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THE BOOKSTORECARTA CANTA
L'isola
Sándor Márai
(Adelphi)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
25/01/2021
Sándor Márai
L'isola
È bene dirlo fin da subito, prima di riuscire ad attraccare sull’Isola di Sándor Márai (Košice, Ungheria, 1900 - San Diego, California, 1989) è necessario superare lo scoglio delle pagine iniziali, che vi faranno sentire disorientati come una barchetta in mezzo al mare, con la bussola rotta.

“L’avventura era iniziata in una pensione, con un’estranea, e fino a quel momento Askenasi aveva capito ben poco di ciò che stava succedendo; dopo tante rinunce – che egli trovava naturali e aveva condiviso con ogni uomo civilizzato – aveva conosciuto una donna insieme alla quale non avvertiva più il senso di privazione che lo aveva accompagnato fino allora, e perciò non aveva avuto alcun motivo particolare per sfuggire a quell’incontro; ecco tutto quello che aveva capito.”

 

È bene dirlo fin da subito, prima di riuscire ad attraccare sull’Isola di Sándor Márai (Košice, Ungheria, 1900 - San Diego, California, 1989) è necessario superare lo scoglio delle pagine iniziali, che vi faranno sentire disorientati come una barchetta in mezzo al mare, con la bussola rotta.

Vi ritroverete a chiedervi più volte dove vi stiano portando quelle pagine piene zeppe di dettagli e descrizioni. Pagine indubbiamente belle, perché Márai scrive divinamente, ma che sembrano girare a vuoto, senza un appiglio, come se al centro di tutto non ci fosse una storia.

Ma poi, pagina dopo pagina, anzi, onda dopo onda, la foschia si dirada, lo stato d’incertezza svanisce, L’Isola inizia a prende forma e voi vi sentirete sempre più felici di aver intrapreso il viaggio, perché non potrete fare a meno di innamorarvi di questo romanzo geniale, impervio, selvaggio e inaspettato.

Il protagonista è il professor Victor Henrik Askenasi, un uomo come tanti: 47 anni, parigino, insegnante di greco antico, benestante, sposato con Anna - una bellissima donna - e padre di una bambina; ligio al dovere, affidabile e rispettato da tutti. Un uomo integerrimo, insomma.

Askenasi si muove all’interno di una vita che vista dal di fuori potrebbe apparire come perfetta e lineare. Una di quelle vite in cui i giochi sembrano già fatti e pare non esserci più spazio né per i colpi di scena e soprattutto per quelli di testa. Ma a dispetto di tanta perfezione esteriore, lui, dentro di sé, sentiva un vuoto, come quando ti manca qualcosa.

Un qualcosa di indefinibile e irrazionale, a cui non riusciva a dare un nome e nemmeno una definizione, ma era come se tutta la sua esistenza, da sempre, ruotasse attorno a una gigantesca domanda priva di risposta.

In un caldissimo pomeriggio d’agosto, però, in modo del tutto casuale, incontra Eliz, una “ballerina” russa. L’incontro si rivelerà fatale e cambierà per sempre e irrimediabilmente il corso della sua vita e quello del suo destino.

Askenasi, infatti, segue la donna fino alla sua pensione, si abbandona al suo “Venez”, pronunciato sulla soglia del portone e si lascia travolgere dalla passione; perderà la cognizione del tempo e ogni contatto con la realtà. Gli basterà una notte di sesso con una sconosciuta per far esplodere tutto il suo disagio e quel senso di frustrazione e insoddisfazione che gli abitavano dentro da tempo, come fossero la tappezzeria della sua anima.

Quell’incontro considerato “sconveniente”, ma al tempo stesso potente e intenso, convince Askenasi del fatto che Eliz abbia a che fare con la risposta che sta cercando da tutta la vita, così, senza alcun rimpianto, in modo decisamente cinico, si lascia alle spalle tutto ciò che era stato, per buttarsi in questa nuova avventura con la sua amante. Non prova sensi di colpa verso sua moglie e nemmeno vergogna, nessun dubbio o ripensamento.

Abbandona senza remore tutte le sue certezze, la sua famiglia, gli agi della sua casa, il suo lavoro, i suoi studi e tutto ciò che aveva costruito fino a quel momento per andare a vivere con la “ballerina”.

Abitudini nuove, ritmi nuovi, frequentazioni nuove, ambienti nuovi… Lui stesso si sente un uomo nuovo, ringiovanito e a tratti anche felice.

Evita di interrogarsi su Eliz, su chi sia realmente e soprattutto su cosa faccia per vivere e si lascia risucchiare completamente da quella novità.

Ogni dettaglio, infatti, gli sembrava inutile e superfluo da conoscere, perché lui, in fin dei conti, in quel nuovo rapporto non stava cercando amore o una nuova stabilità, ma una risposta alla sua domanda. A quella domanda da sempre sospesa nella sua testa…

Dopo aver trascorso circa tre mesi con Eliz, Askenasi realizza con stupore “che nella pratica la felicità o l’appagamento - in altri termini quello stato d’animo eccezionale che, secondo un’opinione comunemente accettata, rappresenterebbe l’unica ricompensa per le sofferenze terrene - assomigliava assai poco a quel che si era immaginato.”

Infatti, trova che la felicità sia un sentimento difficile da gestire, decisamente forzato, che necessita di cure e soprattutto di nutrimento continuo, come fosse un animale famelico. Vede nella felicità una forma di schiavitù e di dipendenza emotiva - perché una volta provata, non puoi più farne a meno - che finisce con l’alterare e falsare i comportamenti degli esseri umani che pur di inseguirla, senza avere alcuna certezza di raggiungerla, peraltro, si costringono a una vita fatta di compromessi, scelte, rinunce e costrizioni continue.

