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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
09/11/2020
Claudia Bombardella
Sicuri che il lavoro sia libertà?
Sicuri che il lavoro renda liberi? Sicuri che si lavori per la libertà? O meglio ancora: sicuri che si lavori con libertà? O magari lavoriamo per tirare a campare? Insomma: lavoriamo per generare, per celebrare l’anima, la creatività e la forza dell’uomo… oppure lavoriamo per ricavarne il mero denaro che ormai ha schiavizzato ogni forma di esistenza, dentro le comunità cosiddette civilizzate?

“La libertà sta nella capacità di ascolto, di lasciarsi attraversare da ciò che la vita ci porge e forse... agire con maggiore coscienza. Nel lavoro e nella vita”. (C. Bombardella)

Sicuri che il lavoro renda liberi? Sicuri che si lavori per la libertà? O meglio ancora: sicuri che si lavori con libertà? O magari lavoriamo per tirare a campare? Insomma: lavoriamo per generare, per celebrare l’anima, la creatività e la forza dell’uomo… oppure lavoriamo per ricavarne il mero denaro che ormai ha schiavizzato ogni forma di esistenza, dentro le comunità cosiddette civilizzate? La linea è sottile e impiega pochissimo a mancare di rispetto a tutti quelli che, soprattutto ora, vivono il dramma di un lavoro che neanche ha la libertà di aversi. Mi muovo con delicatezza, non voglio offendere la sensibilità di chi un lavoro non ce l’ha, di chi lo sta perdendo, di chi sta pagando il prezzo di questo covid come di altre sciagure (personali o comunitarie)… non voglio mancare di rispetto neanche a chi negli anni è morto per consegnare alle nostre generazioni la dignità di un lavoro. Ma dal mio piccolissimo cantuccio di ignorante coscienza, temo che la frittata delle parole, nel tempo delle facili parole e della troppo automatizzata comunicazione di massa, si sia girata dal lato comodo del monopolio e abbia visto la libertà abilmente trasformarsi in schiavitù… che poi anche su questa parola che tanto fa scena è doveroso stare attenti nell’utilizzarla…

Però lo scenario sembra assai evidente…sempre… tutti costretti con sottili demagogie tecniche e sociali ad aderire ineluttabilmente al monopolio… altrimenti al proprio lavoro viene meno la dignità di avere un senso e una sostanza. Vedo questo d’intorno… e non penso che somigli lontanamente al concetto che avevo io di libertà.

Facciamo un parallelismo con la musica che qui è protagonista, come sempre. Impossibile presentarvi Claudia Bombardella con due righe soltanto. In due righe soltanto penso di poter dire che siamo di fronte ad un’anima alta che ricerca ogni giorno il suono, la sua forma, la sua “parola”, il suo messaggio. E l’Italia (e non solo) l’ha celebrata come ha potuto, come doveva. Ma la cronaca distratta della massa, indottrinata quotidianamente da altro e che su questo genera anche un certo tipo di lavoro, non sa neanche chi sia Claudia Bombardella… però poi sa dirci ogni cosa del vincitore del Talent X nei riguardi del quale accade un lavoro di altissimo profilo, tecnico ed economico. Sempre perché i grandi sistemi poi parlano di questo vincitore quando ci si riferisce alla CULTURA e alla MUSICA del nostro paese. Penso dunque che il dramma che viviamo, in questa direzione, sia il medesimo gioco di sottile prestigio che viene usato per la parola lavoro: il sottile indottrinamento ad un comodissimo fabbisogno genera il mercato di massa e noi, inermi e fintamente consapevoli, diventiamo spettatori e addirittura promotori di quel consumismo che, chiudendo un cerchio perverso e altamente funzionale ai potenti, determina inevitabilmente cosa è buono e cosa è da discriminare. ATTENZIONE: non è vietato far cose diverse, ma è difficilissimo che queste abbiano vita. Le dittature e i monopoli della cultura, del lavoro, del mercato di oggi hanno capito (ci insegnava anche Pasolini) che possono imporsi senza perpetrare divieti ma semplicemente alimentando indifferenze e discriminazioni su tutto ciò che è fuori dal grande registro delle cose buone. E si alimenta indifferenza attraverso la comunicazione di massa di cui ormai siamo dipendenti. Esempio stupido? Presto fatto: provate oggi a non possedere un cellulare smartphone. Siamo automaticamente discriminati e messi a distanza da ciò che in realtà ci è dovuto, siamo tenuti fuori anche dagli immediati rapporti interpersonali che nel tempo hanno assorbito passivamente l’educazione nel non sapersi più gestire senza una chat o un social network. Io stesso, per tornare a lavorare ho ceduto all’utilizzo di uno smartphone. E la cosa grave è, penso io, che neanche ce ne rendiamo conto.

