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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
06/07/2022
Live Report
Slowthai, 30/06/2022, Circolo Magnolia
Personalmente continuerò a ripetere che l’Hip Hop preferisco ascoltarlo sui dischi piuttosto che dal vivo ma sarebbe assurdo non ammettere la bontà di un live come quello di stasera. Fuori dagli Stati Uniti, sempre di più Slowthai è il nome da guardare, sono abbastanza certo che il prossimo disco ce ne offrirà ulteriore conferma.

In Italia il Rap è diventato un genere mainstream da diversi anni, ma il fenomeno riguarda esclusivamente le proposte nate all’interno dei nostri confini. Dipende dal fatto che, se in tanti ambiti siamo esterofili convinti, sulla musica dimostriamo ancora un protezionismo di altri tempi. Se si aggiunge che, nel caso dell’Hip Hop, il ruolo del testo è preponderante e che siamo uno dei paesi europei che ha meno dimestichezza con l’inglese, capiremo perché i grandi nomi di questo genere molto raramente ci scelgono quando pianificano le tappe dei loro tour (ci sarebbe da fare anche un discorso di cachet ma è comunque una conseguenza della scarsità della domanda, quindi siamo daccapo).

Il pienone, se non vado errato, l’ha fatto solo Eminem a Milano qualche anno fa (e peraltro l’artista di Detroit era alla sua prima data italiana) poi, in quello che avrebbe dovuto essere un momento decisivo per lo sdoganamento del genere all’interno dei nostri confini, vale a dire il ritorno dopo nove anni di Kendrick Lamar, non ha fatto registrare la risposta entusiastica che ci si aspettava (tralasciamo i problemi di acustica e volume, al limite dell’imbarazzante). Volendo potremmo anche citare la data di Beyoncé e Jay-Z a Sansiro, anch’essa penalizzata dalla scarsa affluenza.

Questa lunga e probabilmente inutile premessa, per spiegare come, nonostante tutto, la risposta all’unica tappa italiana del tour di Slowthai non sia stata poi così male: il palco principale del Circolo Magnolia non è strapieno ma c’è comunque una buona presenza di pubblico; cosa molto interessante, l’età media risulta ad occhio più elevata rispetto agli eventi che riguardano artisti nostrani, in genere affollati da ragazzini. Un segno che, quando utilizza l’inglese, l’Hip Hop ha maggior possibilità di diventare roba da intenditori (e forse, chissà, c’entra anche una maggior ricercatezza dell’aspetto musicale negli artisti anglosassoni).

 

In apertura ci sono due nomi emergenti, 18k e Kasto, entrambi provenienti dall’Emilia-Romagna (il primo dalla provincia di Ravenna, il secondo da Santarcangelo di Romagna) che condividono anche lo stesso produttore, Michele Kadesh, che infatti si esibirà in entrambi i set.

18K è in giro da qualche anno e ha già pubblicato tre dischi, anche se i numeri al momento non sono altissimi. La sua è una classica esibizione Hip Hop: dj con base (e presenza abbondante di tracce vocali), lui sul palco a sciorinare rime. I volumi troppo bassi penalizzano non poco, per il resto il ragazzo se la cava e i brani, minimali nel vestito sonoro e piuttosto estremi per quanto riguarda i testi, lasciano intravedere buoni spunti. Il pubblico non dà l’impressione di conoscerlo ma comunque si mostra coinvolto, almeno nelle prime file. Personalmente mi ha lasciato poco, credo che non ci siano gli elementi per vederlo crescere ulteriormente.

L’esibizione di Kasto è molto diversa, nel senso che l’accostamento al mondo del Rap è totalmente fuorviante, siamo di fronte ad un Punk Rock dalle venature Emo, non troppo diverso da quello portato avanti da uno come Naska. L’area di provenienza è quella, siamo semplicemente di fronte a quel processo di ibridazione che i giovani artisti stanno portando avanti negli ultimi anni, rendendo progressivamente più tenui i confini tra i generi. Una manciata di singoli per lui, l’ultimo dei quali, “Zanzare” apre il concerto; nel corso della mezz’ora di set vengono proposti anche diversi inediti, a dimostrare un progetto in continua evoluzione. La band è in palla, i brani, pur muovendosi all’interno di un costante già sentito, contengono buoni spunti melodici. Il problema sta semmai nel fatto che i presenti non sembrano particolarmente interessati e, ciononostante, Nicholas si prende qualche minuto di troppo per spiegare i testi e per interagire con un pubblico che, pur rispondendo per educazione, pare non volerne sapere. Rimane un’attitudine sincera, di uno che vede la musica come un modo privilegiato per comunicare se stesso, le sue insicurezze e le sue aspettative. Questo è indubbiamente positivo, per il resto siamo agli inizi, le possibilità di fare bene ci sono.

