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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
17/10/2022
Deacon Blue
Raintown
Uno fra gli album più belli degli anni Ottanta, Raintown, viene concepito in studio come se fosse una performance dal vivo. Tutti i membri della band registrano insieme nella stessa stanza, con il beneplacito di Jon Kelly, storico produttore britannico. Ecco come creare una grande connessione, una forte energia, che si evidenziano nell’ascolto delle undici canzoni, legate saldamente una all’altra, ma libere di volare nel profondo dell’animo dell’ascoltatore.

"Work Work Work

Rain Rain Rain

Home Home Home

Again

Work

Rain

Home"

 

Sono le ultime parole della traccia finale "Town To Be Blamed" e rappresentano la summa di Raintown, capolavoro pop pubblicato trentacinque anni fa dai Deacon Blue. Un debutto con canzoni d’amore e di perdita, imperniato su concetti, situazioni e valori che hanno caratterizzato i Seventies ed Eighties vissuti a Glasgow; lavoro-pioggia-casa, e ancora lavoro, pioggia, casa, fino alla fine dei giorni. Si potrebbe aggiungere pure un'altra parolina magica che rimbomba tornando a quell’epoca e a quel contesto: faith, fede.

La copertina, uno stupendo scatto di Oscar Marzaroli, immortala proprio la capitale scozzese, la Città della Pioggia, in una tetra, classica giornata grigia, mentre Ricky Ross e compagni all’interno del disco confezionano tenui ritratti in musica che racchiudono momenti carichi di emozione, una gran voglia di vivere nonostante le avversità, tanta nostalgia per la perdita dell’innocenza. Sono brani trasudanti vita, che incarnano quel tendere incompiuto alla felicità, una felicità a volte a portata di mano, però sfuggente o non compresa pienamente.

In realtà spesso ci si perde nell’infinita ricerca di qualcosa solo apparentemente più appagante, e questo è il tranello in cui si cade quando non si accettano i limiti materiali dell’uomo, quando si fatica a guardarsi nel profondo dell’animo. Ecco allora che ci si appiglia alla fede, e la storia e la cultura scozzesi sono profondamente radicate nella religione, un tentativo di dare risposta a ciò che non ha risposte. Si giustifica la fatica del lavoro come mezzo per ricevere in premio il denaro, simbolo effimero di libertà, ma che comunque consente di mantenere la famiglia, di vivere nella propria casa, la Home, nel senso di focolare domestico. E intanto, nella grigia Glasgow, non è raro incocciare in una pioggia incessante, che non simboleggia alcunché di trascendentale, è solo un ticchettio rumoroso cadenzato, che certifica il passare del tempo.

 

“Nato in una tempesta, è questa l'unica scusa che puoi dare, nato in una tempesta, è così che vivrai”, sono frasi che ben presentano quanto descritto sopra e sono le righe conclusive della breve e malinconica opener "Born in a Storm", costruita sui nostalgici arpeggi di piano di James Prime e caratterizzata dall’elegante voce di Ricky Ross, leader e compositore principale incontrastato del gruppo. Il potente rock della title track si dispiega subito dopo senza pausa, attaccato e legato alla prima traccia. Si parlava di tempesta e il temporale, dato proprio anche dai suoni della canzone, è davvero cominciato, sulla Città della Pioggia: il basso pulsante di Ewen Vernal regala scariche come fossero fulmini, i tuoni giungono dal drumming di Douglas Vipond, mentre gli accorati vocalizzi della sensualissima Lorraine Mcintosh si uniscono al canto di Ross cercando di sgombrare le nuvole. Disillusione e malcelato odio per meste e oscure giornate sempre uguali affiorano nel testo, come emerge il desiderio di riscatto, anche se sembra una lotta impari, “Il lavoro in una città sporca e piovosa fa male, e per di più non paga. Tutte queste chiamate che mi fanno e ti fanno impazzire. Non vedi. Non capisci…La pioggia scende su tutti quegli occhi stanchi, sulle lacrime e sulle sopracciglia. In una città di pioggia.”

Un velo di tristezza si palesa nella a tratti enigmatica "Ragman" (forse la canzone che maggiormente occhieggia musicalmente ai Prefab Sprout), esempio di come si fatichi a dare il vero valore alle cose se, in una relazione amorosa, ci si ferma solo alla ricchezza materiale. Gli alfieri del sophisti-pop creano invece un’ atmosfera esageratamente rarefatta e a tratti artificiosa, difetto tipico dei famigerati anni Ottanta, per "He Looks Like Spencer Tracy Now", poetico ritratto di un fotografo dell’esercito americano durante la Seconda Guerra Mondiale, che aveva immortalato, fra le altre cose, i test della bomba H. Si cambia registro con La romantica "When Will You (Make My Telephone Ring)", che vira su territori soul, marcati da una robusta sezione cori, e convince e avvince nonostante trame fin troppo orecchiabili.