“Perciò abbandono Eliz, con sincero rammarico […] Un pomeriggio se ne andò, così come era arrivato, con la stessa indifferenza di quando aveva lasciato Anna, senza spiegare e senza giustificare.”

Dal suo punto di vista, indubbiamente egoistico, quel rapporto si era esaurito, sentiva di aveva aver già preso tutto ciò che voleva e di aver sperimentato tutto ciò che desiderava, soprattutto l’appagamento fisico e sessuale.

Il rapporto con Eliz, in fin dei conti, era solo un esperimento. Perlomeno, questo è ciò che ripeteva continuamente a sé stesso, nel tentativo di impoverirlo e privarlo di importanza, perché non riusciva ad ammettere che la domanda e la risposta che cercava da tempo potessero trovarsi dentro di lei, in quella donna sconosciuta che, nonostante la vicinanza, non aveva mai smesso di vedere come un’estranea e per la quale sentiva di aver provato solo un pallido amore.

Il distacco dalla ballerina, però, si rivela meno semplice del previsto, Askenasi non sta bene: i suoi sensi sono alterati, così come le sue percezioni e i suoi pensieri e così, accetta di buongrado il suggerimento dei suoi amici di prendersi un periodo di riposo.

Parte da Parigi per raggiungere la Grecia, ma nel bel mezzo della traversata in nave, manda all’aria i suoi programmi e decide di fermarsi a Dubrovnik, che negli anni Trenta si chiamava Ragusa. ?

Durante il viaggio, però, ecco che quella sensazione nota e indecifrabile di vuoto e mancanza torna a bussare. Lui, però, non attribuisce a quello stato d’animo un significato emotivo. È convinto, infatti, di aver dimenticato qualcosa a casa e a più riprese, senza sapere bene cosa cercare, si mette a rovistare affannosamente tra i suoi bagagli e non capisce, invece che “…quel senso di mancanza era come una spia di sicurezza, che lampeggiando incessantemente in quel caos lo avvertiva che il panico provato alla stazione di Monaco non era immotivato.”

Askenasi arriva a Dubrovnik in una giornata caldissima; il termometro segna 38 gradi. Alloggia all’hotel Argentina, “la costruzione più elegante della costa”, ed è proprio qui che - per la seconda volta - la sua vita prenderà una piega inaspettata quando una delle ospiti dell’hotel, “la donna dai capelli biondo cenere”, come fosse un invito, davanti alla reception, pronuncerà a voce alta “Zwoundvierzig” - quarantadue - il numero della sua stanza.

In lui scatta qualcosa, colto da un impeto apparentemente inspiegabile e irrefrenabile, segue la donna e mentre lo fa, prova una strana vertigine “come chi stia vivendo una specie di miraggio che è al tempo stesso realtà, un’immagine allo specchio nella quale è impossibile entrare e muoversi, slegati dal tempo e dallo spazio” e così, nella stanza “Zwoundvierzig”, si macchierà di un grave crimine.

Askenasi da principio si sente come liberato, i suoi sensi sono vigili come non mai, come se fosse finalmente caduto quel velo sottile che gli copriva gli occhi. La luce è brillante, i suoni amplificati, i colori vividi e i sapori intensi. Si sente potente, vivo, come in preda a un delirio di onnipotenza. Ma questa sensazione di benessere, ancora una volta, durerà poco, per farlo cadere, poi, nello sconforto più totale.

Si ritroverà solo, nudo e infreddolito a intrattenere un dialogo immaginario e surreale con Dio; con quel Dio che dal suo punto di vista l’ha tradito, ingannato, deluso e abbandonato. Un dialogo esistenziale sconnesso e apparentemente privo di logica, in cui tutto il disagio del protagonista esplode, evidenziando quella che è una personalità disturbata, di cui nessuno si era mai accorto, affetta da una malattia dell’anima diventata ormai incurabile.

“Oh, a volte trovavo anch’io dei magnifici sistemi per debellare il dolore, mi mettevo a studiare turco, oppure scrivevo un libro e vincevo un premio, mi sono sposato… Di tanto in tanto sembrava quasi che non ci fosse nessun problema… Poi improvvisamente quella fiamma, quel ferro incandescente che ti tocca le carni, e tu avresti voglia di urlare e di precipitarti fuori di casa… E invece te ne resti seduto tranquillamente e sorridi, chiacchieri o fai la corte a una donna…”

Quale sia il crimine, l’epilogo di questo romanzo e tutto ciò che c’è nel mezzo di ciò che vi ho già raccontato, dovrete scoprirlo da soli, io, però, non posso esimermi dal dirvi che questo romanzo è sorprendente e che lo stile di Márai è pulito, profondo e suggestivo.

L’Isola” è un libro tutt’altro che lineare, non solo nei contenuti, ma anche nello stile della narrazione, che sembra quasi stratificato, ondeggiante, pieno di salti temporali e di viavai continui.

Il racconto non si esaurisce nelle 174 pagine di cui è composto, ma va ben oltre il recinto delle parole, sconfina nel non detto e sta alla sensibilità di ciascun lettore e al suo vissuto, riuscire a capire quale sia quella domanda che il protagonista si pone incessantemente da una vita intera e soprattutto, quale sia la risposta.

Ciascuno di noi vive disagi più o meno grandi, frutto di ferite o mancanze, ecco perché non possono esistere domande e risposte universali quando ci si interroga sul senso della vita e soprattutto su quello che è il ruolo dell’essere umano all’interno della stessa, ed ecco perché Márai si limita ad indicare la strada, lasciando libero il lettore di trovare da solo le sue risposte…

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