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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
11/04/2022
Edoardo Bennato
L’uomo occidentale
L’uomo occidentale, con i suoi contorni sbiaditi, solo apparentemente nitidi, le sue finte e false certezze, è analizzato da Bennato con la solita lungimiranza e un pizzico d’ironia. Un disco concepito vent’anni fa, quanto mai attuale, per un artista che rimane tra i pochi ad aver percepito il dopo facendolo pesare in modo calibrato, senza bandiere, consapevole che il mondo è avvolto da molteplici verità, difficili da svelare.

Se si pensa alla lunga e gloriosa carriera di Edoardo Bennato, si tende, come spesso capita per altri musicisti di lungo corso, a mitizzare i primi lavori e a “dimenticare” i più recenti -si tratta di un argomento interessante che meriterebbe un ulteriore approfondimento-, talvolta alludendo e anelando ad una presunta verginità intellettuale/artistica delle opere iniziali non ancora inquinate dallo show business. Forse, molto probabilmente, si tratta invece di un discorso anagrafico, nostalgico e affettivo di una parte della critica e del pubblico che, in generale, si lascia andare al mito dei tempi passati, si affeziona all’era dei debutti di questi artisti, i quali, una volta raggiunta la consacrazione, non vengono considerati come agli esordi per una sorta di inconscio egoismo e snobismo. Non ci si sente più partecipi della nascita di qualcosa di nuovo e si abbandona o sminuisce il percorso musicale del personaggio in questione, indipendentemente dal fatto che questo sia scaduto o si sia elevato. E ciò è un errore che, ahimè, a volte commettono anche i fan, in un certo senso con maggior colpa, visto che dovrebbero essere grandi conoscitori e non farsi condizionare, perdendo l’eventuale valore di una svolta di qualità. Il passare del tempo incide su ispirazione, stimoli ed inventiva, è un ragionamento che può valere in tutti i campi lavorativi, però il mondo dello spettacolo è quello maggiormente soggetto ad eccezioni e un esempio è la parabola di Bennato.

Osannato e visto come rivoluzionario tra il debutto (1973) e i primi Ottanta, accettato, ma ritenuto troppo commerciale nei successivi due lustri, completamente trascurato nei Novanta,  fino alla rinascita - udite udite - grazie a uno spot Tim agli albori del nuovo secolo. Alcune canzoni, fra cui "Le Ragazze fanno grandi sogni", ideate e pubblicate senza il minimo riscontro proprio nella decade precedente, fanno nuovamente capolino e stavolta spopolano a “causa” di una pubblicità. L’altalena del successo prosegue nel 2003 con la realizzazione di un disco che ha inizialmente una buona risposta in termini di recensioni e vendite, però è troppo presto accantonato e dimenticato. Eppure ricorda la lungimiranza degli esordi ed è un lavoro quanto mai attuale in questo drammatico frangente e merita di essere rispolverato, approfondito e analizzato.

L’Uomo Occidentale si potrebbe definire per certi versi un concept album, in cui il songwriter napoletano mette in evidenza uno sguardo sociale e intimo, molto personale, capace di esplorare le pagine della storia e al contempo sfogliare la margherita dei sentimenti e della semplicità, in un delicato equilibrio che avvolge senza stravolgere l’opera, resa invece credibile da questo contrasto traccia dopo traccia. Così si comincia forte con la nota "Stop America", calibrata e moderna invettiva nei confronti di una nazione ormai abituata a moralizzare e intervenire a sproposito, singolo di successo all’epoca, il cui unico difetto è ricordare un po’ troppo musicalmente "Sleep" dei Dandy Warhols, ma si sa, il mondo delle sette note è pieno di queste “ispirazioni” ed “Edo da questo punto di vista non deve ormai dimostrare nulla e più di una volta ha citato il gruppo come influenza. Il disincanto nei confronti del tanto amato Paese a stelle e strisce è marcato “Alla radio Elvis canta ‘Blue Suede Shoes’ e la scintilla parte da lì, una chitarra conta sempre più di una spada anche se c’è chi non la pensa così…”, appena alleggerito dall’autoironia finale, “Una volta mi sembravi un poco più colorata e una parte di colori li ho persi per strada, ma non voglio approfondire troppo la questione perché quella che io sto cantando è solo una canzone.”  

Seguono una serie di brani vivaci, codificati da allegria e una sfumatura di derisione tendente al sarcasmo, perciò mai banali, come "Ritorna l’estate", "Bambina innamorata", "A me mi piaci così", "Balli e sballi", intervallati da altri mid-tempo con tematiche argutamente collegate. E scorre quindi la più che attuale "A cosa serve la guerra", scritta a quattro mani con il fratello, carica di immagini e sensibilità, “La guerra è un caso irrisolto perché la sua soluzione è che il più debole ha sempre torto e il più forte ha sempre ragione.” Poi  è il turno di "Non c’è tempo per pensare", ancora con il contributo di Eugenio Bennato, impreziosita dagli archi del Solis String Quartet, mirabilmente arrangiati dal fidato Raffaele Lopez, il cui intro di pianoforte da il la a una struggente interpretazione vocale di Edoardo, perfettamente a proprio agio nell’elencare le storture e omologazioni del pensiero unico dopo aver fatto valere la storica posizione antiwar: “Io alla guerra non ci vado, questo è fuori discussione, io che da bambino ero rinnegato e un disertore. Ma quel che è peggio ho disertato cori e manifestazioni e quel luogo comune che separa cattivi e buoni.”

