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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Opinioni di un clown
Heinrich Böll
1963  (Mondadori (2001))
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
15/03/2021
Heinrich Böll
Opinioni di un clown
“Opinioni di un Clown” è soprattutto un libro che parla d’amore, non solo di quello totalizzante per una donna, ma anche di quello per gli ideali, filo conduttore dell’intera esistenza del protagonista e di ogni sua singola scelta, anche di quelle più sofferte.

“Stavo disteso, immerso nella schiuma fino al collo e pensavo a lei.
Non c’era nulla che lei potesse fare con lui o per lui, senza dover pensare a me.”

 

Heirich Böll (Colonia, 1917 - Kreuzau, 1985) è considerato uno degli scrittori tedeschi più influenti del secondo dopoguerra a cui, nel 1972, è stato conferito il Premio Nobel per la letteratura.

Ha vissuto gli anni bui del Nazismo e della Seconda guerra mondiale. È stato oppositore del regime e si è rifiutato di iscriversi alla Gioventù Hitleriana. Quando scoppiò la guerra, però, fu chiamato ad arruolarsi nella Wehrmacht (forze armate tedesche del periodo nazista, distinte da quelle del partito nazionalsocialista). Ha combattuto in prima linea, è stato ferito più volte, ha tentato di disertare ed è stato fatto prigioniero dall’esercito statunitense.

Alla fine del conflitto è tornato a vivere in una Colonia quasi completamente distrutta dalle bombe - così come buona parte della Germania - e riprese a dedicarsi alle attività che più amava: studio e scrittura. Le entrate, però, erano davvero esigue e faceva fatica a provvedere al proprio sostentamento e a quello di sua moglie e dei loro tre figli.

Non sono mancati momenti in cui ha seriamente pensato di lasciar perdere quelle che erano le sue ambizioni per trovarsi un lavoro più redditizio, ma la sua perseveranza, mista a un pizzico di fortuna, ha fatto sì che Böll sia riuscito a coronare il suo sogno e a regalarci opere di grandissimo spessore.

Nel 1963 ha scritto “Opinioni di un Clown”, vero e proprio capolavoro, uno dei suoi romanzi più famosi e, probabilmente, anche quello più amato dai suoi lettori.

Un libro “forte” e coraggioso, soprattutto per quei tempi, in quanto, attraverso le opinioni espresse dal suo protagonista, critica aspramente e senza mezzi termini l’ipocrisia della chiesa Cattolica - agli occhi di Böll colpevole di aver legittimato l’ideologia nazista attraverso la firma del concordato con la Germania di Hitler - e il suo “perbenismo” di facciata.

Allo stesso modo non risparmia critiche neppure alla Germania che - solo pochi anni dopo la fine del conflitto mondiale, unicamente concentrata sul proprio sviluppo economico - tentava di dimenticare con troppa facilità le responsabilità per il suo passato più recente, vale a dire il Nazismo e il suo scempio disumano. 

“Opinioni di un Clown”, però, è soprattutto un libro che parla d’amore, non solo di quello totalizzante per una donna, ma anche di quello per gli ideali, filo conduttore dell’intera esistenza del protagonista e di ogni sua singola scelta, anche di quelle più sofferte. 

Hans Schnier appartiene a una famiglia protestante borghese, da cui, fin da ragazzino, ha sempre preso le distanze. Di professione fa il clown “attore comico, non iscritto nei registri di nessuna Chiesa” e si trova nel mezzo di un crollo emotivo perché la sua donna, Maria, cattolica convinta, l’ha lasciato all’improvviso per fuggire con Heribert Züpfner, cattolico come lei, ma soprattutto un concentrato di tutti quei falsi valori che lui detesta.

Hans non riesce a farsene una ragione, sono affiorate tutte le sue fragilità e con loro i due mali che lo affliggono da sempre, malinconia e mal di testa. Ha perso il controllo della sua vita e l’unico rimedio che riesce a trovare è quello di attaccarsi alla bottiglia e bere.

“C’è una medicina di effetto momentaneo: l’alcol. Ci sarebbe una guarigione duratura: Maria. Maria mi ha lasciato.”

Soffocato dallo sconforto e del tutto incapace di reagire all’abbandono, nel giro di poche settimane distrugge la sua carriera artistica e la sua credibilità come uomo. Così, senza più un quattrino in tasca, dopo anni passati perennemente in viaggio, sempre con Maria accanto - la sua unica certezza - al termine dell’ennesima esibizione disastrosa e con un ginocchio dolorante a causa di una caduta, fa ritorno nella sua città natale, Bonn, da solo, spogliato del suo presente e senza prospettive per il futuro.

La storia narrata, che si svolge nell’arco di poche ore, è ambientata, appunto, nell’appartamento di Bonn. È qui che Hans, attraverso salti temporali continui tra passato e presente, ripercorrerà buona parte della sua vita, focalizzando l’attenzione su tutti gli eventi determinanti, quelli che, nel bene e nel male, lo hanno portato lì dove si trova adesso.

