Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
REVIEWSLE RECENSIONI
13/12/2018
Marcus Strickland Twi-Life
People Of The Sun
Alla gente black della purezza del jazz non è mai importato un cazzo. Come al giovanotto che vedete ritratto sulla copertina.

I puristi del rock.

I puristi del blues, del folk e del soul

I puristi del Jazz

I puristi, in particolare quelli italiani, sono persone dalle certezze incrollabili, sempre pronte ad immolarsi per il proprio credo, nonostante tutto cambi intorno a loro.

Max Roach ebbe a dire che la parola "jazz" fu inventata dai bianchi per definire un genere di musica creata dagli afroamericani di per sé incatalogabile. Nel tempo tutti quei musicisti che secondo le orecchie bianche hanno provato ad andare fuori dal seminato, sono stati fulminati dai puristi. I puristi del jazz.

Gente come Miles Davis o Herbie Hancock hanno ricevuto più bestemmie di tutta la pattuglia dei santi di santa romana chiesa.

"Come osano, come osano mischiare l'elettronica e i generi popolari con la purezza assoluta del jazz". Mi pare di sentirli; che poi le critiche venivano per lo più dai bianchi, salvo qualche sporadico musicista nero, come Wynton Marsalis, uno che voleva riportare l'orologio del jazz indietro di quarant'anni.

Alla gente black della purezza del jazz non è mai importato un cazzo.

Come al giovanotto che vedete ritratto sulla copertina.

Il sassofonista Marcus Strickland, discepolo di Roy Haines, per il quale ha iniziato a suonare nel 2002, se n'è uscito da poco con “People Of The Sun”, seguito di quel “Nihil Novi” che rimane un piccolo capolavoro di black american music, sigla questa tenuta a battesimo da Strickland insieme ad alcuni suoi colleghi e che gli ha provocato non poche critiche con l’accusa di fare razzismo al contrario e di essere soltanto una mera sigla senza nessun significato culturale. Di cultura e di intelletto in “People Of The Sun” invece ne troviamo molto e la sigla di cui parlavamo prima è esplicativa di quello che oggi si intende per musica nera americana nella sua espressione più alta; una musica che mischiandosi va a rafforzarne l’identità.

C’è tanto del soul di D’Angelo in questo disco, non a caso uno degli artisti più amati da Strickland, l’hip hop nella sua forma più nobile, il jazz post bop, i beat africani, arrangiati e suonati da musicisti in stato di grazia, insomma tutte quelle musiche che riportano tutto ad una sola: il blues.

Non più musiche che viaggiano separate, e Marcus Strickland tiene il timone dritto verso il rinnovamento del genere che fa tesoro della lezione di Miles ed Hancock, trae ispirazione da Coltrane, rifugge il purismo, ma si imbrodola e scopa con i linguaggi della musica afroamericana, tutti, nessuno escluso.

Suoni bastardi o come cazzo li volete chiamare, zero a bieche concessioni commerciali, l’unico sistema per continuare a far vivere la musica.

Lo hanno capito tutti, tranne i puristi.