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TRACKSSOUNDIAMOLE ANCORA
Nun te scurdà
Almamegretta
1995  (CNI)
REGGAE ELETTRONICA ITALIANA
all TRACKS
26/11/2018
Almamegretta
Nun te scurdà
Nulla ci toglie dalla testa che la trap in napoletano di Liberato abbia a che fare in qualche modo con il dub degli Almamegretta. E se esiste un filo che lega la band di Raiz al nuovo fenomeno dell'indie partenopeo, è facile trovarne tracce nella struggente “Nun te scurdà”.

Quando, lo scorso 9 maggio 2017, il cantante tutt’ora senza volto Liberato ha pubblicato “Tu t'e scurdat' 'e me”, la prima cosa che tutti abbiamo pensato è che i napoletani hanno la memoria corta. Già nel 1995 gli Almamegretta avevano infatti avuto a che fare con il tenere a mente qualcosa con “Nun te scurdà” e, ventidue anni dopo, fa piacere sapere che lo sforzo mnemonico di Raiz e soci non è stato profuso invano.

Le similitudini si sprecano: in entrambi i casi il ritmo è in levare, il dialetto è quello che conosciamo, le parole d’amore sono bollenti e la melodicità senza compromessi, tipica della tradizione del posto, hanno permesso alle due hit alternative, composte a ventidue anni di distanza, di entrare nell’olimpo della canzone napoletana. Ma mentre l’effetto-Liberato è ancora caldo, quello che stupisce è che “Nun te scurdà”, oggi, non sia ancora stata presa ad esempio come altri classici partenopei, mi riferisco a “Malafemmena, “Te voglio bene assaje” o “O sole mio” e che all’estero, quando si cerca una canzone per banalizzare la società italiana in un servizio giornalistico o in un qualunque programma televisivo, a nessuno venga in mente di ricorrere al singolo tratto da “Sanacore”.

Resta il fatto che, iperbole ed esagerazioni a parte, è facile rintracciare nei fattori testé riportati una incontrovertibile verità: “Nun te scurdà” è uno dei migliori prodotti della musica italiana in dialetto di tutti i tempi e se ne parla sempre troppo poco. Nessuno ne ha mai ricavato una versione trap, per esempio, e sarebbe il caso che gente come Liberato iniziasse a darsi da fare. Non la si è mai sentita interpretata dai concorrenti di XFactor - almeno non mi risulta - ed è un peccato perché sbancherebbe il televoto a favore del coraggioso cantante in questione. Nessun regista italiano l’ha mai tirata in ballo girando un film dallo stesso titolo, come successo per “L’ultimo bacio”, per farci capire.

Per questo motivo è bene riascoltarla a cadenze regolari e ripercorrerne l’essenza artistica. La similitudine tra Napoli e la black music è vecchia almeno tanto quanto i fasti delle Quattro Giornate e passa attraverso Renato Carosone, Pino Daniele, i Napoli Centrale e tutta l’esperienza jazz rock degli anni 70. Non stupisce che, di lì a poco, generi come raggamuffin e rap abbiano avuto via libera facilitati da un dialetto molto più musicale dell’italiano e da una indubbia percentuale di ritmo nel sangue della gente del posto, per ovvi motivi di latitudine. Di respiro più internazionale rispetto a quella dei 24grana e 99posse, i primi che mi vengono in mente, l’esperienza degli Almamegretta ha costituito un tratto di unione con generi e artisti che hanno fatto epoca, a partire da Adrian Sherwood e i Massive Attack.

“Nun te scurdà” è un perfetto esempio di canzone reggae moderna e contaminata. Intanto si snoda priva della rigidità armonica imposta dagli standard del genere. Il levare è defilato e non appesantisce la ritmica, come insegnano i canoni del dub evoluto. L’ostinato di basso è ipnotico e avvolgente e non smette mai di far ondeggiare con le sue vibrazioni. Il riff strumentale, affidato agli archi sintetizzati, è struggente e rarefatto. Il metti-e-leva di parti, un altro must del dub, inserisce e sottrae pattern (ora asciutti, ora effettati) per creare equilibrio e sorprendere l’ascoltatore in estasi, impedendo di soccombere alla ripetitività del giro di accordi. E poi la voce straordinaria, calda e mediterranea, di uno dei più affascinanti interpreti di quella che è stata la più originale stagione della musica indipendente italiana.

Non so quanti siamo, nel 2018, a ricordarci di “Nun te scurdà” con la dovuta continuità, uno di quei pezzi che non dovrebbero mai lasciarci alla mercé delle brutture della contemporaneità. Una canzone che funziona in ogni modo: così com’è, o chitarra e voce, o accelerata in versione drum’n’bass, remixata e incattivita, e se non ci credete cercatene le numerose tracce su Youtube. In attesa che qualche ardito smanettone dell’Internet tenti un mashup della memoria tra la versione originale e “Tu t'e scurdat' 'e me” di Liberato (perché no), per il momento mi tengo l’esecuzione tratta da Sanacore e me la ascolto un’altra volta.