Prima di ritornare agli argomenti chiave dell’opera occorre parlare di "Si scrive Bagnoli", dedicata alla sua città mai scacciata dal cuore, alla sua travagliata storia, di cui l’autore offre questo sguardo luminoso e dolente, raccontando le sofferenze di chi è dovuto fuggire in cerca di futuro come pure di chi è rimasto lì, tra le trincee della incomprensione, usando una serie di metafore e recuperando  personaggi e luoghi cari creati ad arte nella storia della propria discografia. Così compaiono i Campi Flegrei, Mangiafuoco, Lucignolo e il gatto e la volpe, in una narrazione che sconfina nel grottesco e che vede come partner musicali i Velvet: esperimento riuscito!

Il cuore dell’album arriva ora, con quel piccolo capolavoro che si intitola "Every day, every night (A Kiev ero un professore)" cronistoria di un insegnante ucraino costretto a lasciare il proprio Paese: ora fa il lavavetri qui in Italia, “Appena scatta il rosso del mio semaforo, con la mia barba lunga ed il sorriso di scena, un po’ per divertirvi un po’ per farvi pena, con una piroetta che vi mette allegria io svendo la mia laurea in filosofia.” Anche la title track, ironica cantilena costruita su quello che potrebbe assomigliare a un moderno shuffle irrobustito da una brillante sezione fiati, è una raffica di dichiarazioni pungenti “Sono l’uomo occidentale ed ho l’onere e l’onore di vedere e provvedere, destreggiarmi come posso nel mio ruolo di paciere e chi non vuole ascoltare io lo devo allineare, e mi devo adeguare alla logica del male per potere garantire una sana convivenza sul pianeta in questione.”, prima del boogie di "Non so darti torto ragazzino", dove l’autore auspica il potere salvifico del suonare e cantare canzoni. "Non è amore" prosegue le istanze pacifiste con una tenerezza che commuove, in un pezzo dall’amabile orchestrazione, diventato un classico del repertorio live.

“In questo disco dalle tematiche fortemente connesse scrivo e canto delle tensioni tra noi occidentali e quell’altra parte del pianeta che si oppone all’occidente. ‘Non c’è tempo per pensare’, ‘Every day, every night’ e il brano che dà il titolo al lavoro ne sono parte rilevante e tutto il resto è collegato”.

Il connubio tra Edoardo ed Eugenio continua in un’altra traccia potentemente polemica, "Gloria", una specie di inno agli ultimi, ai dimenticati, con alcuni riferimenti al Vangelo; poi l’opera si chiude con un poco di spensieratezza, grazie ai tributi a Carosone e Bob Marley - "‘O sarracino" - e al re del rock and roll Elvis Presley - "Love me" -, ma Bennato non si fa mancare niente e sorprende pure con una traccia fantasma a metà strada tra il serio e il faceto, sicuramente spassosa e colta. Pare sia stata composta nel 1990 ed è la trasposizione in musica dell’ode "Marzo 1821" di Manzoni, una versione abbreviata con l’ammistione di una strofa dalla prima romanza delle "Fantasie" di Berchet. La parte divertente riguarda la scelta di cantare imitando tecnica e voce dell’amico Francesco Guccini, creando un erudito miscuglio di citazioni e personaggi, che sfocia nel demenziale.

Questa sorpresa finale risulta le degna conclusione di un album ispirato, ben prodotto insieme al poliedrico Gigi De Rienzo, in cui l’artista napoletano persiste nella sua irrisione al manicheismo, presente fin dagli esordi, e mette in chiaro quello che è stato e permane il fulcro del proprio concetto personale del rock, concepito come mezzo per creare tensioni, dubbi, interrogativi e trasmettere buone emozioni.

“Ciò che più mi impressiona è la complementarietà tra i miei brani della ‘prima ora’ e gli ultimi. La ritmica schizofrenica ‘bennatiana’ non è cambiata così come non sono cambiate le incoerenze che racconto. È la forza del rock”.

E Bennato con grande coerenza, che significa anche cambiare opinione nel corso degli anni se alcuni contesti sono mutati e nuove incertezze e verità si sono rivelate, è arrivato fino ai nostri giorni realizzando una manciata di progetti davvero interessanti, su tutti Le vie del rock sono infinite (2010), Live Anthology (2018) e il toccante, come sempre lungimirante, singolo "La realtà non può essere questa" (2020), che rinnova la partnership con il fratello Eugenio. Naturalmente il fiore all’occhiello rimane un’intensa attività dal vivo con una band stratosferica, che consacra l’attitudine rock con schitarrate folgoranti e ballatone commoventi, compito facile quando ad accompagnare “Edo” ci sono due Re della sei corde come Gennaro Porcelli e Giuseppe Scarpato ad alimentare la già rinomata mescolanza di blues, folk e tradizione popolare italiana.