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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
Mother of all saints
Thinking Fellers Union Local 282
1992  (Matador Records)
ALTERNATIVE ROCK NOISE / GARAGE / INDUSTRIAL
all RE-LOUDD
24/02/2018
Thinking Fellers Union Local 282
Mother of all saints
Mother Of All Saints è una serie di vignette lunari e variegate dove l'ardito impasto sonoro di chitarre, archi e percussioni rielabora e scombina qualsiasi stile (spesso all'interno dello stesso pezzo) non scadendo, tuttavia, nel disordine goliardico: tale potente eccentricità riesce, invece, a coagularsi in brevi tracce ben definite (quasi sempre sotto i cinque minuti).
di Vlad Tepes

Di stanza a San Francisco, ma originari dello Iowa, i Thinking Fellers Union Local 182[1] hanno dato vita ai tourbillon anarchici più eccitanti della recente storia dello sperimentalismo americano.

Mother Of All Saints è una serie di vignette lunari e variegate dove l'ardito impasto sonoro di chitarre, archi e percussioni rielabora e scombina qualsiasi stile (spesso all'interno dello stesso pezzo) non scadendo, tuttavia, nel disordine goliardico: tale potente eccentricità riesce, invece, a coagularsi in brevi tracce ben definite (quasi sempre sotto i cinque minuti).

Largo uso dell'improvvisazione, fuori tempo, chitarre atonali, scarti improvvisi di melodia e ritmo, galoppate deliberate verso il nulla, sferragliamenti, vicoli ciechi, sovrapposizioni vocali formano l'universo non euclideo dei Thinking Fellers: i ventitré quadretti sono, perciò, brevi atti unici uniformati, come detto, dal tono sregolato. Talvolta affiora una canzone quasi canonica (“Hive”) o il semplice gusto dello sberleffo (“Pleasure Circle”), ma ogni composizione (mai definizione fu più esatta) vive di vita propria e andrebbe analizzata separatamente: “Tight Little Thing” è un breve jazz slabbrato; “Hosanna Loud Hosanna” è un cascame di lavorazione di Captain Beefheart; la quieta ballata “Cistern” viene ben presto risucchiata nei crescendo tipici dei Nostri e impreziosita dalla viola (strepitosa) di Hageman; “Raymond H.” è inaugurata da grida scimmiesche, poi evolve “riuscendo a tessere un ponte fra il bluegrass e le musiche esotiche, fra la musica d'avanguardia e Morricone”[2] sino alla conclusiva orgia di percussioni; poi abbiamo la strepitosa “Hornet's Heart” coi suoi coretti beffardi e gli archi vertiginosi; “Hummingbird In A Cube Of Ice” (con reiterate false partenze e svolgimento quasi new wave), il girotondo di “Gentlemens' Lament”, la viola di “Infection”, molto Velvet Underground - viola che domina anche la concitata “Catcher”; e poi il tono crooner di “1' Tall” interrotto da disastri noise, le sfasature da ubriachi di “None Too Fancy” con richiami finali alla zappiana “Help I'm A Rock” ... Serve altro?

Se non fosse inutile, sarebbe divertente ricostruire le influenze e le paternità rintracciabili in poco più d'un ora di musica. Un pastiche memorabile, uno dei capolavori degli anni Novanta.

[1] Anne Eickelberg (voce, basso, percussioni); Brian Hageman (chitarra, viola, mandolino, percussioni); Mark Davies (voce, chitarra, basso, percussioni, banjo, corno, organo); Hugh Swarts (chitarra, tastiere, percussioni); Jay Paget (voce, percussioni)

[2] Piero Scaruffi.