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REVIEWSLE RECENSIONI
24/02/2021
Weezer
OK Human
In attesa delle chitarre di “Van Weezer”, Rivers Cuomo & Co. ci regalano “OK Human”, un disco malinconico e meditativo incentrato sul pianoforte e gli archi. Un lavoro stupendo e inaspettato, che racconta alla perfezione questo strano mondo al tempo del Covid-19.

Se si dà un’occhiata alla discografia degli Weezer, si può notare una cosa curiosa. Se nella prima metà della sua carriera la band di Rivers Cuomo ha dato alle stampe solo cinque album, intervallati da due lunghe pause (la prima dovuta al flop di Pinkerton e la seconda per permettere a Rivers di completare gli studi ad Harvard), nella seconda parte i dischi sono stati ben dieci (nel computo è incluso anche Van Weezer, in uscita a maggio). Una progressione insolita, soprattutto perché generalmente con il tempo le band tendono a diradare le proprie uscite discografiche, in special modo se hanno un repertorio consolidato come quello degli Weezer.

Da bravo creativo, però, Cuomo prima di tutti ha capito che la crescente marginalità degli album in termini di vendite poteva rivelarsi una carta da giocare a proprio favore. Questo il suo ragionamento: se ormai gli artisti ricavano poco e niente dalla loro attività discografica, ma pubblicare qualcosa è comunque fondamentale per intercettare l’attenzione di un pubblico sempre più distratto, tanto vale cogliere al volo l’opportunità per sperimentare, realizzando lavori ogni volta diversi. Ecco quindi spiegata la presenza nella discografia degli Weezer di album che giocano con il Pop da classifica (Raditude e Hurley), ispirati ai suoni provenienti dai club della Los Angeles notturna e multietnica (The Black Album), che omaggiano la California (Pacific Daydream) e gli anni Ottanta (il geniale disco di cover The Teal Album). Il tutto intervallato da dischi che rielaborano e aggiornano il classico sound à la Weezer amato dai fan più nostalgici (Everything Will Be Alright in the End e The White Album), giusto per far capire che se solo lo volessero, Cuomo e soci non ci metterebbero puoi così tanto a proseguire su quella strada.

OK Human, pubblicato (neanche troppo) a sorpresa il 29 gennaio, si inserisce alla perfezione all’interno di questo schema ormai collaudato. Come ha raccontato Rivers, la genesi del disco risale al 2017, quando il produttore Jake Sinclair, che ha lavorato al White Album, ha proposto a Cuomo l’idea per un disco di puro cantautorato, spoglio, essenziale, incentrato unicamente sull’emozione. Come esempio, Sinclair ha fatto ascoltare a Rivers il capolavoro dimenticato di Harry Nilsson Nillson Sings Newman del 1970, un disco che basa la sua forza sull’interazione tra il pianoforte di Randy Newman e l’interpretazione vocale di Nilsson, alle prese con canzoni dalla forte carica evocativa, molto diverse dalle classiche vignette satiriche per cui Newman era famoso.

Colpito dall’album, Cuomo ha subito accettato la sfida, assecondando la visione di Sinclair. Assieme a Pat Wilson (batteria), Brian Bell (chitarra) e Scott Shriner (basso) si è messo al lavoro e ad aprile del 2020 il disco era completo per il 75%. Seduto per la prima volta al pianoforte, Rivers ha registrato in completa solitudine, mentre i suoi compagni di band sono intervenuti in un secondo momento, aggiungendo le loro parti in autonomia. A completare il tutto ci ha pensato Rob Mathes, che ha arrangiato e registrato gli archi ad Abbey Road con un ensemble di 38 elementi.

Quando mancavano ormai solo pochi particolari da sistemare, è però arrivato – inaspettato – l’invito dei Green Day all’Hella Mega Tour, la gigantesca tournée estiva che avrebbe girato gli stadi di Europa e Stati Uniti. Resisi istantaneamente conto che OK Human non era l’album adatto da promuovere in un contesto del genere, Cuomo & Co. su suggerimento del management hanno dato precedenza all’altro disco a cui stavano lavorando, Van Weezer, un omaggio ai suoni Hard Rock e Metal che hanno contraddistinto l’adolescenza di Rivers, il quale non fa segreto dell’amore incondizionato per Van Halen e Kiss. Con l’album prossimo al lancio e un singolo in rotazione (“The End of the Game”), la pandemia da Covid-19 ha però messo in pausa ogni progetto. All’inizio gli Weezer hanno temporeggiato, nella speranza di pubblicare Van Weezer più avanti nel corso dell’anno, poi si sono resi conto che nulla sarebbe cambiato entro la fine del 2020 e così, indossate le mascherine e adottata ogni precauzione, sono tornati in studio per concludere OK Human e pubblicarlo il prima possibile. D’altronde, cosa c’è di più adatto di un album incentrato sull’isolamento e sui rapporti umani veicolati dalla tecnologia in un periodo come questo?

