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REVIEWSLE RECENSIONI
15/10/2019
Selfish Things
Logos
Emozionale, semplice e onesto. I Selfish Things realizzano il loro debutto attraverso un viaggio nella psiche del loro cantante, impreziosendolo con la collaborazione di tre artisti di livello. Il risultato è “Logos”, un album che forse non sarà perfetto, ma che con la sua brutale sincerità saprà fare breccia nel vostro cuore.

Iniziamo subito con il mettere in chiaro una cosa: questi quattro ragazzi di Toronto non sono affatto egoisti come potrebbe suggerire il nome del loro gruppo, anzi. Il nome Selfish Things nasce dall’ascolto di “23”, canzone di uno dei loro gruppi preferiti, i Jimmy Eat World, che nella prima strofa raccontano: “La scorsa notte ero certo che alla fine ci saremmo detti addio. Nessun’altra scoprirà mai questi sogni solitari, nessuna scoprirà mai quella parte di me, che ancora cerco di respingere. E giorno dopo giorno il mio rammarico è che non sempre amerò queste cose egoistiche. Non sempre vivrò”.

E i Selfish Things, come band, rappresentano e raccontano proprio quei sogni solitari, quella parte di sé tra la luce e l’oscurità, cercando di spiegare come siano necessaria l’una all’altra e come nessuna delle due vada evitata, anche se spesso non è una missione facile. Come testimonia lo stesso frontman, Alex Biro: "Mi sforzo di trovare la felicità nella verità del mondo, indipendentemente dalla sua immortale bruttezza".

Perseguendo questo obiettivo, personale prima che artistico, Biro ha trovato la sintesi e il nome per il loro album di debutto nientemeno che grazie a Carl Jung, il noto psicoanalista. Leggendo il suo “Libro rosso”, si è imbattuto nel concetto di “logos”, e ha subito capito che sarebbe stato il nome giusto. Si lega infatti ad una sua interpretazione nel suo senso più trascendente: nessuno vuole sentirsi infelice, confuso, perso o impaurito e tutti dovrebbero cercare di essere consapevoli e coscienti, perseguendo quella parte di sé che li porti ad ascendere ad un livello superiore.

Siccome ogni canzone delle 11 tracce dell’album parla di un diverso aspetto del suo essere, Biro ha deciso subito che la parola che avrebbe dovuto racchiuderle avrebbe dovuto essere Logos. Una rappresentazione verbale del suo tentativo, dopo anni di terapia, di giungere a quel livello di autocoscienza e accettazione delle cose del mondo, della sua ricerca intima e personale sul fatto che non potrà mai avere il controllo su ciò che gli capita, ma che può imparare a controllare il suo modo di reagire a questi accadimenti, belli o brutti che siano, per riuscire ad uscirne sempre, se non tutto intero, almeno salvo.

In poco più di 40 minuti, i Selfish Things raccontano semplicemente cosa vuol dire essere umani in un mondo di incertezze e dubbi, nel modo più onesto possibile.

Le tracce che possono considerarsi “migliori” sono diverse, e si alternano alle tre decisamente meno riuscite (“Pride”, “Crutch” e “Youth”) raggruppandosi in uno schema quasi calcistico: (3-1), (3-1), (2-1).

Il primo blocco di ottimo livello inizia subito con "Flood", traccia di apertura e primo singolo, dove i quattro canadesi discutono di come gli umani stiano letteralmente distruggendo il mondo in maniera tossica, letteralmente e metaforicamente. Segue “Blood”, in cui si ascolta la prima delle collaborazioni che costellano questo debutto, quella con Andy Leo dei Crown The Empire, assieme a cui Biro racconta della malattia che ha ucciso sua nonna, mostrando cosa significhi lottare fisicamente e mentalmente. Termina il primo trio “Rowen”, dedicata alla figlia di Biro e alla difficoltà di allontanarsi dalla sua famiglia durante le tournée.

Il secondo trio di alto livello vede tra le sue fila la bellissima “Synaptic”, incentrata sulla lotta di Biro con la malattia mentale, una canzone voce e pianoforte che sa decisamente come colpire nei punti giusti dell’animo, in cui si è indecisi se aprire la bocca per cantare o i condotti lacrimali per piangere. È seguita a ruota dalla notevole “Torn”, in cui si torna alle tinte opache dei primi due singoli, dove i sentimenti di incertezza e angoscia vengono affiancati dalla seconda collaborazione, quella con Spencer Chamberlain, cantante degli Underoath. Il sentimento permane con “Hole” che, nonostante i suoi toni ironici, elettronici e solo apparentemente più positivi, risulta certamente più affannosa se ascoltata guardando il video con le sue inquietanti bambole di porcellana, che vengono mano a mano sepolte e bruciate.

L’ultima combo è composta da un lato da “Drained”, che (oltre a raccontare di una relazione che non sta portando da nessuna parte ma in cui ci si ritrova intrappolati) porta con sé anche la terza e ultima importante collaborazione dell’album, quella con William Ryan Kay, ex frontman degli Yellowcard. Dall’altro lato dalla traccia con cui avrebbe dovuto terminare il disco è sicuramente la bellissima e struggente “Mind”, una canzone d’amore voce e pianoforte che Biro dedica a sua moglie e che difficilmente non spezza un po’ il cuore a chi l’ascolta, facendogli pensare sin dai primi secondi a dove abbia messo i fazzoletti.

Delle canzoni meno riuscite, più deboli a livello di capacità vocali, mediocrità nella costruzione, anonimato a livello di suono o ripetitività rispetto all’equilibrio dell’album nel suo complesso, merita comunque fare presente che risultano più valide rispetto ai testi. Un esempio è quello di “Crutch” che, debolezze musicali a parte, contiene una delle frasi più geniali del disco: “Immagino di stare cercando di essere diverso per quando moriremo tutti uguali”.

Logos non sarà certamente un album perfetto e potrebbe certamente essere migliorato in diversi passaggi, ma quando vuole sa arrivare diretto allo stomaco, colpire l’emotività di chi lo ascolta e, alla fine – cosa più importante – far venire voglia di ascoltarlo ancora. In fondo saltare tre canzoni è poca cosa, confezionarne otto di livello è tutt’altra, soprattutto per un album di debutto.

La sincerità e la semplicità con cui a cuore aperto i Selfish Things si raccontano e ci regalano con onestà questa riflessione sulle luci e tante ombre che compongono le nostre vite incerte va premiata: poco importa delle piccole cadute, la passione e la profondità del sentimento vincono sempre.


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