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REVIEWSLE RECENSIONI
09/06/2022
Silverstein
Misery Made Me
I Silverstein raccontano ancora una volta ansia, intorpidimento e disperazione, cosa voglia dire esserne attanagliati, ma anche cosa significhi accettare e adattarsi alle nuove realtà a cui la vita ci pone dinnanzi. Se poi il tutto si affronta con ottime canzoni, questo viaggio nelle miserie umane risulta uno dei più piacevoli dell’anno.

"This is for the fuck-ups, double down on bad luck, you can tell everybody this is our song"

 

Dall’ultimo A Beautiful Place To Drown sono passati a malapena due anni, ma i Silverstein sono già pronti a condividere nuovamente pensieri, riflessioni, frustrazioni e depressioni con i loro fan. Questa volta le motivazioni dietro questi sentimenti sono date anche dai lunghi mesi di lockdown, che hanno regalato nuove sfumature di nero a diverse anime e nuove occasioni per sondare gli abissi della disperazione a molte persone.

In Misery Made Me questi sentimenti vengono subiti, sondati, scavati e analizzati, descrivendo tra testi e musiche l’ansia generata dal senso di impotenza, dalla percezione di una perdita di controllo sulle proprie vite e sulla propria mente, ma anche l'ansia scaturita dalle relazioni tossiche, dalle pressioni date dalla società o dal quelle mondo della disinformazione in cui siamo immersi.

 

Di ansia si parla spesso: più di frequente a sproposito e in senso enfatico, ma, a pensarci bene, sempre più di frequente “in ansia” tutti noi lo siamo sempre più sul serio. Giovani o meno giovani, ragazzi o adulti; l’età è un discrimine molto labile nel momento in cui ci troviamo ad affrontare come individui la società odierna e le pressioni che crea. Vediamo queste tensioni nei rapporti con un mondo che sta sempre più crollando sotto i nostri occhi, ma soprattutto nei rapporti con le persone che lo abitano, nei confronti delle quali sono sempre più presenti tensioni, invidie, fatiche, difficoltà, distanze e competizioni.

Se quindi l’ansia è definita come "uno stato di tensione psicologica e fisica che comprende reazioni cognitive, comportamentali e fisiologiche che si manifestano in seguito alla percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso e nei cui confronti non ci riteniamo sufficientemente capaci di reagire", quante volte possiamo dire di esserne realmente esenti? Quante volte soccombiamo ad essa, cadendo nel vortice della disperazione, magari mantenendo all’esterno un bel sorriso? E quante volte riusciamo invece a combatterla e ad attuare comportamenti e iniziative che ci permettono di adattarci alla nuova situazione?

Spesso la forza per uscire da questo maelstrom psico-cognitivo viene tratta dal riprendere in mano chi siamo, cosa ci piace e cosa vogliamo, alla faccia di tutto il resto. Ed è in fondo di questo che parla Misery Made Me. Di questi sentimenti, di cosa significa provarli e di cosa voglia dire rappresentarli al mondo, riprendendo in mano i suoni delle proprie radici assieme alle sperimentazioni che si vorrebbe provare, ma che prima ci si faceva qualche remora a realizzare.

 

"Per la prima volta nella nostra carriera abbiamo veramente messo tutto in gioco. Siamo partiti senza regole e senza preconcetti su ciò che i Silverstein sono o potrebbero essere. In qualche modo abbiamo scritto le canzoni più pesanti, più tristi, più orecchiabili e più emotive in 22 anni di band... tutte nello stesso album". (Shane Told)

 

Troviamo quindi tutto ciò che i Silverstein sono, quello che sono sempre stati e quello che potrebbero essere; il post-hardcore, il pop-punk, l’emo, lo scremo, un pizzico di rock e quant’altro, mescolato nei modi più vari sia nelle canzoni che hanno realizzato insieme come band, sia in quelle dove hanno trovato utile condividere l’esperienza con altri, sotto la sempre attenta produzione di Sam Guaiana (presente già nel precedente album) presso gli Jukasa Studios nella campagna dell'Ontario, in Canada.

Per quanto concerne le tracce 100% Silverstein c’è poco da dire: “Our Song” è sicuramente una delle più belle del disco e, come da tradizione, permette di iniziare l’ascolto con una notevole carica di adrenalina, regalando al contempo uno dei più bei ritornelli dell’album. “Ultraviolet”, “It’s Over” e “Bankrupt” prendono il meglio dall’essenza dei Silverstein, valorizzandone i toni emozionali ma – soprattutto – non disdegnandone i lati più pesanti. “The Altar/Mary”, invece, rappresenta la quota più sperimentale, fondendo i lati più metalcore con quelli pop ed elettronici in un elegante lotta manichea che, bisogna dirlo, non può che dirsi decisamente riuscita e affatto scontata. Nota calante forse per “Don’t Wait Up”, carina ma nulla di più, e per “Misery”, la traccia di chiusura, ma per gli amanti delle ballate potrebbe non essere annoverabile tra i punti deboli.

Rispetto alle canzoni che godono di una collaborazione, invece, ne troviamo ben quattro. Due rappresentano in qualche modo il passato e le radici della band: da un lato Andrew Neufeld dei Comeback Kid nella bellissima “Die Alone”, dove emergono prepotenti le comuni radici nell'hardcore punk più aggressivo, dall’altro Mike Hranica dei Devil Wears Prada in "Slow Motion", dove emotività e aggressività si amalgamano in una delle più riuscite tracce dell’album. Le altre due tracce, invece, rappresentano il rapporto della band con punti di vista diversi (per età, formazione e background) e con la modernità: da un lato la non riuscitissima collaborazione con Trevor Daniel in "Cold Blood", dove ciò che meno convince è il mordente, poiché il brano risulta un mid-tempo emo-rock contemporaneo un po' anonimo e tutto sommato evitabile nell’economia del disco; dall'altro nothing,nowhere. in "Live Like This". Quello tra Joe Mulherin e Shane Told è un binomio più riuscito, per quanto non sia comunque tra le canzoni migliori del disco: forse perché si sviluppa in un territorio più “Silverstein”, o forse perché Joe è cresciuto ascoltando la band (era una delle sue preferite) e ha preso ispirazione proprio da Shane quando ha iniziato a cantare. Ritrovarsi quindi a lavorare insieme su una canzone che potesse testimoniare la trasversalità del sentimento di ansia e incertezza, oltre che la volontà di toccare il fondo per ritrovare la speranza, non poteva che generare un'esperienza positiva.

 

Intriganti, oscuri, depressi e implacabili, i Silverstein realizzano un nuovo ottimo lavoro, testimoniando una volta di più un’imperterrita volontà di suonare e comunicare ai fan vecchi e nuovi la loro musica e le loro riflessioni, in una forma che sempre più libera da etichette, sempre più riconoscibile e con la sempre piacevole caratteristica di finire con il farti cantare i ritornelli ad alta voce e di farti tornare a scegliere i loro album dall’elenco di riproduzione.

Che tu sia giovane, adulto, fan vecchia data o di recente acquisizione, se ti senti un po' underdog, sfigato, incompreso, solo, frustrato, in ansia o una quota variabile di tutto ciò, queste canzoni sono per te. Non importa con quale miseria del corpo o dell’animo tu sia nato o su quali infelicità tu abbia camminato: non farti seppellire, rialzati, fai pace con te stesso, riprendi le redini della tua vita e alza la testa. Nulla potrà più spezzarti.