Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
19/02/2024
Muddy Waters
Muddy “Mississippi” Waters Live
Crudo, potente e funky. Registrato nell’ultimo periodo della leggendaria carriera di Muddy Waters, quando l’artista torna prepotentemente alla ribalta nello show business, questo live album è imprescindibile per approfondire il genere, una passeggiata spavalda nel cuore del blues.

Muddy Waters rappresenta, per molti versi, l'archetipo del bluesman. Nato nel 1913 a Issaquena County, McKinley Morganfield, questo il suo vero nome, tira a campare come mezzadro nel delta del Mississippi, a Clarksdale, dove impara a suonare prima l’armonica e un vecchio accordion, poi la chitarra acustica. Il suo pseudonimo, in italiano letteralmente “Acqua fangosa”, lo riceve dalla nonna, divertita nel vederlo sguazzare e imbrattarsi nelle pozzanghere di fango. Una donna forte e generosa, che lo accudisce dopo la morte della mamma, avvenuta quando aveva soltanto tre anni. Eddie Boyd, indimenticabile pianista e compositore, è uno dei suoi cugini e comincia a instradarlo nel mondo della musica black, ove incontra anche uno dei padri del genere, Son House.

Specchio riflesso di una situazione sociale e storica che dalla stagione dell’avvio accompagnerà poi il blues lungo tutti i versanti del tracciato degli USA verso la contemporaneità, Muddy si trasferisce a Chicago nel 1943. È il momento, infatti, della transizione dal Country Blues al City Blues, legato l’uno alla realtà del delta, e delle campagne lambite dalle acque del Padre Fiume, l’altro alla logica urbana, quando, in generale, l’uomo afroamericano comincia a emigrare verso le metropoli. Uno spostamento dalle regioni povere e aride del Sud verso New York, Detroit e appunto Chicago, in cui il Nostro si trova a vivere e operare.

 

Nella “città del vento” avviene la svolta, e insieme alla sua band Waters delinea il nuovo sound, quello del blues elettrico. Nei tre decenni e mezzo successivi, il suo diviene un trampolino di lancio per molti dei propri collaboratori, da Jimmy Rogers e Little Walter a Otis Spann dando vita a un'importante scuola di artisti del genere.

Il 1960 è sicuramente da ricordare per la trionfale esibizione al Newport Jazz Festival: il suo repertorio “elettrizza” una platea di spettatori bianchi. La forza, la genialità e l’intuito di Muddy consentono di aggiungere alla tradizione delle origini la freschezza del rock and roll; grazie a quella spettacolare performance finalmente ottiene il giusto riscontro anche da un pubblico che, questo è il paradosso, prima di quel momento conosce a menadito i gruppi ispiratisi a lui e ignora invece il suo status e la sua primaria importanza.

Gli anni Settanta si affacciano invece in modo più difficile sulla vita di Waters, il quale attraversa un periodo altalenante (comunque con alcune perle) dopo il blues revival della decade precedente. Il passaggio di etichetta dalla storica, ma ora flebile Chess Records alla Blue Sky, associata alla CBS/Epic gli consentono una nuova vitalità per merito dei pluripremiati Hard Again (1977) e I’m Ready (1978), prodotti da Johnny Winter, che aggiunge naturalezza e qualità alle opere di uno dei suoi idoli.

 

La notorietà di Winter contribuisce inoltre ad avvicinare ancora altri nuovi ascoltatori al bluesman e l’album dal vivo seguente conferma la statura internazionale del personaggio. Muddy “Mississippi” Waters Live brilla per sette bellissime interpretazioni di classici dell’artista (la sua epica Telecaster rossa del 1957 è in forma come non mai!) e per la straordinaria band che lo accompagna.

Registrato tra il 1977 e il 1978 in due iconiche location, l’Harry’s Hope a Cary, nell’Illinois e il Masonic Auditorium di Detroit, il disco presenta, oltre al già menzionato Winter, alcuni nomi celebri del calibro degli storici armonicisti James Cotton e Jerry Portnoy, dei chitarristi Bob Margolin e Luther “Guitar” Johnson e dell’istrionico Pinetop Perkins, pianista straordinario che meriterebbe una storia a sé stante. La sezione ritmica è tenuta magistralmente in piedi dal batterista Willie “Big Eyes” Smith, un nome, una certezza e, in alternanza a seconda dello show, dai bassisti Calvin Jones e Charles Calmese.

