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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
18/11/2022
Live Report
Nation of Language, 10/11/2022, Arci Bellezza, Milano
Concerto bellissimo, tra i più divertenti dell’anno. I Nation of Language hanno una marcia in più: non solo le canzoni, che mettono a tacere ogni accusa di eccessiva aderenza ai modelli d'ispirazione, ma anche la personalità spiccata, da artisti veri, in grado potenzialmente di recitare una parte importante nella scena musicale odierna.

Può sembrare strano, per una band che non abbiamo mai visto dal vivo dalla pubblicazione del disco d’esordio, ma quello di questa sera è già il terzo concerto dei Nation of Language a Milano. Parliamo di preistoria, quando il trio newyorchese era alle prese coi primissimi singoli ma già c’era qualcuno che li osservava e puntava su di loro. Nel 2017, ad esempio, suonarono al Mare Culturale Urbano: io ovviamente me li persi e non mi ricordo neppure di averne saputo nulla. Lo hanno ricordato loro dal palco l’altra sera, sono andato a vedere in rete ed effettivamente si trovano ancora le foto.

Tre anni dopo, Ian Richard Devaney e Aidan Noell si sono sposati, hanno fatto uscire due album che, causa pandemia, non sono riusciti a suonare dal vivo come avrebbero voluto, e hanno pure visto un avvicendamento importante in line up, col bassista Michael Sue-Poi sostituito da Alex MacKay.

Bisogna ringraziare Radar Concerti per averci puntato su, e loro tre per averci creduto: in un periodo in cui band americane molto più grosse rinunciano a venire in Europa per problemi di costi, non è niente affatto scontato che ci sia stata data la possibilità di goderceli.

Tre sono addirittura le date nel nostro paese: Milano, Roma e Bologna; nel momento in cui scrivo non so ancora come andranno come le altre due ma se saranno come la prima, sarà senza dubbio più facile che decidano di tornare. L’Arci Bellezza infatti è bello pieno, non stiamo parlando di una venue enorme (200 persone si e no) ma siamo in Italia, anche riempire un posto così piccolo non è scontato. Del resto i Nation of Language hanno dalla loro l’aver riportato in auge un suono, quel Pop agrodolce zeppo di Synth che strizza fortemente l’occhio ai New Order ma contiene anche una piccola porzione dell’oscurità dei primi Cure; una ricetta, appunto, che anche dalle nostre parti è sempre stata molto popolare. Niente di nuovo sotto il sole, quindi, ma un livello di scrittura sempre molto alto, tra ritmi ballabili, arrangiamenti elettronici di classe e linee vocali irresistibili. Introduction. Presence li ha fatti scoprire ad un pubblico più vasto dopo una prima manciata di singoli che avevano contribuito a tastare il terreno; l’ultimo A Way Forward, l’anno successivo, li ha in qualche modo consacrati tra gli act del momento, grazie anche ad un lotto di canzoni complessivamente più solari e immediate.

 

Notizia dell’ultima ora (lo abbiamo saputo nel pomeriggio) ad aprire c’è Ibisco, che col suo Nowhere Emilia è stata una delle più belle sorprese di quest’anno, per lo meno in campo italiano (ne ho parlato abbondantemente qui nei mesi scorsi, evito di ripetermi). Questa sera è da solo, a parte la voce, qualche effetto e un piano elettrico, il resto è affidato alle basi. Scelta che ha in parte penalizzato la performance (lo abbiamo più volte visto in azione con la band e c’è ovviamente un abisso) ma dalla sua ha le canzoni e la voce, per cui anche con mezzi limitati riesce a portarla a casa alla grande. “Tintoria”, “Pianure”, “Meduse”, “Houtunno”, “Chimiche”, le nuove “Darkamore” e “Droga + Solitudine” (dall’edizione ampliata del disco uscita a maggio) sono solo esempi di brani di altissimo livello, dove la componente Pop e quella Wave trovano una sintesi perfetta e straordinariamente godibile. Il pubblico, che in larga misura non dava impressione di conoscerlo, ha mostrato di gradire.

 

I Nation of Language seguono a ruota e scelgono di aprire con “A Different Kind of Life”, uno dei loro primi singoli. La resa sonora è ottima e l’assetto del gruppo risulta immediatamente chiaro: Aidan Noell si occupa delle backing vocal, del Synth e in generale di tutta la parte elettronica, componente essenziale del sound del gruppo, e che in larga misura è in base. Alex MacKay è una sezione ritmica precisa ma anche sufficientemente fantasiosa, il suo basso conferisce al sound una grande profondità. Al centro palco c’è poi Ian Richard Devaney, grande voce e grande tenuta di palco, una fisicità dirompente e un’ottima intesa con Aidan Noell, i due spesso interagiscono e si affiancano per lavorare sui Synth. L’unica chitarra presente la suona lui ma in maniera saltuaria, non è uno strumento fondamentale nell’economia del gruppo, anche se, a detta loro, nelle canzoni nuove che stanno componendo sarà più presente.

L’effetto generale è ottimo, i tre sono ben amalgamati, hanno carisma e personalità da vendere, nonostante la giovane età, e la resa dei brani è efficace al punto tale che i presenti non ci mettono molto a lasciarsi trascinare dall’energia sprigionata: il Bellezza si incendia, chi sa i pezzi li canta a squarciagola, chi non li sa balla entusiasta, a sua volta questa energia fluisce nella band e il concerto, pur breve, è tutto un crescendo inarrestabile di intensità.

La scaletta pesca indifferentemente da entrambi i dischi (c’è anche un’ulteriore incursione nel passato più remoto, con un’ottima “I’ve Thought About Chicago”) e alla fin fine non è un problema, i pezzi sono tutti belli, impossibile rimanere delusi. Ovviamente funzionano meglio gli episodi a ritmo più sostenuto (meravigliose, in tal senso, “Automobile”, “Rush & Fever” “This Fractured Mind” e “September Again”) ma quando si rallenta e le tonalità divengono più scure o romantiche, viene fuori tutta la classe di questa band: da questo punto di vista, “The Grey Commute” o l’inattesa “The Motorist” possono essere tranquillamente annoverate tra gli highlight del set.

Nei bis arrivano poi la nuova “From The Hill” (che non farà parte del nuovo disco, secondo quel che hanno dichiarato in un’intervista recente), un brano che non ho identificato e che potrebbe essere un inedito, e soprattutto una tiratissima “Across That Fine Line”, tirata allo spasimo e ballata fino allo sfinimento da un pubblico ormai completamente su di giri.

In tutto questo, impossibile non rimanere colpiti dalla gratitudine del trio, evidentemente colpito da una tale manifestazione d’affetto, con Aidan che a un certo punto ha scherzato dicendo che l’entusiasmo dei fan era riuscito addirittura a guarire Ian, visto che il giorno prima non stava bene mentre invece si stava ora esibendo in una performance piena di energia.

Concerto bellissimo, tra i più divertenti dell’anno per quanto mi riguarda. I Nation of Language hanno una marcia in più: non solo le canzoni, che mettono a tacere ogni accusa di eccessiva aderenza ai modelli, ma anche la personalità spiccata, da artisti veri, in grado potenzialmente di recitare una parte importante nella scena musicale odierna.