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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
12/11/2018
Lewis Baloue
Romantic Times
Vi hanno mai raccontato, da bambini, storie del mistero, d’inverno, davanti ad un caminetto scoppiettante legna? E se sì, ci credevate? Beh, almeno io sì, ma anche voi, potrei scommetterci. Bene, adesso fate finta di tornare a quei tempi, prendete una sedia, posate gli smartphone e per il tempo di una canzone ascoltate questo racconto.

La nostra storia inizia nel 1983 ma potrebbe anche essere iniziata nel 2014, poco importa vedremo poi, ed ha per protagonista un fantasma o forse una persona in carne ed ossa, ma anche questo non è importante.

Con che nome chiameremo il personaggio principale? Lewis, Lewis Baloue o Randy Wullf?

Partiamo da Lewis, un biondo playboy milionario canadese con la passione per la musica, ma forse non è certo, o probabilmente si, che nel lontano 1983 arrivò con la sua Mercedes bianca decappottabile presso uno studio di registrazione in quel di Los Angeles (studio dove erano soliti ospitare band di hard-core punk) per far sì che uno sfizio diventasse realtà: incidere un disco, una “private press” per dirla con i collezionisti, sotto etichetta RAW, acronimo di Randall A. Wullf che altri non è (forse) che il vero nome del milionario canadese.

Il disco sarò poi noto come “L’amour”, una raccolta di dieci canzoni fatte di melodie decadenti e raccontate con voce fragile e intimista, accompagnate da un sottofondo ultraminimalista di pianoforte e chitarra e un tappeto di synth. “L’Amour”, da quelle poche copie esistenti, forse due, tre, sarà riportato alla luce non si sa bene come nel 2012, presso un web site di download musicali chiamato “Weird Canada” e verrà ristampato giusto due anni dopo in digitale e vinile dall’etichetta Light In The Attic, diventando uno dei casi dell’anno, al punto da venire insignito come uno dei migliori dischi del 2014. Decisamente tempi più maturi, i nostri, per apprezzare un disco del genere, ma di questo ne riparleremo.

Finita la storia? Ma neppure per sogno. Non si è ancora spenta l’eco suscitata da “L’Amour” che pochi mesi dopo apparirà un annuncio su e-bay di un disco venduto a 1725 dollari, rarissimo, si parla anche qui di una copia o poco più stampata. A dire la verità le copie saranno tre, la seconda verrà scovata nel caveau di un collezionista di dischi e dj, Kevin “Sipreano” Howes, a Vancouver, la terza sarò ritrovata in un record store di Calgary. Sulla copertina del disco, intitolato “Romantic Times”, è ritratto un signore biondo in completo doppio petto bianco, con un sigarillo tra le dita, sullo sfondo una Mercedes decappottabile in stile Miami Vice e un jet privato. Il nome dell’intestatario dell’album non è più Lewis, bensì Lewis Baloue e sì, ad uno sguardo più accurato è proprio il Lewis che campeggiava sulla copertina de “L’Amour”.

A questo punto la Light in The Attic coglie la palla al balzo e annuncia al mondo il ritrovamento del secondo lavoro del fantomatico Lewis, e si dice pronta a digitalizzare e ristampare il disco. Ma non ha fatto i conti con chi pensa che tutta questa storia sia un bluff: molti saranno infatti gli appassionati che credono di essere presi per il culo, che tutta questa operazione sia un fake costruito ad arte per gabbare gli appassionati e in maniera maggiore i collezionisti. Vi è da dire che sulla serietà della Light in The Attic non ci piove e perciò, dando credito alla buona fede della stessa, personalmente, pur nutrendo un iniziale scetticismo, do per buona la versione della casa discografica.

Ma com’è “Romantic Times”, mi chiederete. Se con “L’Amour” eravamo ancora in un territorio di fruibilità di un disco con i canoni di ascolto di una trentina di anni dopo, con “Romantic Times” le cose si fanno ancora più complicate. Prima di tutto la parte dei synth e delle drum machine è preponderante rispetto al lavoro precedente, qua e là si affaccia timidamente un pianoforte, un sax che arriva dagli abissi del tempo, una chitarra acustica; la voce di Lewis è ancor più stentata e impercettibile, sembra quella di un fantasma che si trova per caso in una sala di registrazione e decide en passant di attaccare la corrente e di mettersi a cantare. Paradigmatico di tutto il lavoro è l’iniziale “We Danced All Night” sorta di “Strangers in The Night” di sinatrania memoria ma cantata da Lewis con in mano un cocktail di Gin e Serenase (il tecnico che supervisionò il tutto, si ricorda che Lewis cantava come se fosse sotto l’effetto di qualche sostanza).

La canzone, così come le altre, ha un andamento ipnotico e nonostante ad un primo ascolto ti chiedi cosa cazzo stai ascoltando, non riesci a staccarti ma anzi, una volta finito non vedi l’ora di ricominciare. Straniante, questo è l’aggettivo che mi viene in mente, e per una volta niente è più appropriato, ma anche malinconico, come se il corso della vita di Lewis non fosse andato esattamente come voleva che andasse. Un disco che avrei visto bene a commento di un film di David Lynch.

Nota a margine di “Romantic Times”, il fotografo che ha ritratto Lewis Baloue sulla copertina aspetta ancora che gli venga pagato il conto della sessione di shooting.

Siamo giunti alla fine della storia? Ma nemmeno per sogno. Poco tempo dopo il ritrovamento di “Romantic Times”, i tipi della Light in The Attic si mettono alla ricerca di Lewis Baloue e casualmente lo trovano in un’isola tropicale, assiso su di uno sdraio mentre sorseggiando un cocktail e si gusta il panorama marino. Non più Lewis o Lewis Baloue ma Randy Wulff, il suo, dice, vero nome; gli viene raccontato tutto l’ambaradan dei ritrovamenti e che i suoi dischi sono tornati a vita nuova. Gli verrà offerta una copia delle ristampe in cd e le royalties per le vendite effettuate, ma Mr. Wulff si dirà disinteressato al suo passato e rifiuterà sia l’una che l’altra offerta.

Fatto sta che il mistero di tutta questa storia rimane. Se non lo sapete, c’è un ulteriore album, il terzo e per adesso ultimo di Mr. Wulff, ma devo dirvi in tutta onestà che ancora non l’ho ascoltato. Misterioso rimarrà anche l’effetto e gli ascolti ripetuti in loop di “Romantic Times” che per una settimana almeno mi ha fatto scordare che esistessero altre cose da ascoltare.

Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra che io ho detto la mia.