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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Mendel dei libri
Stefan Zweig
2008  (Adelphi)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
13/04/2020
Stefan Zweig
Mendel dei libri
Zweig non indugia su inutili descrizioni di stati d’animo, non indaga nei recessi dell’animo del suo protagonista: la frantumazione della vita di Mendel è lì, nell’immagine semplice ed efficace dei suoi occhiali rotti, così come sono sempre gli occhiali incollati alla meglio a rappresentare una ferita che non può scomparire, che ormai resterà per sempre.

Chi ama i libri lo sa: la lettura non è mai un’abitudine, è una dipendenza. Da un lato ti fa sentire parte di una comunità e dall’altro ha la capacità di isolarti, di metterti in una dimensione tutta tua, oltre lo spazio e il tempo. Così arriva un momento in cui si avverte potente il desiderio di conoscere tutti i libri, indipendentemente dal fatto che riusciremo mai a leggerli; se non li possiamo materialmente possedere tutti, li vorremmo, almeno, tenere nella mente, indelebili. E ci sono allora i lettori che spulciano i cataloghi di tutte le case editrici, che si informano sulle ultime novità, conoscono i testi fuori commercio, quelli in ristampa, i costi delle diverse edizioni e così via. Non so se vi è mai capitato di conoscere qualcuno di questi “personaggi” ma vi assicuro che ci sono e sono dei veri e propri cataloghi di libri viventi. E vivono di libri.

Mendel dei libri è uno di loro.

Pubblicato nel 1929, Buchmendel, è un racconto potente e intenso. È la storia di un uomo unico, Mendel appunto, raccontata da un anonimo narratore sulla scorta di un tuffo nel passato che gli ha riportato alla memoria quella personalità così particolare conosciuta anni prima. Lo assale subito il desiderio di avere notizie di quest’uomo così speciale e, quando pare che nessuno ne sappia alcunché, ecco che una vecchia signora, l’addetta alle pulizie del Caffè, gliene racconta la storia.

Siamo a Vienna, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il narratore è ormai un uomo maturo e, entrato per caso in un caffè del centro, il Caffè Gluck, si ricorda di quando lì, in una delle sale laterali, sempre seduto al solito tavolino, c’era un vecchio ebreo, Mendel, perennemente circondato da libri e carte, una vera istituzione per chiunque avesse intenzione di acquistare un libro o di fare una ricerca.

Mendel, infatti, conosce tutti i titoli dei libri in circolazione, sa quali sono in stampa, quali sono fuori commercio, quali ripubblicati, quanto costano, dove si possono trovare... Jakov Mendel, dei libri, sa ogni cosa.

Non è un bibliotecario, e anzi non nutre grande stima per i bibliotecari che, a suo dire sono ignoranti; Mendel commercia in libri, per suo conto o su commissione, e ha una memoria prodigiosa e una passione folle per essi perché, come ricorda il narratore, «[...] lui leggeva come altri pregano, come i giocatori giocano e gli ubriachi tengono lo sguardo fisso nel vuoto, storditi; il suo rapimento quando leggeva era così commovente che, da allora, il modo in cui gli altri leggono mi è sempre parso profano».

Conosciuto da bibliofili di ogni Paese, dunque, Mendel trascorre le sue giornate al tavolino del Caffè Gluck e la sua presenza, benché nell’aspetto sia molto trascurato, è per il locale motivo di vanto dal momento che chiunque abbia necessità di procurarsi un libro o di avere testi e notizie relativamente ad un qualsiasi argomento, si rivolge al piccolo ebreo e immediatamente ha a disposizione un vero e proprio catalogo vivente. Proprio in questo modo il narratore lo aveva conosciuto, quando, da studente, dovendo fare una ricerca, un amico lo aveva condotto al Gluck per essere indirizzato da Mendel che, nemmeno a dirlo, gli aveva fornito tutti i titoli in circolazione relativi all’argomento di suo interesse. E questo senza volere niente in cambio, perché a Mendel non interessa il denaro... a dire il vero, non gli interessa niente di tutto quello che accada al di fuori dei libri: i suoi occhi e la sua mente si accendono di passione solo quando parla di quelle pagine prodigiose, quando si concentra sul mondo di carta che porta con sé. E lì, in quel mondo, che importanza può mai avere tutto il resto, incluso un evento così insignificante quale lo scoppio del conflitto mondiale???

