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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
18/07/2022
Sting
Mercury Falling
Mercury Falling incarna per Sting l’album dei cambiamenti. Si stacca a livello di sound e arrangiamenti dal precedente Ten Summoner’s Tale, incorporando, nella classica intelaiatura pop rock screziata di jazz, schegge di soul, country e bossa nova, e si trasforma esso stesso a mano a mano che si distende nelle undici vibranti canzoni. Dalla morsa dell’inverno di “The Hounds of Winter” al luminoso e speranzoso tramonto di “Lithium Sunset”, in un viaggio dove il volume cresce, il ritmo incalza e l’emozione pervade l’anima, con l’atmosfera che si colora di magiche sfumature sonore, sino al tiepido e rassicurante finale.

“Il tema del termometro e del mercurio che scende quando fa freddo è una metafora della vecchiaia e della solitudine, ma anche della perdita di un compagno, di qualcuno che si ama. Mi piace pensare alle oscillazioni del mercurio in un contesto astrologico o addirittura meteorologico. O ancora abbinarle ai vari cambiamenti di genere presenti in Mercury Falling”.

 

Proprio "Mercury falling" sono le prime parole di "The Hounds of Winter", intensa ballata, opener dell’album, che vede uno Sting fortemente ispirato raccontare l’arrivo del freddo inverno quando nel cuore del protagonista è sopraggiunto il gelo, per la prematura scomparsa della sua amata: “Sembra che se ne sia andata lasciandomi troppo presto. Sono scuro come Dicembre, ho freddo come l’uomo sulla luna.”

L’inizio è indimenticabile, il brano è uno di quelli in grado di mantenere intatta la bellezza per sempre, e ancor più apprezzabile è la scelta di inserirlo all’inizio, per far capire il mood di un’opera che, come le stagioni e i sentimenti, cambia ad ascolto in corso, e la dimostrazione arriva repentina con il morbido country di "I Hung My Head".

Non è una novità per il “pungiglione”, appassionato fin dalla gioventù di film western, approcciarsi a questo genere sia musicalmente sia liricamente, È mattina presto, c’è tempo per ammazzare. Vedo la forca sulla collina…chiedo misericordia a Dio perché tra poco sarò morto…”. Già nel precedente pluripremiato Ten Summoner’s Tale aveva fatto capolino "Love Is Stronger Than Justice (The Munificent Seven)", pezzo imbrattato di folk e country, tuttavia questa canzone si appiccica perfettamente alla roots music americana, tanto che il leggendario Johnny Cash la includerà nel suo stupendo American IV: The Man Comes Around (2002). E, per chiudere il cerchio, non si può scordare un’altra incursione in questo mondo con la traccia numero sei del disco, "I’m So Happy I Can’t Stop Crying", fresca come acqua corrente e resa cristallina dalla pedal steel di un appassionato professionista come B.J. Cole.

Potrebbe essere un azzardo collegare, per titolo e stato d’animo manifestato, tale motivo al classico dei classici di Hank Williams, la profonda "I’m So Lonesome I Could Cry", certamente in entrambe vi è la forza di cantare il dolore, e risulta ben raffigurato e accomunabile quel voler esprimere intense emozioni personali connettendole alla beltà e al mistero dell’universo. Un universo, una natura implacabili, infiniti, che proseguono il loro corso indipendentemente dagli affanni umani.

 

“Lasciati pilotare dalla tua anima, lasciati guidare dalla tua anima, ti guiderà bene”.

 

Oltre a essere il primo singolo, "Let Your Soul Be Your Pilot" è il cuore pulsante dell’album, un gospel che porge una nuova dimensione all’architettura musicale dell’ex Police e costruisce un ponte verso luoghi amati da tanto tempo e solo sfiorati, mai abbracciati così dolcemente, ove il soul, la predilezione per il coro a più voci di stampo spiritual e un testo intimista offrono un briciolo di speranza pur affrontando un tema come la morte. Lo struggente sassofono dell’amico di lunga data Branford Marsalis, i fiati dei mitici Memphis Horns e l’ensemble di settanta vocalist dell’East London Gospel Choir lasciano senza respiro, con un groppo in gola, la commozione sale e scende qualche lacrimuccia.

 

La caratteristica di Mercury Falling, ricordiamolo, è la metamorfosi e "I Was Brought To My Senses" risulta l’esemplificazione di tale concetto. L’angoscia di una pianura infinita, in cui le sonorità ricorrenti di un artista giocano noiosamente a rincorrersi non fa parte di questo lavoro, frastagliato e attraversato dal tumultuoso fiume del mutamento. L’incipit richiama una folk ballad, presto però si trasforma in una rutilante e palpitante bossa nova reminiscente del Maestro Antonio Carlos Jobim. Il finale è in crescendo, per un brano accarezzato dal violino di Katherine Tickell e dai fraseggi acustici del fedele Dominic Miller. Le liriche sono un inno laico allo spettacolo del Creato, un vero toccasana per le menti in tempesta che trovano rifugio nel cielo, negli alberi, nel mare.