Torniamo alla musica.

Claudia Bombardella rivede e codifica a suo modo “Working Class Hero” di J. Lennon e della Plastic Ono Band, brano del 1970, che non penso sia una canzone propriamente di pace… un po’ tanto come accadeva per “Imagine”…

Ad artisti di ricerca come Claudia Bombardella dovremmo forse qualcosa di più che un semplicissimo ringraziamento di costume e di ufficio. Lo dovremmo ad etichette come la RadiciMusic che non lavorano per il guadagno ma solo per il lavoro, quello nobile del termine, il lavoro che genera, che lancia una voce nel pieno della tempesta dei grandi media. A loro va riconosciuta la forza di esistere nonostante tutto, stando fuori dai cliché… e noi che alziamo la voce alla libertà alla fine restituiamo loro soltanto indifferenza, indottrinati come siamo alla costrizione di rispettare i santi cliché. Tanto per sintetizzare: se invece di Claudia Bombardella fosse stato Achille Lauro (un nome di moda preso a caso), questo video sarebbe stato rilanciato da tutte le testate nazionali. Invece, a fronte di un nome alto ma reso indifferente dal sistema, le testate nazionali neanche hanno l’educazione di rispondere. Loro è l’indifferenza figlia di una costrizione a cui devono sottendere per mero sopravvivere. E questo è solo un caso. Quindi: sicuri che questo lavoro di oggi sia foriero di libertà? Forse lo libera (in parte) dalle tasse mensili… ma è forse questa la libertà per cui i nostri nonni sono morti in battaglia?

Scusate il delirio sociale e politico. Ma ho vissuto tutto questo nelle immagini acide, nei suoni sospesi, nei cori cattedratici, in quel certo sottendere ironia e scanzonata denuncia nelle melodie e nelle liriche già famose ma qui riviste da Claudia Bombardella con mano artigiana, alta e sensibile… con anima di cultura. Ho veduto un piccolo clown vestito di nero e di panna che, più della felicità, vorrebbe poterci prendere a schiaffi, per svegliarci dalla stupidità dentro cui ci facciamo chiudere ogni santo giorno. Forse. O forse ho detto solo stupidaggini che valgono il tempo di una birra. Ed io mi scuso ancora e ancora se ho mancato di rispetto, stupidaggine dopo stupidaggine…

Ora parliamo di MUSICA…

Partiamo dal sottolineare delle coordinate per orientarci dentro la tua grande carriera. Un momento solitario tra i tanti progetti… un brano per un documentario presentato al Festival della letteratura di Mantova… e poi questo momento che stiamo attraversando. Questa tua personale rilettura di Lennon, quindi, come e perché nasce?

Il progetto nasce su commissione di Marisa Articoli, regista del documentario “Perdere - Ritrovare” sugli effetti che ha avuto sugli operai la chiusura della cartiera di Burgo nel 2014… Per me fu una piccola scommessa, un testo bellissimo, crudo, con immagini forti e tremendamente attuali. Mi sono lasciata guidare dalle parole, riscrivendo la musica con sonorità e richiami del "mondo", ambito in cui mi muovo da sempre e che in questo caso mi sembrava pertinente vista la situazione mondiale di economia globalizzata che certamente non è stata creata per i più deboli...

