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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
25/09/2023
Blues Project
Live at the Cafe Au Go Go
Ai giorni nostri potrebbe sembrare una pazzia registrare dal vivo in un night club rinomato il proprio album di debutto, ma niente era impossibile a metà anni Sessanta. The Blues Project, Live at the Cafe Au Go Go suona ancora fresco e potente: riviviamo insieme quelle magiche atmosfere.

«Armati di passione e talento i Blues Project hanno fornito un’esibizione di grande impatto al Cafe Au Go Go la scorsa settimana. Ogni membro della formazione ha carisma da vendere e potrebbe gestire lo show come frontman, ma nello stesso tempo mantiene saldo quel concetto di rispetto e umiltà nei confronti degli altri musicisti del gruppo». (Estratto della recensione di Charles Barrett, Aprile ’67, Billboard)

Il giornalista del prestigioso magazine Billboard sicuramente ci aveva visto giusto riguardo alla crema di artisti presenti nei Blues Project, al loro senso di innovazione, all’ampio respiro musicale impostato nei concerti e in studio di registrazione. Tuttavia quando il sodalizio decolla e raggiunge vette inimmaginabili i rapporti tra i vari personaggi cominciano a vacillare, creando attriti e portando allo scioglimento, prima di una nuova era negli anni Settanta, senza però tutti i componenti originari.

Ma andiamo con ordine: siamo nel 1965 a New York, la città che non dorme mai, sempre in movimento e carica di energia dalle prime luci dell’alba fino a notte fonda, una città cosmopolita dove ogni suo quartiere ha una sua personalità unica e straordinaria. Si va dalla scintillante Broadway che incanta con i suoi neon, al verdeggiante e tranquillo Central Park. Nuovi orizzonti si toccano invece al Greenwich Village, epicentro del movimento di controcultura americana.

La musica raggiunge livelli epici, da qui è passato Bob Dylan, ne sa qualcosa il tastierista Al Kooper che ha lavorato con lui in Like a Rolling Stone” e si unisce a un gruppo formato dal chitarrista e cantante Danny Kalb insieme al flautista e bassista Andy Kulberg e al batterista Roy Blumenfeld. Un altro chitarrista e all’uopo armonicista, Steve Kats, e il vocalist Tommy Flanders sono già presenti nella lineup in sostituzione di Artie Traum. Ora cominciano le prime performance al Cafe Au Go Go, siamo a Novembre, e proseguono a Gennaio 1966, senza Flanders, convinto dalla fidanzata a mettersi in proprio. I Blues Project hanno appena firmato per la sussidiaria Verve/Folkways della MGM Records, dopo aver ricevuto un rifiuto dalla Columbia e si accingono a registrare il primo lavoro, dal vivo proprio nella celebre location situata nel Greenwich Village.

 

«Il Cafe Au Go Go era un club di decenti dimensioni, potevano starci fino a 400 persone. Avevamo cominciato lì come dei signori nessuno e in poco tempo ogni volta che tornavamo era sold out. Non ci sentivamo portati per incidere in sala di registrazione, c’era un’alchimia speciale quando eravamo sul palco». Al Kooper (estratto dalle liner notes del disco).

 

“Goin’ Down Louisiana”, “You Go and I’ll Go With You”, “Back Door Man” e “Spoonful” sono energiche riletture di classici che rivivono grazie all’interpretazione di questi ragazzi poco più che ventenni. Se il blues già si era avviato a una sua commercializzazione con l’interferenza di strumenti elettrificati ed elettronici, è anche vero che nel periodo degli autori di queste canzoni, ossia Muddy Waters, Howlin’Wolf e Willie Dixon, è rimasta ancora una buona dose di quella spontaneità che aveva segnato il cammino originario del creativo nero negli States. E uno stuolo di giovani bianchi come i Blues Project riesce a tenere accesa la fiammella del genere coniugandola poi al rock, con brani seminali e scatenati come “Who Do You Love” e “I Want to Be Your Driver”, di due giganti del calibro di Bo Diddley e Chuck Berry.

La matrice folk emerge, a dimostrare l’ecletticità del collettivo, nella finezza dell’esecuzione (con sfumature psichedeliche) del traditional “Alberta”, in “Violets of Dawn” del songwriter Eric Andersen, e in “Catch the Wind”, dal repertorio di Donovan, ascoltata solo alcuni giorni prima e mai suonata in precedenza. La leggenda narra che Kalb avesse rotto una corda della chitarra e la composizione dell’artista scozzese si adattasse perfettamente a quel frangente.

Il vulcanico organista Al Kooper dà un'immagine divertente delle loro esibizioni on stage paragonando la band a un flipper: la pallina parte e comincia a girare quando comincia una canzone, rimbalza un po’ ovunque, toccando le varie zone del biliardino elettrico fino a finire nel buco quando il brano termina. In effetti sono tanti territori in cui sconfinano i Blues Project. Jazz, r&b e pop s’incontrano nella rilettura della famosa “Jelly Jelly Blues” e nell’originale “The Way My Baby Walks”, incandescente cavalcata strumentale con scossoni rockabilly e derive country frutto della mente geniale di Kulberg.

 

Le vendite di Live at the Cafe Au Go Go superano le aspettative, arrivando a toccare le centomila copie rispetto alle due-tremila previste. Così segue un tour negli States per promuoverlo e un nuovo lavoro, Projections, pubblicato a Novembre 1966. Aumentano le frizioni tra i membri, Kooper e Katz scelgono un’altra strada e cominciano un nuovo percorso con i Blood, Sweat & Tears; anche Kalb in seguito abbandona prima di Planned Obsolescence (1968), con solo Blumenfeld e Kulberg della formazione originale. È l’inizio della fine. I Blues Project, con una lineup modificata, si riformano brevemente all'inizio degli anni Settanta, realizzando altri tre album: Lazarus, Blues Project e The Original Blues Project Reunion In Central Park del 1973, ultimo importante squillo di tromba che include Kooper, ma non Flanders.

A parte qualche sporadica reunion per concerti di beneficenza non vi sono più tracce di questo mitico complesso fino alla fine del 2022, quando Katz e Blumenfeld ripropongono la vecchia formula insieme ad alcuni nuovi ingressi fra cui Scott Petito, Colin Linden e Beth Reineke. Esce così Evolution, un’interessante commistione di generi, a ricordare e rinnovare quel patrimonio inalienabile, quel carattere marcatamente alternativo che il blues continua ad avere, in una stagione storica in cui il dominio dell’uomo sull’uomo continua ad assumere aspetti dolorosi e drammatici.