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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
02/08/2017
Serge Gainsbourg
Note a margine
La maggioranza dei pochi italiani che sanno chi fu Serge Gainsbourg di solito hanno in mente soltanto la canzone “Je t’aime, mois non plus” in duetto con Jane Birkin: “roba scollacciata”.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Per me Serge Gainsbourg muore la mattina del 3 marzo 1991 in un albergo decaduto, come molti, di Venezia.

In realtà egli era morto il giorno prima, a Parigi, intorno alle 15.30: la notizia mi arrivò dalla radio nella mia camera (non c’era televisione) alla fine di un GR RAI mattutino. Si rimarca che avrebbe dimenticato di assumere la sua “pillola per il cuore”; proprio come era accaduto a Boris Vian, in parte suo mentore, il giorno del suo decesso (nel 1959).

Serge Gainsbourg  ha avuto diritto, ad oggi, a tre cofanetti qualificati come “integrali”[1], il primo e il secondo, fra l’altro, in due edizioni: quella del 1989, intitolata De Gainsbourg a Gainsbarre, passata nel tempo da 9 a 11 CD (vennero aggiunti due CD costituenti semplicemente gli ultimi due album di studio dell’artista); la successiva del 2008, Gainsbourg … Forever, comprendente inizialmente 17 CD più uno di inediti (poi eliminato).

Scontenti della seconda, i fan più appassionati si sono lamentati anche della terza, constante di 20 CD.

Il suo, reputato, album capolavoro: Histoire de Melody Nelson, è stato ripubblicato in un’edizione in doppio CD (cum DVD) nel 2011, ovviamente con qualche registrazione inedita rispetto alla terza integrale.

E così via.

La maggioranza dei pochi italiani che sanno chi fu Serge Gainsbourg di solito hanno in mente soltanto la canzone “Je t’aime, mois non plus” in duetto con Jane Birkin: “roba scollacciata”.

Incidentalmente, Jane Birkin, probabilmente la “più donna della sua vita” è una sorta di Dennis Hopper al femminile in termini di vita artistica e non: primo matrimonio con John Barry, ovvero il compositore delle colonne musicali e sonore più celebri della saga cinematografica di James Bond;

una piccola parte nel film Blow-up di Michelangelo Antonioni; sorella maggiore di Andrew Birkin, cui si deve una splendida opera letteraria (del 1979) dedicata a James Matthew Barrie con riferimento a Peter Pan (contestuale ad una sua versione televisiva, per BBC, molto bella e una meno suggestiva più recente versione cinematografica): J.M.  Barrie and the Lost Boys.

Belle donne: se Giovanni “Gianni” Agnelli parlava “con le donne” (e non “di donne”), gli altri parlano delle donne di Gainsbourg: anche una non bella come Brigitte Bardot è meglio di Jacqueline Bouvier Kennedy, ma sulla giovane Catherine Deneuve non si discute, e mi fermo qui.

La sua traiettoria artistica è spesso riassunta nell’ultima parola del titolo della prima integrale, che egli aveva definito il suo sarcofago: venuto meno Serge, quel cognome Ginsburg (che già aveva modificato moltissimi anni prima (e pretendeva di avere come nome di famiglia Ginzburg per vezzo), diventa uno pseudonimo roco, come la sua voce.

Se, come dottamente osserva Jeremy Reed nel libro The King Of Carnaby Street a proposito di chi se la comprò prima fra i giovani di successo d’Albione, anche nella decade successiva l’acquisto di una Rolls-Royce è quasi obbligatorio[2], dunque non stupisce più di tanto se anche Gainsbourg ne compra una nel 1970, ma lui non ha la patente e non sa guidare.

Gainsbourg è un esteta anche se non si direbbe.

Ecco perché le fotografie (soprattutto degli interni) della sua casa, non grandissima, in cui trascorse oltre vent’anni – 5bis Rue de Verneuil, Paris 7e Arrondissment (dunque Rive Gauche) – finalmente mi disvelano una familiarità stilistica che non riuscivo a spiegare.

Quelle stanze, cariche ed ingombre di oggetti sono un clin d’œil di un’altra, ben più grande per dimensioni e fortemente voluta, fortress of solitude[3]: il Vittoriale dannunziano.

Maitre de la provoc, evidentemente, ma non solo per “ragioni motoristiche”.

Lui ebreo, si inventa un album dal titolo Rock around the bunker (uno dei pochi francesi non ridicolo quando canta in Inglese) prima delle croix gammée del punk[4].

Grande autore anche per altri artisti, rammento (Alain) Bashung di Play blessures, fino alla fine dei suoi giorni.

C’è anche chi dice che il suo vero successo fu dovuto a dei jeune fiston della banlieu: i Bijou nel 1978[5].

Certo è che da allora questo apparente ometto (ben più alto di quanto sembri) diventa poco a poco un gigante, cui si consente quasi tutto: catch him alive while you can?

Chissà cosa avrebbero bevuto e fumato insieme Serge e Carmelo (Bene) se si fossero incontrati diciamo prima del 1985.

La dieta gainsbarriana era di Gitanes e alcool, con il Pastis 51 diventato 102 per i dosaggi prescelti, quella pro die del genio pugliese anch’essa tabagistica (si dice una stecca) innaffiata con due bottiglie di scotch Ballantine’s.

 

[1] In Francia quando si ottiene la intégrale è una consacrazione.

[2] “I drive a Rolls-Royce/’cause it’s good for my voice” canta Marc Bolan in “Children of the Revolution”.

[3] Per una volta Superman è meglio di Batman: nel nome del suo rifugio.

[4] Thelonious Monk nel 1968 con Underground si era permesso una bandiera nazista in copertina, ma l’alto ufficiale delle SS ivi riprodotto era legato.

[5] Rinvio al bel dossier contenuto nel numero 6 di Schnock del marzo 2013.