Un vero e proprio viaggio interiore, in cui il clown, ormai privo della sua maschera - di quella maschera che gli faceva da protezione e riparo - si ritrova a dialogare non solo con sé stesso, ma anche con suo padre, che a sorpresa andrà a trovarlo, e con i vari interlocutori a cui Hans telefonerà per chiedere un aiuto economico o per ottenere informazioni volte a capire dove sia Maria.

Il clown si tormenta, rabbrividisce all’idea che la sua Maria ora stia facendo con un altro uomo tutto ciò che fino a poco prima faceva con lui.

"La voce di Maria mi mancava. A pensarci bene, non poteva neppure leggere la Bibbia con Züpfner senza sentirsi una traditrice o una prostituta. Avrebbe dovuto pensare a quell'albergo di Düsseldorf dove mi aveva letto la storia di Salomone e della regina di Saba, fino a quando mi ero addormentato sfinito nella vasca. Il tappeto verde della stanza d'albergo, i capelli bruni di Maria, la sua voce; poi mi aveva portato una sigaretta accesa e io l'avevo baciata. Stavo disteso, immerso nella schiuma fino al collo e pensavo a lei. Non c'era nulla che lei potesse fare con lui o per lui, senza dover pensare a me."

Tra una telefonata e l’altra Hans ricorda com’è iniziata la sua storia con Maria; ricorda con affetto il anche il padre di Maria, il vecchio Derkum, uno dei pochi oppositori al regime, che è stato coerente con sé stesso fino alla fine, a differenza di tante altre persone - la sua famiglia compresa e in particolare sua madre - che nonostante fossero vicine al nazionalsocialismo o perlomeno non così distanti, una volta terminata la guerra, anziché assumersi le proprie responsabilità, avevano cambiato pelle senza troppi rimorsi, così come fanno i serpenti.

Non può fare a meno di accarezzare con i pensieri il dolce ricordo di sua sorella Henriette, morta giovanissima, subito dopo essersi arruolata come volontaria nella FLAK. Pensa anche a suo fratello Leo, che nel frattempo si è convertito dalla religione protestante a quella cattolica, sotto l’ala protettrice di Züpfner, l’uomo con cui è fuggita la sua Maria.

Hans, tra un bicchiere di cognac e l’altro, è un fiume in piena, disperato e vulnerabile come non lo è mai stato e per di più totalmente incapace di provvedere a sé stesso.

Continua a scandagliare la sua vita, pensa al rapporto difficile con sua madre, a quello con suo padre, per il quale, però, prova un profondo affetto, perché in fondo, lo considera una brava persona. Vede sotto una nuova luce il suo agente e capisce che questi gli vuole davvero bene, così come gliene vuole Monica Silvs, un’amica di Maria. L’unica donna che lo fa vacillare nella sua monogamia.

“Solo che io non sono affetto soltanto da malinconia, mal di testa, indolenza e dalla mistica facoltà di sentire gli odori per telefono. Il più terribile dei miei mali è la predisposizione alla monogamia; c’è una sola donna con cui posso fare tutto quello che gli uomini fanno con le donne: Maria.”

Una monogamia che non ha bisogno di essere sugellata da un contratto, che per essere vera e sentita non ha bisogno di ingabbiarsi in un matrimonio o nell’obbligo di educare la prole secondo quelli che sono i dettami della religione cattolica. Hans ama Maria e basta e vuole stare con lei perché lo desidera, senza il bisogno di piegarsi a regole in cui non crede, perché non vede la fedeltà come un dovere imposto da chissà quale astratto comandamento, ma come un bisogno, come un qualcosa che lo abita. Perché l’amore è amore sempre.

Ma per Maria non è così, per lei quelle “regole” si chiamano “fede” e hanno un peso enorme. Vivere nel “peccato” la fa sentire in colpa, perché il giudizio degli altri la logora. Le apparenze e la morale, per Maria, valgono più di tutto il resto, anche del suo rapporto con Hans.

La chiave di lettura di questo romanzo risiede proprio in questo, in una riflessione aspra sul senso e sul significato della morale, il più delle volte vuota e ipocrita. Una maschera sociale che spesso indossiamo senza alcuna convinzione, unicamente per ottenere l’approvazione degli altri e omologarci, così, a quelle che sono le regole che qualcun altro ha “scritto” e deciso per noi. Tutte le volte che scendiamo a compromessi, piegandoci davanti a cose in cui non crediamo davvero, rinunciamo a parti più o meno grandi di noi stessi, ai nostri ideali e alle nostre convinzioni.

Hans, invece, sceglie di non perdersi, fugge da ogni compromesso, decide di rimanere fedele a ciò che è e ai valori in cui crede. Valori che non sono scritti nella Bibbia o nel Vangelo, ma dentro di lui, perché gli appartengono da sempre. Perché sono quegli stessi valori che lo hanno portato, giorno dopo giorno, a scegliere di vivere la sua vita per come desiderava, con coraggio, assumendosi tutti i rischi del caso, compreso quello di perdere la donna che amava più della sua stessa vita.   

In fin dei conti Hans è un clown e fa “raccolta di attimi”.

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