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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
13/11/2023
Johnny Winter
Live Johnny Winter And
Assoli brucianti all’interno di alcuni indimenticabili classici del rock and roll, accanto a transizioni blues incredibilmente potenti e commoventi: "Live Johnny Winter And" è una straordinaria dimostrazione di virtuosismo chitarristico tra Johnny Winter e Rick Derringer.

La musica soddisfa uno dei prerequisiti dell’arte: non far sentire le persone più le stesse di prima. Questo è sicuramente accaduto agli appassionati di rock blues ascoltando uno dei dischi live più belli e celebri del genere, Live Johnny Winter And, la migliore rappresentazione del sound di Johnny Winter dei suoi primi anni di carriera che si possa trovare. Sono solo quaranta minuti, cinque canzoni oltre a un medley di classici del rock and roll, ma si tratta di un’esibizione solida come un macigno, con una serie folgorante di assoli da far capottare dalla sedia.

L’autunno 1970 è un momento bellissimo per il chitarrista texano nato a Beaumont. A ventisei anni sta toccando con mano il successo, sulla scia di due album seminali come Second Winter e l’appena pubblicato Johnny Winter And, la nuova via al blues, un power blues contaminato, suonato con la forza e l’energia del rock. Proprio quest’ultimo lavoro vede Winter unire le forze con un altro guitar hero, il dirompente Richard Dean Zehringer, in arte Rick Derringer, e il suo gruppo, i McCoys, formato dal bassista Randy Jo Hobbs e dal fratello batterista Randy Zehringer. Al fine di lasciare preminenza e importanza al leader, ossia Johnny Winter, la band viene chiamata “Johnny Winter And”, con “And” riferentesi a Derringer e i McCoys.

Winter, Derringer e Hobbs sono molto affiatati musicalmente: il primo è innamorato di Muddy Waters, Bobby Bland e B.B. King, gli altri prediligono il rock and roll mischiato a pop e psichedelia; sul palcoscenico dimostrano di essere complementari e, pur rimanendo Johnny il principale vocalist, anche Rick e Randy Jo partecipano ai cori e ad alcuni ritornelli. Appena dopo l’abbandono di Randy Zehringer e la sua sostituzione con il percussionista Bobby Caldwell giungono le performance dal vivo immortalate sull’album, registrate al Fillmore East di New York e al Pirate's World di Dania, in Florida.

 

Viene scelto uno standard immortale per l'apertura, quella "Good Morning Little School Girl" resa famosa da Sonny Boy Williamson e poi incisa da innumerevoli musicisti con differenti arrangiamenti. Qui Winter e la band cercano di dimostrare quante note sono in grado di suonare il più velocemente possibile, però lo fanno con il cuore, non solo come esercizio di stile e riescono a infiammare subito la platea, tra virtuosismi e pura gioia di stare insieme, lasciando trasparire passione e genuinità. I dodici minuti seguenti di “It’s My Own Fault”, dal repertorio di B.B. King, sono uno degli highlight e mostrano il lato blues del chitarrista texano, evidenziando la sua sentita e innata capacità di interpretare questo genere, di cui diventerà uno dei più grandi maestri di tutti i tempi, riferimento vitale per il suo rinascimento e l’evoluzione in chiave moderna.

“Jumping Jack Flash” e il medley comprendente “Great Balls of Fire” e “Whole Lotta Shakin’ Goin’ On”, due incredibili hit di Jerry Lee Lewis inframmezzate dall’energia di un evergreen di Little Richard, “Long Tall Sally”, sono letteralmente infiammati dalle gesta pirotecniche della Gibson di Winter, ben assecondato dalla sezione ritmica e con Derringer in spolvero. Il gruppo esce fuori dagli schemi e asseconda passioni, sentimenti e aspirazioni del suo leader, in un vorticoso viaggio che conduce a un’esplosione di suoni. Stupisce l’animosità e la voglia di plasmare il brano dei Rolling Stones a proprio piacimento e, analizzando invece compiutamente “Great Balls of Fire” sembra impossibile, ma accade che non si senta la mancanza del piano, fondamentale per caratterizzare la leggendaria versione dell’uomo soprannominato “The Killer”: potere di Johnny Winter And, capaci di sorprendere pure nei pezzi più famosi, ove si potrebbe pensare sia pleonastico cimentarsi in una nuova interpretazione! Il discorso vale anche per “Johnny B. Goode” di Chuck Berry, peraltro già presente e roboante in Second Winter; è un brano adorato dal chitarrista albino fin dall’adolescenza, uno dei motivi per cui ha incominciato a suonare, e in questo caso viene scelto in maniera appropriata come conclusione, a simboleggiare la chiusura di un ciclo evocandone l’inizio.

 

«Considero mio fratello un grande songwriter. Dopo un periodo in cui scriveva troppo rigidamente, seguendo pedissequamente le regole delle dodici battute, il suo livello è migliorato nettamente e in modo molto veloce. Un esempio è “Mean Town Blues”, dal sound moderno e unico, una canzone tipicamente alla Johnny Winter». Dalle liner notes di Brother Johhny, disco di Edgar Winter pubblicato nel 2022.

“Mean Town Blues” è la penultima traccia dell’LP, l’unica autografa ed evidenzia quanto descritto. Realizzata originariamente in The Progressive Blues Experiment, primo album del 1968 ristampato l’anno successivo, rappresenta l’evoluzione compositiva dell’artista, brilla di nuova luce dal vivo ed è strabordante, sorprendente, tonitruante tempesta a ciel sereno lunga nove minuti.

 

Il trionfo di Live Johnny Winter And è un ulteriore tassello nella carriera in crescendo di Johnny, che affronta gli anni settanta e ogni evento on stage in gran spolvero. Giungono periodi difficili nei susseguenti decenni, ma si distingue comunque come produttore di pietre miliari, ovviamente di matrice spiccatamente blues, sia per il proprio mentore Muddy Waters, sia per lavori personali azzeccati come Guitar Slinger (1984), Serious Business (1985), Let Me In (1991) e I’m a Bluesman (2004), tutti e quattro nominati per un Grammy che si aggiudica, invece, postumo, nel 2015 per merito del ruspante Step Back, uscito nel settembre 2014, a due mesi dalla morte improvvisa, avvenuta un paio di giorni dopo l’ ultima performance al Cahors Blues festival in Francia. Sebbene fortemente acciaccato, l’inossidabile Johnny Winter non aveva mai perso la predilezione per vivere on the road, offrendo ininterrottamente, con grande generosità, il suo contributo musicale e condividendolo con la nuova generazione di chitarristi, ancora tanto ispirata dalle sue gesta.

«È stato come perdere un membro della nostra famiglia musicale. Un uomo speciale, così solidale e generoso con noi! Per me era come uno zio e uno spirito affine. Johnny rimane per sempre un maestro, aveva quella rara e bellissima combinazione di umiltà e fuoco totale nel suonare. Non sono in molti a raggiungere questo equilibrio». Estratto da un’intervista di loudersound.com a Derek Trucks.