Il tocco di “Uragano” Vinnie Colaiuta alla batteria è un trademark dell’intero LP - altro solido pilastro ne è l’istrionico e infaticabile Kenny Kirkland alle tastiere - e brilla particolarmente in "You Still Touch Me" e "Twenty Five To Midnight", tracce movimentate da una possente sezione ritmica -Sting al basso è imbattibile- e fiati. Qui dimora una profonda impronta del memphis sound, con soul, funk e r&b che vanno a braccetto, mentre tutto profuma di vinili incisi da personaggi della mitica etichetta Stax, da Otis Redding e Sam & Dave fino a Isaac Hayes e Wilson Pickett.

 

“Passa dal caldo al freddo proprio come una tempesta. Lei è il mio dono del Signore o di un amico infernale. Questa è la mia bambina, può incarnare tutte le quattro stagioni in un solo giorno”.

 

Il tema centrale dell’album permane, però, l’irrequietezza, il concetto di “mercuriale”; ora è il turno di "Coco", la piccola del musicista -all’epoca “cinquenne”-, la quale viene descritta con i suoi repentini cambi d’umore, in un ritratto ironico e affettuoso nella rockeggiante "All Four Seasons", colorata di infarciture black, ancora grazie agli ottoni dei Memphis Horns.

Che potrebbe mancare in questo caleidoscopio di generi e stili per terminare il percorso? Sicuramente "La Belle Dame Sans Regrets" è inaspettata; l’amore per la bossa nova era già dichiarato, ora giunge il suono della lingua francese, unione azzardata, ma bensì indovinata con la ritmica brasiliana. Ecco, quindi, un’altra genialata del “pungiglione”, e pare che l’ispirazione affondi le radici nel poema di Keats “La Belle Dame Sans Mercy”.

 

“Mercury Falling è la versione sonora di me stesso”.

 

"Valparaiso" e "Lithium Sunset" sono la degna conclusione di un’opera pretenziosa, ma lungimirante e dal valore inestimabile, verrebbe da dire col senno di poi, dato che pochi, alla pubblicazione nel 1996, hanno colto l’ampia visione all’interno di essa. Un’opera liricamente legata da un sottile filo conduttore, che ha abbracciato in ogni pezzo un genere diverso e si è tuffata di testa nel mare agitato della contaminazione, tornando vincente a galla. Nel dettaglio la prima traccia, ammorbidita da un languido “outro” latineggiante che ricorda l’allungato finale “danzereccio” di "They Dance Alone", innesca malinconia e sensazione di perdita, in un testo che tratta non solo simbolicamente di morte, abbozzando la storia di un naufragio a largo delle coste del Sud America: il riferimento è a Valparaiso, meravigliosa città cilena e porto più importante che si incontra una volta oltrepassato Capo Horn, nell’Oceano Pacifico. L’atmosfera evoca un che di ancestrale con le Northumbrian pipes di Katherine Tickell in evidenza.

Accarezzata da una gentile armonica, la tiepida "Lithium Sunset" chiude invece il disco riproponendo al termine le parole “(See) Mercury falling”  e, nonostante la constatazione che Mercurio, allo stesso modo dell’umore, scenderà nuovamente, cerca di dare un barlume di fiducia evocando il potere taumaturgico del sole, i cui raggi sono in grado di sollevare da ansia e depressione. Sting racconta che il fulcro ispiratore della composizione arriva dall’incontro con uno sciamano brasiliano, laureato in chimica, il quale gli ha spiegato come uno degli elementi della luce solare sia il litio, usato per decenni nel trattamento di vari problemi di salute mentale, risultando molto efficace: “L’occhio umano non può filtrare la luce gialla, che arriva dritta al cervello e ha lo stesso effetto del litio, utilizzato per guarire le manie depressive. Il mio brano celebra questa credenza sciamanica.”

 

Dolore, morte, solitudine, perdita, affanno, delusione, volubilità e tradimento affiorano nelle undici schegge di vita ideate dal musicista inglese, che in questo percorso non trova una vera e propria cura ad essi, tuttavia scopre l’importanza della bellezza dell’universo, la meraviglia di un mare azzurro o di un tramonto color speranza. E forse la lezione è proprio questa, indugiare costantemente verso ciò che rasserena, anche nei momenti più difficili, e vedere, ma soprattutto accettare, le sconfitte accumulate durante l’esistenza come tappe per affrontare al meglio quello che deve accadere.

Come diceva Nelson Mandela: Io non perdo mai: o vinco o imparo”.