ti offre un'alternativa all’asterisco nelle segreterie telefoniche) e di sentenze. Idolatrano i loro nuovi modelli di riferimento pur non possedendo, spesso, nemmeno un’unghia della cultura dell’idolo di turno.

Ed avvengono fenomeni a tratti paranormali perché belle ragazze, truccate di tutto punto e che sfoggiano il tacco 12, ansimano ascoltando il povero Alberto Angela, che fino a dieci anni fa veniva additato come "figlio di", raccomandato, sfigato, noioso e monocorde. Poi il miracolo, qualcuno ironizza sulle dimensioni del sesso dell’ancor giovane Alberto ed ecco che si alimenta il mito.

I Quansapp, che siano donne o uomini, amano il figlio di Piero Angela come un napoletano ama Diego Armando Maradona. “Le Meraviglie”, ultimo programma realizzato dal barbuto sex symbol, ha catalizzato l’attenzione di milioni di telespettatori a cui poco importava dei sassi di Matera, delle bellezze dolomitiche, dell’eccellente ricostruzione di basiliche e del prezioso affresco del nostro bistrattato Bel Paese. L’interesse era dietro l’hashtag, era leggere il commento più divertente su Twitter riferito al Ron Jeremy della cultura italiana.

Per un mese #lemeraviglie ci ha accompagnato da mattina a sera in un susseguirsi di ammirazione, ovvietà, ossessione, ironia forzata e poi, come l’ultimo giro di walzer di una Cenerentola qualunque, è scomparso tra i torpori di una notte lugubre, quella di “Storie Maledette”.

Franca Leosini , classe 1934, è la nuova star incontrastata del web. Tutti la vogliono, tutti la citano, tutti la incensano che nemmeno il Nazareno dopo aver trasformato l’acqua in vino.

#storiemaledette imperversa da giorni sui social.Il linguaggio forbito, arzigogolato, studiato e talmente ben esposto da far sentire il pubblico come ad una lezione di “Non è mai troppo tardi”, lascia interdetti e ammaliati i Quansapp, che eleggono nuova icona della primavera 2018, questa giornalista che conduce da più di vent’ anni una trasmissione difficile tanto nei contenuti che nella delicata messa in onda.

La Leosini si occupa del caso della giovane Sarah Scazzi, uccisa barbaramente da zia e cugina ma ai Quansapp non gliene può fottere di meno della fine di questa ragazzina, dell’estratto sociale che emerge dalle interviste.

No. A loro interessa twittare “sentimentalmente genuflessa” perché quella signora colta, con l’occhio truccato ed un dizionario Garzanti che spontaneamente fuoriesce ad ogni lemma pronunciato, è figa, fa figo dire che è figa e allora via di hashtag e via con un popolo di pecore che per altre settimane inonderà le bacheche di mezza Italia. Tutti vogliosi di cultura? Tutti a leggere "Il Principe" di Machiavelli? Macché, tutti su Twitter.Tutti a voler diventare protagonisti quando i protagonisti sono altri.La Leosini e Alberto Angela sono solo la scusa, l’ultima rinvenuta, per mettersi in mostra, per apparire con l’ennesima messa in piazza del proprio ego.

I Quansapp sono i re Mida al contrario, tutto ciò che toccano, soprattutto l’oro, lo trasformano inesorabilmente in merda. Lo sovraespongono a tal punto da farti sognare di sostituire la Leosini con Gegia o con La Laurito mentre dice “Trafilata al brrronzo”. E trovare al posto del paccuto Albertone un soporifero Paolo Mieli. E poi voglio vederti, giovane trentenne che tu sì che ne sai tante, a metter cancelletti guardando il pacco di un vecchio o a fare lo slalom tra le R della Laurito.

Anzi: #vogliovederti