E perché dargli luce soltanto ora?

Non saprei.. forse per ricordarci che è bene rimanere vigili? Con Stefania (manager dell'etichetta Radicimusic nonché videomaker), durante il "lockdown" è sorto spontaneo rielaborare il brano, con immagini, poetiche ed evocative, di cui la prima e l'ultima sono la sintesi: la possibilità di andare oltre al condizionamento, quindi verso la libertà, essenzialmente interiore.

Parli - e sinceramente ci viene chiaro all’ascolto - di un incedere, di un andamento “marziale”. Un arrangiamento che restituisce severità quasi militare alla libertà che dovrebbe invece racchiudersi dentro il lavoro di un uomo. Ho letto invece questo “lavoro” come entità schiavizzante e non più foriera di libertà… ma forse sbaglio nella mia lettura… che mi dici?

L'andamento marziale sottolinea il condizionamento cui tutti noi siamo sottomessi… è anche sottilmente "affascinante" e a modo suo rassicurante, per questo Lennon canta nella sua poesia, denuncia senza mezzi termini, richiama ad un risveglio e presa di coscienza. Ho cercato di sottolineare il dolore e disagio di questa condizione, ahimè molto diffusa.

La libertà sta nella capacità di ascolto, di lasciarsi attraversare da ciò che la vita ci porge e forse... agire con maggiore coscienza. Nel lavoro e nella vita.

Quindi rimango ottimista e tutto sommato ironica (l'uso della voce megafono e cori fuori campo come nenie che continuano a ronzare nelle nostre teste), perché l'ironia ci permette di dire ed accogliere con più facilità, per poi magari  riflettere da un'altra prospettiva.

Da ricercatrice non potevo attendermi l’uso tradizionale di strumenti tradizionali. E qui ti lascio carta bianca per non addentrarmi in cose poco agevoli… ma la domanda principale è: l’arrangiamento è nato dallo strumento o hai cercato uno strumento che celebrasse quel certo modo di concepire il brano?

L'uso degli strumenti nel mio lavoro è sempre funzionale al testo o idea. Unire violoncello, sansa africana, fisarmonica, cajon e daf persiano (tutti strumenti stilisticamente molto caratteristici) è stato spontaneo, come evocare un urlo che riguarda l'umanità, non la singola cultura.

Quanto nella tua musica hai “riletto” il testo della canzone? Ho come l’impressione che abbia trovato una nuova codifica, un nuovo significato…

Si, come accennavo sopra, ho sentito la poesia non solo un atto di denuncia per gli "operai" cui si riferisce Lennon ma più ampiamente una denuncia sulla condizione di "schiavitù " mentale ed emotiva del genere umano, da cui nessuno sfugge, a meno che non ci se ne renda conto… non c'è più il quartiere vero e proprio (in cui Lennon è cresciuto), c'è un mondo di interscambio di informazioni costante, che non solo non sono nutrienti ma che alimentano l'illusione, ora più che mai.

E poi questo video, visionario e lisergico al passo con il suono e l’andamento di cui parlavamo. Una clip realizzata da Stefania Cocozza della RadiciMusic e dal direttore della fotografia Roberto Galassini. Come siete arrivati a queste idee, a questa forma finale, a queste visioni? Anche qui: è nato prima il concetto o prima l’estetica del concetto?

Tutto nasce e si disgrega, tanto che non si sa più se è l'uovo o la gallina a sorgere per prima… ma Stefania è stata meravigliosamente disponibile, piena di iniziativa e santissima pazienza, abbiamo cercato, elaborato, costruito… assieme, ambedue a servizio di qualcosa di più grande di noi. Lei poi ha concretizzato il tutto con maestria.