Sono il vigore e la passione di "Loaded" ad alzare a livelli altissimi la qualità dell’album. Contornata dai ricami di chitarra di Graeme Kelling, si tratta una canzone che rimarrà per sempre come esempio del delicato, elegante e moderno songwriting dei Deacon Blue. L’amore come momento di redenzione, approdo alla gioia e al significato di un’esistenza sempre in bilico, causa incertezza e insoddisfazione, “Sospiri, cammini, parli, non ti importa di niente, a volte senti che la vita ti ha trattato male, ho la sensazione che tu sappia come stanno le cose, tesoro… Ho un amore a cui mi aggrapperò. E resterò lì, resterò lì fino alla fine. Perché una cosa che so è che ho trovato una risposta. Non credo che a te non importi.”

 

Profondità e speranza. E viene da aggiungere umiltà considerando le dichiarazioni a posteriori di Ricky Ross sull’intera opera: “Non era altro che una collezione di canzoni d’amore terribilmente angosciate, riguardavano cose finite male”.

A ricalcare le affermazioni di Ross, ecco "Chocolate Girl", con le difficoltà ad avere una relazione amorosa normale del suo protagonista. Per contrasto qui compaiono melodie leggere e spensierate, e la composizione si distingue nel risultare una ballata colorata di sfumature country per merito della pedal steel di un ospite speciale, il veterano B.J. Cole.

La dolcezza straniante di "Chocolate Girl" è preludio invece all’intensità di un altro pezzo da novanta, forse il motivo che meglio rappresenta tutta la discografia della band, la leggiadra "Dignity". La Dignità, metaforicamente raffigurata come una barca in costruzione, la quale, al termine di una vita caratterizzata dal solito “trittico”, lavoro-fede-famiglia, salperà e toccherà terre mai viste, se avremo saputo “costruirla” bene, ovvero se accetteremo senza lamentarci una mansione umile (nello specifico l’uomo di cui si narra è un netturbino), raggiungeremo la meritata pensione, per poi finalmente godere dei sacrifici compiuti. Una riflessione a tratti amara sulle aspettative e speranze che nobilitano la civiltà operaia, rappresentata con affetto, entrando nella mentalità di queste persone rese speciali nella descrizione: “ E sto pensando alla mia famiglia, e sto pensando alla fede, e sto pensando al lavoro, e sto pensando a come sarebbe bello essere qui un giorno, su una nave chiamata Dignità, una nave chiamata Dignità, quella nave.”

"The Very Thing" è magnificamente collegata a "Dignity" e punta ad enfatizzare quanto, forse, possa essere altrettanto importante anche l’amore, nel corso della vita. La melodia è ariosa, il ritmo uptempo appare la scelta giusta per sottolineare gli argomenti trattati. L’amore si materializza, con sfaccettature diverse, pure in "Love’s Great Fears", con special guest lo stupendo Chris Rea alla slide guitar, una pop ballad strappalacrime che spappola il cuore, di quelle che a fine anni ottanta il deejay improvvisato della compagnia avrebbe messo sul piatto del giradischi nel frangente giusto, al momento dei lenti. Le grandi paure dell’amore in tal caso riguardano proprio i problemi di coppia, quando sembrano insormontabili e solo il tempo e l’esperienza possono appianarli, “Le grandi paure dell'amore, non le vedi divampare? Si contorcono e trasformano, mentre cammini e impari. Gira e rigira, mentre cammini e impari”.

 

E pure il cammino dei Deacon Blue (a proposito, lo sapevate che prendono il nome da un brano degli Steely Dan?) si contorce e trasforma dopo questo clamoroso e bellissimo debutto. Il seguente When the World Knows Your Name certifica l’exploit di Raintown rendendoli celebri in tutta Europa, Italia compresa, grazie anche a una serie di concerti impetuosi, che esaltano le doti dei ragazzi.

Poi la magia un po’ si incarta, viene meno l’alchimia tra i membri della formazione e, nel 1994, avviene lo scioglimento. La struttura portante della band, peraltro, è solida, Ross e la Mcintosh sono sposati, e quindi nonostante alcune defezioni, a cui andrà ad aggiungersi la successiva tragedia della morte di Graeme Kelling (2004), il sodalizio si ricompone con nuovi volti a fine secolo.

Vi saranno in aggiunta pure alcuni progetti solisti, tanti alti e bassi, ma Walking Back Home (1999), la raccolta con tre inediti Singles e il DVD, con video e un live del 1989, The Bigger Picture (entrambi del 2006), The Hipsters (2011), e infine l’ultimo grazioso Riding on the Tide of Love, uscito a febbraio 2021, garantiscono la qualità e le attitudini di un gruppo che è invecchiato nel segno della sua canzone più famosa, con dignità. E proprio "Dignity" è stata pubblicamente votata durante il famoso programma radio Ewen Cameron in the Morning come la migliore canzone scozzese di tutti i tempi.