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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
29/01/2024
Ray Charles
My World
"My World" è un album controverso, frutto del tentativo di coniugare le interpretazioni e la musicalità di Ray "The Genius" Charles a sonorità moderne e contemporanee. Un disco che suona più fresco adesso, a oltre trent’anni dalla pubblicazione.

Grazie alla veloce e potente macchina del tempo musicale torniamo nel 1993, anno di uscita di My World dell’immenso Ray Charles. Quanto è passato dalla prima grande hit, e qui andiamo indietro di altri quarant’anni, con quella “I Got a Woman” che rappresenta un importante crocevia per la storia della Black Music! The Genius, soprannome quanto mai azzeccato per un artista incommensurabile, tenace e prorompente nonostante la cecità (probabilmente causata da un glaucoma) a soli sette anni, si distingue già all’esordio discografico, nel 1949.

Con le sue canzoni riesce ad associare al jazz e all’improvvisazione la “classicità” di blues e gospel in maniera unica e originale, con garbo, gusto ed emozione. Il suo canto, le sue dita che accarezzano vivide il pianoforte esprimono qualcosa di nuovo, una voce proveniente dal profondo, un grido ammaliante, e mandano il pubblico in visibilio. Gli anni Sessanta segnano la sua consacrazione come leggenda musicale: suona orgoglioso alla mitica Carnegie Hall e i pezzi "Georgia on My Mind" e "Born to Lose" scalano le vette di tutte le classifiche, diventando pietre miliari del soul e dell’r&b.

Come spesso capita quando si è all’apice, giungono però i primi problemi: dal 1965 in poi, alcuni acciacchi fisici e uno sconsiderato consumo di droga affliggono duramente l’artista nato ad Albany, nel sud degli Stati Uniti. Arrivano decenni difficili, ove il Nostro si ricorda più per comparsate di livello che per i suoi dischi, dalla partecipazione al cult movie The Blues Brothers del 1980 alla bolgia canterina dell’indimenticabile “We Are the World” di cinque anni dopo. Friendship (1984), ritorno all’amato country in un album con superospiti e, appunto, My World sono i lavori da rivalutare di quest’ultima epoca, anche se rimane il rammarico per la decisione di abbandonare il piano per concentrarsi solo sull’interpretazione vocale. Poco male, comunque, in un periodo ove Charles praticamente sparisce sia dai palcoscenici sia dalle sale di registrazione, facendo solo brevi apparizioni per riproporre le perle del passato.

My World rappresenta quindi un sorso d’acqua fresca, sorprendentemente potente, inondato di ritmi e tecniche di produzione nemmeno immaginate quando Ray era entrato per la prima volta in uno studio. La sua voce penetrante, sinuosa come un sassofono, attraversa universi come gli amati blues, jazz, funk e gospel con rigore ed emozione e non si perde quando affronta con forza territori nuovi, lasciando il segno in brani screziati di neo soul e new jack swing, ove l’elettronica e i sintetizzatori la fanno da padrone.

Il lavoro si distingue per la varietà della scaletta in programma e per la scelta di alcune cover eseguite magistralmente: sono inclusi due dei brani recenti più amati da Charles, “A Song For You” di Leon Russell, un songwriter e musicista di alta classe che avrebbe meritato più considerazione dagli addetti ai lavori, e la hit di Paul Simon “Still Crazy After All These Years”. Sono canzoni che ci appartengono, che stanno riposte nell’angolo del cuore di ognuno di noi e riemergono tenere, poetiche e fragili nelle interpretazioni del Nostro.

Accanto a un sublime arrangiamento orchestrale, presente in entrambe le tracce, si notano le attenzioni e le intuizioni dello storico produttore Richard Perry, famoso per le collaborazioni con grandi star del calibro di Carly Simon, Ringo Starr e Art Garfunkel. E proprio queste due riletture sono la parte più intensa e curiosa di My World: la prima si aggiudica anche un Grammy Award nella categoria di miglior performance vocale r&b maschile, mentre la seconda stupisce per un raro assolo di guitar synth del buon Ray, sempre raffinato, ispirato e sensibile.

 

«Adoro "Still Crazy". Personalmente, credo che sia la canzone migliore dell'album. Con questo intendo dire che si adatta al mio stile. Abbiamo il suono da piccola band che avevo all'inizio della mia carriera, all'epoca di "Halleujah I Love Her So" e "Hit The Road Jack"... il vecchio suono. È un po' diverso dal modo in cui lo faceva Paul, ma la canzone mi ha sempre attratto».

 

Non ci sono solo rivisitazioni di classici del soft rock, ma anche il pop romantico di Love Has a Mind of Its Own”, oltre a ballate oscillanti tra gospel e soul come “So Help Me God” e “If I Could” e pezzi freschi all’insegna del funk (“Let Me Take Over”, “One Drop of Love” e “I’ll Be There”), senza dimenticare la sontuosa title track, felice incrocio di hip hop, new swing e r&b, perfetta come opener. In quest’ultima, inoltre, sintetizzatori e drum programming si mescolano al canto appassionato di “The Genius”: scritta da Phil Roy, Bob Thiele Jr. e Billy Valentine, "My World" ha un testo pacifista, ma da un punto di vista disincantato, frustrato e ben incarna la disillusione degli anni Novanta. La presenza di Mavis Staples ai cori e di Billy Preston all’organo offre ulteriore valore aggiunto per una delle vette del disco.

La grande qualità dei session man assoldati è davvero una carta vincente. Se per il basso Lee Sklar, Abe Laboriel e Jimmy Johnson sono gli assi nella manica, risultano altrettanto da urlo i contributi dei batteristi, con due leggende dai nomi altisonanti, Jeff Porcaro e Vinnie Colaiuta. Randy Kerber e Greg Phillinganes sono invece i veterani delle tastiere ai servigi del progetto, che regala un’altra superstar, la ciliegina sulla torta del disco nel tonitruante rock blues di “None of Us Are Free”. Eric Clapton, uno dei più grandi ammiratori di Ray Charles, si impossessa con un pregevole assolo del motivo composto da Brenda Russell, Cynthia Veil e Barry Mann, un inno alla giustizia pensato attraverso la solidarietà, ove si ribadisce la nozione di umanità collettiva, soprattutto quando si soffre: “None of us are free, if one of us are chained…We got to try to feel for each other
Let our brothers know that we care”
.

 

«La musica è potente. Quando le persone la ascoltano, possono essere influenzate. Rispondono. Ma quando stavo facendo questo album, non stavo cercando di creare un messaggio generale. Non era mia intenzione. È solo che abbiamo trovato alcune canzoni che avevano qualcosa da dire». (da un’intervista del 1993 riportata da entertainmentmagazine.net)

 

Il mitico Ray trova altre canzoni con “qualcosa da dire” anche nei due successivi album, Strong Love Affair (1996) e Thanks for Bringing Love Around Again (2002), anche se specialmente nell’ultimo si fanno sentire sempre maggiormente i malanni che lo porteranno via da questo mondo il 10 giugno del 2004, all’età di 73 anni, per le complicazioni di una malattia al fegato. Rimane uno dei musicisti più influenti di tutti i tempi, con una forza ineguagliabile. Non solo famoso e di successo dal punto di vista meramente commerciale, avendo venduto oltre cento milioni di dischi, ma rivoluzionario dal punto di vista musicale e morale. Ha perso la vista da bambino senza abbattersi nonostante la tremenda disgrazia vissuta, dimostrando con tenacia che gli ostacoli si possono trasformare in opportunità. Immenso.