 

«C'è un demone in me. Penso che ci sia un demone in ognuno di noi, una parte oscura in tutti noi. E il blues è il riconoscimento di questo aspetto e la capacità di esprimerlo e di renderlo divertente, di trarre gioia da queste cose oscure. Quando si ascolta Muddy Waters, si può sentire tutta l'angoscia, tutta la forza e tutte le difficoltà che hanno forgiato quell'uomo. Ma Muddy le ha fatto uscire attraverso la musica, liberando il sentimento nell'aria. Il blues mi fa sentire meglio». Prefazione di Keith Richards a “Can’t Be Satisfied: The Life and Times of Muddy Waters”  di Robert Gordon; Little Brown & Co, 2002.

 

Parole “sante”, si fa per dire, quelle di Keith Richards, il cui inossidabile gruppo ha preso il nome proprio da una sua canzone, “Rollin’ Stone”.  Come dargli torto ascoltando il classico dei classici "Mannish Boy", la slide sinuosa e serpeggiante di "Howling Wolf", lo stomp del profondo Sud di "Baby Please Don't Go" e "Deep Down in Florida", una passeggiata spavalda di nove minuti nel cuore del blues con eccellenti assoli di chitarra, pianoforte e armonica? Tutta l’opera è permeata da un ineluttabile senso di tragicità, ma il canto doloroso e disperato diventa anche sollievo e conforto, una sorta di liberazione che fa stare bene e dona tranquillità.

Dall’autografa “She’s Nineteen Years Old” al recupero dello standard di Sonny Boy Williamson “Nine Below Zero”, tutto funziona alla grande, grazie alla meravigliosa alchimia sonora creatasi tra i membri della formazione, alla struggente performance del frontman e a una setlist incisiva che comprende pure una “Streamline Woman” dal groove immortale, che manda in visibilio gli spettatori presenti.

 

Muddy “Mississippi” Waters Live viene ripubblicato come Legacy Edition rimasterizzata in due CD nel 2003, con l’inserimento di undici succulenti brani inediti per gli affamati di blues. Se l’edizione normale del 1979 si aggiudica meritatamente un grammy, chissà che sarebbe accaduto con quella espansa! Il dischetto aggiuntivo, al pari del primo, ma forse con ancor maggior enfasi, trasuda libertà, voglia di riscatto e di vivere.

Tuttavia, come accade sempre nell’universo unico e speciale “delle dodici battute”, malgrado tutto questo apparato sotteso di vivacità e di apparente allegria, al fondo del canto e delle melodie persiste qualcosa di diverso: tristezza e dolore con profondo senso di esaltante aspettazione e di speranza. Così, durante l'introduzione del secondo CD, Waters offre una toccante elegia per il suo amico/collega, l’allora recentemente scomparso T-Bone Walker, prima di lanciarsi in una "Stormy Monday Blues" da brividi, ed è in ottima forma negli standard come “Trouble No More", "Corrina, Corrina" e in "Hoochie Coochie Man" di Willie Dixon. L’autore e chitarrista statunitense propone, fra le altre, anche una feroce "Champagne and Reefer", il divertente shuffle di "Everything's Gonna Be Alright", mentre la conclusiva "Got My Mojo Working" risulta certamente all'altezza del suo lignaggio. Merita ancora una citazione l’intramontabile Pinetop Perkins, felice interprete di una delle migliori versioni di "Kansas City" mai registrate e irrefrenabile improvvisatore di un'entusiasmante "Pinetop's Boogie Woogie".

 

Muddy Waters lascia questo mondo nel 1983, pochi anni dopo la pubblicazione di questo capolavoro dal vivo. Muore nel sonno a causa di un’insufficienza cardiaca, ma già da alcuni mesi si era ritirato dall’attività dal vivo per complicazioni legate a un tumore. Ci abbandona un maestro, il re delle note giuste, dalla voce inconfondibile e dalla chitarra profonda e semplice. Un mago dell’esecuzione che esaltava i testi, dando intensità alle parole stesse.

Ora, a più di quarant’anni dalla sua scomparsa ci si rende sempre più conto che aveva ragione B.B. King quando diceva: “Dovranno passare anni e anni prima che la maggior parte della gente comprenda quanto è stato grandioso per la storia della musica americana”. Leggendario. Da contadino a Padrino del Blues, voce di gioventù, ribellione e democrazia.