È così che Mendel si mette nei guai: inconsapevole del rischio cui si espone, continua a mantenere contatti con bibliofili di tutta Europa, incluse Francia e Inghilterra, Paesi nemici dell’Impero Austro-ungarico, e in breve la sua corrispondenza comincia ad apparire sospetta e l’ebreo viene arrestato. Non solo: si scopre che Mendel è di origine russa, non ha mai chiesto la cittadinanza austriaca, non si è mai curato di presentarsi alle autorità, da trent’anni vive “clandestinamente”.

È una cosa inammissibile. Per gli altri. Per tutti. Ma non per il nostro Jakov. Infatti, cosa mai importa al nostro personaggio di queste piccolezze, di questi passaggi burocratici, a lui che vive come cittadino di un mondo fatto di pagine e parole, in cui gli unici confini sono rappresentati dalle copertine rilegate che aprono e chiudono nuovi Paesi? Del resto, «Se mai nella nostra esistenza riusciamo ad attingere qualcosa di speciale, qualcosa di più elevato, ciò accade solo al prezzo di una particolare concentrazione interiore, di una paranoia sublime, e, nella sua sacralità, affine alla follia».

Ecco allora che Mendel viene internato in un campo di concentramento per due anni, accusato di essere un sovversivo, una spia, un cospiratore. Ne esce solo grazie ai suoi rapporti con personaggi importanti che erano suoi clienti e, come lui, appassionati di libri.

Il mondo, quello vero, non di carta, entra prepotentemente nell’universo del povero Jakov e lo cambia per sempre così come la guerra ha cambiato per sempre la città, il Caffè Gluck, i comportamenti delle persone.

E i libri non possono salvarlo. La genialità di Zweig, e la lucida visione che ha della vita e della storia, si palesano proprio in questo dato oggettivo: i libri non possono impedire il cambiamento, non possono far tornare Mendel al suo tavolino e al suo lavoro come un tempo.

Il suo è un epilogo triste. Ci saremmo aspettati il bel finale, la svolta positiva, con i bibliofili influenti che intercedono per Mendel e gli permettono di riprendere la sua vita. Invece no. Perché l’intento dell’autore è quello di rappresentare, attraverso il suo personaggio, l’impossibilità di confinare la cultura, di porle dei limiti, di volerla ancorare per forza all’aridità della vita. La guerra aveva distrutto un mondo e niente poteva più essere come prima: «Mendel non era più il Mendel e il mondo non era più il mondo».

È questa la lezione più importante di questo libro, attualissima considerate le circostanze del nostro momento, di questo 2020 in piena pandemia. Gli eventi ci cambiano. Ci devono cambiare. Non si può pensare che, passata la burrasca, si ritorni alla normalità. Anche chi, come Jakov Mendel, ha sempre vissuto nell’idea, in una propria personale e, per certi versi, incomprensibile dimensione, senza nuocere ad alcuno, non può non essere travolto da eventi di portata così universale.

Mendel (in cui si coglie l’eco della personalità dello stesso Zweig, bibliofilo, ebreo, convinto pacifista, le cui opere vennero messe al rogo dal nazismo nel 1933), rappresenta l’amore disinteressato per la conoscenza, la volontà di vivere la propria vita in maniera diversa e non convenzionale, seguendo una passione assoluta. Con una assoluta dignità.

Zweig non indugia su inutili descrizioni di stati d’animo, non indaga nei recessi dell’animo del suo protagonista: la frantumazione della vita di Mendel è lì, nell’immagine semplice ed efficace dei suoi occhiali rotti, così come sono sempre gli occhiali incollati alla meglio a rappresentare una ferita che non può scomparire, che ormai resterà per sempre. Ci sono autori che riescono a fare in modo che i loro romanzi siano strumenti per realizzare incantesimi, una sorta di anello di Gige che ci dà l’invisibilità: la cifra stilistica di Zweig, quel suo linguaggio essenziale, misurato, quel tono malinconico e leggero ci portano immediatamente lì, presso il tavolino di marmo del Caffè Gluck, a comprendere lo strazio di non poter più vedere Mendel seduto a leggere e a dispensare consigli di lettura a chiunque ne abbia bisogno.

Eppure, qualcosa di Mendel dei libri è rimasto, oltre al ricordo della vecchia signora del caffè e dell’ormai maturo ex studente, e non poteva essere altrimenti: di Mendel è rimasto un libro perché in fondo «[...] i libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caduta e l’oblio».

E chi ama i libri lo sa.

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