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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
29/06/2022
Live Report
Marta Del Grandi, 22/06/2022, Bau at Barrio's
Un concerto bellissimo, di un livello che raramente abbiamo modo di vedere da artisti italiani. Marta Del Grandi è senza dubbio una delle realtà più valide in circolazione nel nostro paese, oltre che una delle pochissime a proporre un genere che spazia dal Jazz al Chamber Pop.

Ho inseguito Marta Del Grandi per qualche mese e finalmente sono riuscita a vederla dal vivo. Mi ero perso la presentazione di Until We Fossilize lo scorso novembre all’Arci Bellezza di Milano e il piano sarebbe stato di recuperarla a fine maggio al Mi Ami, dove si sarebbe esibita su uno dei palchi secondari. Peccato solo che la coincidenza con Iosonouncane mi abbia fatto perdere quasi interamente il suo set: sono arrivato alla fine e ho sentito le ultime tre canzoni, abbastanza per rendermi conto della bontà del progetto in sede live e per desiderare di recuperarla con più calma in un’altra occasione.

Risveglio di periferia si svolge nel cuore della Barona, tentativo molto riuscito di animare e arricchire un quartiere che è stato a lungo simbolo di degradazione ma che oggi si sta lentamente riqualificando. Sono due settimane di concerti, laboratori e spettacoli teatrali, sfruttando sia la location del Barrio’s Cafè, uno dei principali locali della zona, sia il bellissimo anfiteatro dell’adiacente Piazza delle donne partigiane, luogo raccolto e suggestivo, ideale per una proposta come quella della cantautrice milanese.

 

Until We Fossilize è uscito a novembre ma non è il primo disco da lei realizzato: nel 2016, sotto il monicker di MartaRosa aveva pubblicato Invertebrates, prodotto da un nome importante come Pier Ballarin. Si trattava di una declinazione più Pop della sua musica, figlia del periodo in cui studiava Jazz al celebre Royal Conservatory di Gent. In seguito c’è stato il trasferimento in Nepal, la nascita del collettivo Fossick Project e tutta una serie di incontri ed esperienze da cui avrebbe preso il via il lavoro per il nuovo progetto.

Esce a suo nome, questa volta, e viene pubblicato da Fire Records, etichetta inglese tra le più importanti del momento, soprattutto nell’ambito delle proposte che escono da canoni predefiniti.

Until We Fossilize è stato un esordio sorprendente, per certi versi unico nel panorama italiano, non solo perché cantato in inglese. Difficile descrivere queste canzoni, che spaziano dal Jazz sperimentale al Chamber Pop, in una incessante ricerca di suoni e forme che le porta spesso a distaccarsi dalla canzone tradizionale, per approdare a lidi più sofisticati ed elaborati di artiste come Julia Holter, Jenny Hval o Agnes Obel.

 

Questa sera l’occasione per vederla all’opera è davvero privilegiata: il posto è piccolo, il palco è improvvisato ma i suoni sono decisamente meglio di quelli del Mi Ami, la presenza delle sedie oltretutto è funzionale ad un’esibizione di questo tipo. Zanzare a parte, ci sono tutti gli ingredienti per godersi un concerto come si deve, insomma.

Marta sale sul palco pochi minuti prima delle 22, accompagnata dal trio che la segue da inizio tour: Federica Furlani alla viola, Gaia Misrachi al Synth e alla voce (quest’ultima è attiva anche col suo progetto personale ETT, decisamente molto interessante). L’inizio è affidato a una versione leggermente dilatata di “Taller Than His Shadow”, il breve brano che apre l’album: è un momento preparatorio, che sfrutta vocalizzi leggeri e che cresce gradualmente, viola e Synth a costruire pian piano la melodia. A seguire, quasi fossero un’unica canzone, “Shy Heart”, che è anche uno dei momenti più complessi del disco, vagamente ispirato al Folk medievale.

 

L’idea alla base è molto semplice: Marta canta accompagnandosi ora alla chitarra, ora al Synth, Federica utilizza la sua viola per arricchire e sviluppare meglio le melodie, mentre Gaia lavora soprattutto alle seconde voci, più nel ruolo di cantante aggiunta che in quello di mera corista, gestendo nel contempo le parti di Synth e quel poco di elettronica presente in alcuni episodi. Ne vengono fuori esecuzioni di livello altissimo, impreziosite da una resa sonora al limite della perfezione, dove l’assenza quasi totale della sezione ritmica (c’è una batteria elettronica solo in un paio di brani) porta l’elemento cameristico in primo piano, le voci di Marta e Gaia a fungere da elemento portante del paesaggio sonoro, un livello di compenetrazione e intesa veramente alto.

Dal canto suo Marta è spontanea e comunicativa, nonostante l’atteggiamento compassato. Racconta di come siano reduci da un concerto a Ferrara (hanno aperto per Jesus and Mary Chain) e da uno a Stoccarda (parte di una consistente attività all’estero che nei mesi precedenti ha toccato anche Inghilterra e Stati Uniti) e di come abbiano passato talmente tanto tempo in coda in autostrada da non vedere l’ora di fare un concerto a Milano. Introducendo “Swim to Me”, uno dei brani più immediati dell’album, da un cui verso si è originato il titolo “Until We Fossilize”, racconta il suo stupore nello scoprire che sull’Himalaya sono stati ritrovati fossili marini risalenti a miliardi di anni fa e di come tale nozione abbia innescato il processo che ha portato ad un lavoro incentrato sul tema dell’eterno cambiamento del mondo e dell’ambiente.

La magniloquente “Amethyst”, ispirata al mito greco sulla genesi di questo celebre quarzo viola, viene narrata al pubblico con grande partecipazione e rivela una vicenda molto simile a quella, più celebre, di Apollo e Dafne, con Ametista nei panni della ninfa inseguita e il Dio Dioniso a fare le veci di Apollo.

 

Il set dura un’ora e comprende ovviamente tutti gli episodi del disco; menzione particolare per “Lullaby Firefly”, eseguita dalla sola Marta, che lavora con la Loop Station a creare una partitura esclusivamente vocale, sulla scia di un’artista come Norma Winston. A chiudere ci sono poi “Somebody New” e “Totally Fine”, due brani più vicini al cantautorato classico di matrice anglosassone, seppure molto diverse dal punto di vista del mood, più aperta e struggente la prima, più cupa e straniante la seconda.

Spazio anche a due inediti che, come spiega la diretta interessata, “fanno parte di un secondo disco che non esiste ancora”: il primo, il cui titolo non viene annunciato, ha una componente di Synth ed elettronica leggermente più sviluppata degli altri; il secondo si chiama “The End of the World Part. 1”, arriva come bis ed è eseguito dalla sola Marta, chitarra e voce. Difficile fare descrizioni, data la complessità della proposta, ma al primo ascolto l’impressione è senza dubbio positiva.

 

Un concerto bellissimo, di un livello che raramente abbiamo modo di vedere da artisti italiani. Marta Del Grandi è senza dubbio una delle realtà più valide in circolazione nel nostro paese, oltre che una delle pochissime a proporre un genere simile; come sempre, l’auspicio è che sempre più gente possa accorgersene in futuro.

L’altro augurio è che uno spazio come quello dell’anfiteatro del Barrio’s Cafè venga valorizzato molto di più negli anni a venire. Non c’è modo migliore per valorizzare la periferia che renderla il centro di una consistente attività musicale.