E Roberto, sempre immenso, preciso e dal tocco magico.

Tanta gratitudine per il loro lavoro e sostegno sempre.

Oggi per te cos’è il lavoro? Che peso ha in questa nuova società anche congelata da questo Covid?

Il lavoro è il ponte verso la realizzazione di un progetto, che sia di realizzazione nella vita, famiglia o altro, imprescindibile.

L'umanità ha sempre lavorato per sopravvivere, nutrirsi, costruire, creare. Per sé stessi e la comunità.

Poi è successo qualcosa che ha distorto e avvelenato questa sorgente spontanea. Il covid non è che la manifestazione di  un mondo che ha perso le radici.

E oggi, sempre secondo il tuo punto di vista, cos’è diventato l’uomo e il suo lavoro? Mi permetto di azzardare una fotografia: una schiera di nuovi schiavi, senza catene di ferro ma con una libertà invasiva piena di illusioni… non so se ti piace...

Oggi siamo anime traballanti, condivido la tua visione anche se penso che sia la condizione che sempre ha caratterizzato l'umanità. Tutte le antiche filosofie (cinese, buddiste, sufi..) parlano di questa condizione e di come superarla, come se in fondo il cammino umano non sia altro che riconoscere questo stato di fatto e successivamente impegnarsi a disgregare l'individualismo egoico per risvegliare l'infinito e misterioso potenziale insito in ognuno di noi. Una coscienza unificante e traboccante di meraviglia.

Parliamo invece del futuro di Claudia Bombardella perché so che in pentola sta bollendo qualcosa di importante. Ma ti chiedo: quanto di questo brano e del suo modo di pensarlo ritroveremo dentro le tue prossime produzioni?

...e chi può dirlo... ogni giorno mi stupisco, decido poco di quel che faccio, semplicemente mi affido, poi potremo analizzare e dire. Certo è  che questo lavoro mi ha toccato corde profonde.

Vorrei chiudere con una domanda assai cattiva. Oggi l’omologazione impera ovunque, paradossalmente anche dentro la musica che cerca sempre soluzioni rodate e conosciute per funzionare bene. Anche questo “funzionare” è un concetto che con l’arte ha poco a che vedere. Secondo te perché anche gli “artisti” tendono a ricercare poco altre forme di espressione in luogo di un conformismo ?

Come dici tu, questo atteggiamento ha poco a che fare con l'arte, è semplicemente funzionale alla distorsione di cui sopra. Vogliamo chiamare chi così agisce "Artista"? O piuttosto essere condizionato e condizionante? Non giudico, semplicemente osservo..

Rispetto tutte le forme di lavoro, soprattutto se fatte con passione, amo gli umani e me stessa anche se sbagliamo, anzi soprattutto se sbagliamo, ma l'arte… è un cammino che non si sceglie, non si compra né vende, è forse un'aspirazione, un fuoco cui tendere, cui dedicare ogni atomo, ma il cui risultato è oltre l'umana comprensione.

L'artista non lavora per guadagnare, altrimenti dovrebbe sottostare alle regole del condizionamento, lo fa e basta, seguendo un filo che non ha nulla di razionale, seppur sostenuto da un "pensare" profondo e ancorato alla realtà.

Talvolta l'attività artistica coincide col lavoro, ma in questo caso entra in un ambito pericoloso.. come si diceva, il condizionamento è affascinante…

Osservando le biografie dei grandi artisti ci accorgiamo che sono perlopiù tormentati, forse perché stare nella propria divina umanità è un lavoro difficile, da rinnovare ogni sacrosanto giorno. Ma questo vale per tutti, perché in fondo l'arte più grande è… l’arte di vivere, di dire di sì ad ogni attimo e stupirsi, meravigliarsi, magari anche vedere, riconoscere i nostri umani difetti o resistenze, e nonostante tutto, riuscire ad amare ogni frammento di vita.


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