 

Tyron Kaymone Frampton è tornato sulle scene lo scorso anno con un disco che ne ha se possibile incrementato la statura artistica, come se non fosse già difficile reggere il confronto con Nothing Great About Britain. Cambio di focus, col lato introspettivo a prevalere rispetto alla denuncia socio-politica (non a caso il titolo è il suo nome di battesimo) e canzoni mature e multiformi, con la solita pletora di ospiti illustri ad arricchire il tutto (la collaborazione con James Blake in “Feel Away” è stato uno dei momenti più alti dello scorso anno, per quanto mi riguarda).

L’aspettativa del pubblico è altissima, lo dimostrano le continue grida “Slowthai! Slowthai!” che accompagnano tutti i 15 minuti di cambio palco, oltre ad un’eccitazione nervosa chiaramente palpabile.

Quando il rapper britannico fa il suo ingresso on stage, stranamente indossando una maglietta (che infatti toglierà già al primo brano, esibendosi come da copione a torso nudo) e coi capelli ricresciuti rispetto al taglio sfoggiato sulle foto promozionali del disco, il Magnolia esplode. L’allestimento è molto più che essenziale, palco totalmente spoglio con luci rosse a dominare l’ambiente, il dj in posizione laterale e di fatto quasi invisibile, Tyron a prendersi tutta la scena.

 

Diciamo la verità: per uno come me che ha avuto tutta un’altra formazione musicale, un concerto Rap non è esattamente l’ideale, soprattutto quando è così radicalmente incentrato sull’MC, senza neppure uno strumento sul palco. Detto questo, se consideriamo il senso stesso di questo genere, la sua più intima essenza, allora il rapper britannico ne è un interprete perfetto. Performance di grande impatto, la sua, ottima presenza scenica e gran bel flow, tiene in piedi tutto da solo e fa impazzire il pubblico. Da questo punto di vista, l’interazione tra artista e pubblico, che è uno dei punti essenziali della cultura Hip Hop, è la cosa più bella da vedere questa sera: Tyron parla molto, illustra i pezzi, riconducendoli alla dialettica tra depressione e automotivazione, chiede alla folla di aprirsi per creare un mosh pit e la folla risponde prontamente scatenando un pogo di quelli belli.

Divertente poi la scena in cui chiede alle prime file chi conoscesse “Inglorious” e invita una ragazza a cantarla con lui dicendo: “Tu farai la parte di Skepta”. Al di là del comprensibile imbarazzo (conoscere a memoria delle barre in inglese non è esattamente una competenza scontata) la diretta interessata se la cava benino, se non altro non rovina la canzone.

 

La scaletta privilegia i brani di “Tyron”, da cui vengono estratti gli episodi di maggior impatto, quindi “45 Smoke”, “Cancelled”, “Mazza”, “I Tried” e una toccante “Feel Away” nel finale. In mezzo arrivano alcuni dei singoli usciti tra i due album, “Psycho”, “Tea N Biscuits”, “BB (Bodybag)” e anche un pezzo inedito, che a giudicare dal primo ascolto lascia presagire possibili influenze Mod e Punk nella sua proposta futura. C’è purtroppo poco dal disco di debutto, visto che oltre alla già citata “Inglorious” arriva solo la splendida “Doorman”, che è anche quella che chiude il set.

Nel finale la rabbia e la tensione vengono man mano stemperate e il clima si fa più solare: merito di due brani più aperti e festaioli come “Deal Wiv It”, realizzata assieme a Mura Masa, e “Momentary Bliss”, che è stato il suo contributo all’ultimo disco dei Gorillaz.

Prima di congedarsi dal suo pubblico, non senza ringraziamenti affettuosi per l’accoglienza e la partecipazione, ci catapulta senza nessun senso all’interno degli anni ’90, facendoci ascoltare “Barbie Girl” e ballando divertito al ritmo del pezzo (che beninteso, i presenti cantano entusiasti).

Personalmente continuerò a ripetere che l’Hip Hop preferisco ascoltarlo sui dischi piuttosto che dal vivo ma sarebbe assurdo non ammettere la bontà di un live come quello di stasera. Fuori dagli Stati Uniti, sempre di più Slowthai è il nome da guardare, sono abbastanza certo che il prossimo disco ce ne offrirà ulteriore conferma.