Con un titolo che gioca – in puro stile Weezer – con quello di OK Computer dei Radiohead, anche OK Human è in fin dei conti un esercizio di stile. Ma non è puro manierismo: è musica intrinsecamente umana, vera e sofferta, che permette a Rivers – attraverso l’utilizzo di stilemi codificati – di esporsi in prima persona e senza filtri come non accadeva dai tempi di Pinkerton. Nei testi, infatti, Cuomo ci racconta il suo privato, tratteggiando delle vere e proprie vignette domestiche, un cronaca in tempo reale della vita al tempo della pandemia di una normale famiglia californiana: il sentimento di sentirsi disconnessi con la vita reale e il desiderio di rifugiarsi nella musica (“All My Favorite Songs”), il rimpianto per la vecchia routine casalinga ormai perduta (“Aloo Gobi”), osservare i figli mesmerizzati dai vari device (“Screens”), la frustrazione per le riunioni su Zoom (“Playing My Piano”), le gioie escapistiche offerte da un buon libro (“Grapes of Wrath”), il sentimento di impotenza di fronte alla situazione (“Bird with a Broken Wing”), ma anche le gioie della vita di coppia (“Mirror Image”) e alcune riflessioni sulla mortalità (“La Brea Tar Pits”). Sì, sono racconti di isolamento, di piccole e grandi solitudini, ma al centro c’è sempre la ricerca di un contatto umano, di empatia, di calore, grazie all’utilizzo degli archi, che ammorbidiscono le canzoni e ne esaltano le melodie, con arrangiamenti che da un lato ricordando le grandi produzioni di Phil Spector e dall’altro le intuizioni geniali di Brian Wilson per Pet Sounds.

Questa veste inedita – che verrebbe da definire “da camera”– permette agli Weezer di introdurre nel proprio repertorio delle novità stilistiche assolute, come “Playing My Piano”, oppure ballate sghembe e lunatiche come la beatlesiana “Bird with a Broken Wing”, “Dead Roses” e “Mirror Image”, dall’epicità grandiosa anche se la sua durata supera di poco il minuto, oppure la dolente “Numbers”, vicinissima al Brit Pop dei Travis, e “Here Comes the Rain”, che ricorda da vicino qualcosa dei Monkees (ai quali Rivers recentemente ha offerto un paio di canzoni). Altre – pur funzionando alla perfezione in questo contesto – non si allontanano di molto dal tipico songwriting à la Weezer, tanto che non è difficile immaginarle avvolte dal classico muro di chitarre, vedi “All My Favorite Songs”, “Aloo Gobi” e “Grapes of Wrath”. Ma questo non è un male, anzi, perché la mancanza della strumentazione Rock aiuta a concentrarsi sulle melodie impeccabili create da Cuomo e sui suoi testi, che finalmente abbandonano le follie del cut-up e della pianificazione sillabica degli ultimi lavori.

Alla fine dei conti, OK Human, con le sue orchestre vellutate e la lieve malinconia sprigionata dalle dodici canzoni che lo compongono, è la tessera mancante che va a completare la trilogia dedicata alla California iniziata cinque anni fa con il White Album e proseguita con Pacific Daydream. Ma è anche – e soprattutto – il racconto di questo nostro strano mondo al tempo del Covid-19. Insomma, un album originale, inaspettato, senza dubbio diverso da qualsiasi altra cosa presente nella discografia della band, ma allo stesso tempo contenente al cento per cento il DNA degli Weezer.

In attesa di pubblicare Van Weezer e di partire per l’Hella Mega Tour (al momento le date sono tutte confermate, anche quelle italiane di giugno), Cuomo e soci stanno già pianificando la loro prossima mossa, un progetto intitolato Seasons, in cui a ogni album corrisponde una delle quattro stagioni, con un tema lirico e un’atmosfera peculiari. A molti fan della prima ora questo approccio non fa particolarmente piacere, affezionati com’erano al gruppo più sfuggente della scena Alternative Rock americana. Ma questo agli odierni Weezer interessa poco. Gli album storici sono ancora tutti lì e ognuno può ascoltarli quando vuole, prendendoli dalla propria collezione oppure andandoli a cercare su Spotify. D’altronde, se c’è l’opportunità di sperimentare, creare nuova musica, divertirsi e far stare bene gli altri – soprattutto in un periodo come questo – perché non approfittarne?


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