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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
10/10/2018
DIANA
Quel modo di fare di periferia...
Ho voluto scambiare due parole con Roberta Arena, che in arte oggi conosco come Diana. Esordio o non esordio importa poco vista la maturità internazionale con cui arriva alle orecchie questo “And You Can’t Build The Night”.

Adoro lo shoegaze, adoro quel modo di fare che sa di pioggia e di pomeriggi anonimi che devi solo affacciarti dalla porta del bar o dalla finestra che dà sulla statale. Adoro quelle chitarre che sanno di ruggine fin dentro le ossa ma non osano stridere e darti fastidio con dinamiche sporche. Adoro quel certo modo di stare in equilibrio tra elettronica invasiva ma composta, tra un drumming (sicuramente digitale ma che importa) che segna il passo come un elettrocardiogramma e una voce francese, delicata, Amelie alla finestra, un vaso di fiori piccoli e quel sentore d’arte e di avanguardia. E poi c’è la voglia di evadere che non funziona mai, che non vince mai, che alla fine ci piace restar chiusi nelle nostre piccole abitudini e lasciarsi coprire dai colpi di sole, stando seduti al riparo delle ombre dei propri fantasmi.

Detto questo ho voluto scambiare due parole con Roberta Arena, che in arte oggi conosco come Diana. Esordio o non esordio importa poco vista la maturità internazionale con cui arriva alle orecchie questo “And You Can’t Build The Night”: se non fosse per quei pochi momenti in cui mostra la sicurezza di essere italiana, questo Ep allargato della Arena ha il gusto vissuto di chi aveva dentro tantissimo da tantissimo tempo e finalmente, tra il coraggio che cresce e l’ego che urla, prende forma in un disco soltanto. Più che l’America del dream pop penso alle antenne dei palazzi di periferia. Capto immagini in questo disco che arrivano da ogni parte e che di rado spopolano, a meno di non scomodare i grandi del mainstream. Ma qui su Loudd i grandi patinati spesso li archiviamo nella classe dei perenni burattini. Spesso. Non sempre ma spesso. Diana invece è alle prime battute, di certo non le prima ma neanche le quarte insomma. E quante confessioni tra le righe di queste canzoni che vanno ascoltate durante un qualunque giorno di pioggia, un buon vino ed una sigaretta e niente altro… può bastare questo per sognare tutto il resto del mondo.

Mi affascina sempre il processo di genesi e di metamorfosi. Non a caso citi Ovidio. Ma personalmente ti chiedo: come si passa dalla Sicilia - terre di forti tradizioni popolari - al dub sottilissimo e all’elettronica europea? Insomma, com’è che Roberta Arena diviene Diana?

Immagina la Sicilia. Chiudi gli occhi e fai finta che questa terra sia abbandonata, con le sue bellezze, le sue articolarità, i suoi paesaggi surreali (il vulcano, la scala dei turchi, le sue coste, la sua storia). Prova a metterci sotto una colonna sonora come ad esempio “Lost". Secondo me ci sta benissimo! Credo che la Sicilia sia attualmente terra di grandi metamorfosi e di rinascita. Nonostante le sue contraddizioni, le sue problematiche e la sua bellissima decadenza, per me è fonte inesauribile di ispirazione! Diana credo sia tutto quello che ognuno di noi vorrebbe essere, un'entità eterea e sognante che ti porta in posti dove tutto è possibile.

Parafrasando questo titolo: la costruzione di una notte intorno significa rifugio, protezione, intimità oppure vale una scusa buona per nascondersi e scappare?

"And You Can't Build The Night" è un pezzo che racconta l'impossibilità di vivere quel momento, l'impossibilità appunto di costruire la notte. Proprio quell'istante, cosi magico, così vero, così profondo, diventa insostenibile in uno stato di difficoltà. 

Quindi il significato di notte che solitamente viene inteso come protezione, rifugio e verità pura, si trasforma in un luogo da dove scappare per non capire cosa ci sta accadendo. 

La notte è il momento più importante della giornata per me, dove tiro le fila della giornata, dove capisco veramente chi sono e cosa sto facendo. Ogni verità, ogni riflessione è più chiara nel silenzio e nel buio.

Elettronica. Dobbiamo tirarla in ballo per forza: se non ci fosse stata?

Se non ci fosse stata probabilmente avrei puntato su un cantautorato diverso cercando di ricreare comunque quelle atmosfere. 

In fondo quando faccio un pezzo poi lo provo sempre chitarra e voce (o con il pianoforte) e da li capisco se può funzionare o meno.

Certo sarebbe un peccato se non ci fosse! 

Che poi di quando in quando l’acustica di una chitarra c’è. Questo, artisticamente e filologicamente, cosa significa? 

Significa che per alcuni pezzi l'approccio è cantautorale, che comunque per me un brano deve funzionare anche chitarra e voce. Poi il gusto e l'approccio del momento ti portano a spostare l'attenzione su altro, ti portano ad utilizzare altri linguaggi, ma il senso è comunque sempre lo stesso.

E restando su questo tema cito proprio la title-track del disco: probabilmente il primo tassello che hai messo per costruire tutto il progetto. Eppure, se ascoltiamo brani come “Nostalgia di Saturno” passiamo in ben altre zone del mondo e in ben altri tempi. Se il primo è un brano islandese, moderno e ricco di intimità, il secondo è un bellissimo pop anni ’90 che quasi ci vedrei anche il funky di Nile Rodgers. Insomma, dai ghiacci alle luci stroboscopiche. Che metamorfosi è questa?

Hai pensato proprio bene, è una strana metamorfosi che sta percorrendo la mia mente da due anni a questa parte. L'amore per l'elettronica si è fatto avanti a poco a poco, ma sicuramente sta prendendo sempre più spazio dentro di me, sia nella maniera di pensare un brano che nella maniera di comporre. 

Devo dire che non mi dispiace far uscire tutte queste sfaccettature, perché credo che il mondo (anche quello della musica) non sia bianco o nero. Penso che ovviamente ci sia una parte prevalente nella composizione, ma che non debba essere forzata. Mi piacerebbe rimanere libera e tirare sempre fuori ciò che vivo in quel momento, che sia musica elettronica, folk o pop.

Chiudo con una roba assai marzulliana. Preparati. Forse il tuo immaginario mi condiziona in questo, però io ci vedo molta Francia di Amelie, come fossero dolci sentori di intimità e di mondo folle, quanto romantico, quanto ricco di piccole cose quotidiane. Ci vedo questo nonostante la musica sia sospesa sul cielo dell’Europa avanguardista… che cosa mi rispondi?

Posso essere d'accordo con te, non amo catalogare le cose come avrai capito. Credo che la Francia di Amelie si accosti alla mia musica nel momento in cui parliamo di "sogni ad occhi aperti" e di romanticismo. Sono assolutamente questo tipo di persona. Come raccontavo in un'altra intervista, spesso immagino i pezzi nella mente prima di realizzarli materialmente. Ho in mente tutto: la melodia, la batteria, i synth, l'atmosfera. Poi mi siedo e cerco di trasportare tutto nella realtà. Certe volte mi riesce bene, altre volte mi scordo di non avere un'orchestra nel mio studio ahahah! Però ricollegandomi a quello che hai detto credo di immaginare cose surreali in situazioni di normalità, e questa cosa mi mantiene viva. Sono estremamente romantica e sognatrice, mi piace questo sentimento infantile. Mi piace pensare che i sogni possano essere realtà in qualche maniera.