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REVIEWSLE RECENSIONI
02/12/2020
L'Albero
Solo al sole
Un disco che prende il cantautorato degli anni ‘60 e ‘70, terreno ancora fertile e imprescindibile per la stragrande maggioranza degli artisti che vogliano cimentarsi con la forma canzone, e lo aggiorna secondo la lezione di quel Pop leggero ma straordinariamente raffinato...

Andrea Mastropietro suonava nei The Vickers, band con cui si è tolto un po’ di soddisfazioni, tra le quali esibirsi nel 2014 al Primavera Sound, ma che è in seguito sparita senza lasciare molte tracce di sé. Nel 2015 si è messo a cantare in italiano, ha scelto il monicker de L'albero e ha esordito l’anno successivo con “Oltre quello che c'è”.

“Solo al sole” arriva dopo un'attesa di quattro anni, con la sola uscita del mini “Allegria” (un pezzo inedito, due anticipazioni del nuovo disco e un pezzo di quello vecchio in versione acustica) a fornire una piccola anteprima.

Andrea fa tutto da solo, scrive, suona e produce, con l'indispensabile aiuto di Pierluigi Ballarin (mixing) e dell'immancabile Andrea Suriani (mastering). Tanti ospiti con lui a suonare a turno sui vari brani e un nucleo solido composto, oltre che dallo stesso Andrea, da Marco Biagiotti (batteria e percussioni) e Danilo Scuccimarra (pianoforte, rhodes e wurlitzer).

Il risultato è un disco che prende il cantautorato degli anni ‘60 e ‘70, terreno ancora fertile e imprescindibile per la stragrande maggioranza degli artisti che vogliano cimentarsi con la forma canzone, e lo aggiorna secondo la lezione di quel Pop leggero ma straordinariamente raffinato, che in tempi recenti ha visto la sua espressione più alta nel disco realizzato insieme da Colapesce e Dimartino ma anche in “La violenza della luce” di Gianluca De Rubertis, senza menzionare certe sfumature dell’ultimo lavoro di Samuele Bersani.

Arrangiamenti semplici e poco caricati ma tuttavia in grado di fornire un supporto perfetto alla voce di Andrea, sempre molto misurata, e di offrire la giusta dose di personalità ai singoli episodi.

Perché se è vero che da un lato i riferimenti sono tanti e tutti particolarmente riconoscibili, tanto da dare costantemente l'impressione di essere al cospetto di un copione ben conosciuto e ben rappresentato è altrettanto vero che le canzoni sono talmente belle che il senso di stupore e meraviglia non può essere evitato.

Uno stupore che comincia dalla title track (uscita come singolo a fine ottobre), un brano che riesce ad essere sontuoso e ammiccante allo stesso tempo, con una melodia vocale splendida, soprattutto nel ritornello, di quelli che si ricordano a lungo.

C’è il pianoforte, molto più della chitarra, a creare il terreno attorno a cui si sviluppano discrete aperture orchestrali e combinazioni di Synth analogici e wurlitzer. Ne risulta una successione di atmosfere spesso cangiante, dalla leggerezza disincantata di “Dalida” alla malinconia nostalgica di “Quando viene sera”, che rappresenta un certo mood più discretamente scuro in cui una parte del disco si avvolge.

Ci sono anche episodi più ritmati, come ad esempio “Vengo a prenderti”, che presenta anche uno splendido intermezzo di Sax. In effetti questo strumento, suonato da Filippo Orefice, costituisce uno dei valori aggiunti dell’album: Andrea ha dichiarato di averlo inserito pensando al lavoro di James Senese con Pino Daniele ma bisogna dire che il grande merito di tracce come “Cenere” (bellissimo anche il lavoro di percussioni) o la conclusiva “Parlami di te” (che presenta qualche piccola influenza Progressive) è quello di collocarsi perfettamente all'interno della linea musicale del disco, fornendo tuttavia un'innegabile marcia in più.

Semmai una certa spinta verso l'Etno Folk, per così dire, la si osserva nella strumentale “Noia e illuminazione”, una Jam aperta e solare, dove i musicisti sembrano essere completamente a loro agio, mentre l’altra strumentale, “Il mattino ha l'oro in bocca”, posta più avanti nella tracklist, funziona quasi come un nuovo inizio, strutturata com’è al modo di un interludio.

Molto belle anche “Volo 753”, che ha un tocco di psichedelia sixties e “Mia diletta”, che è invece circonfusa di un'atmosfera romantica e fiabesca.

Un disco che parla di come sia difficile trovare una stabilità, di quanto tutto sia mutevole (“Niente in fondo è scritto, niente dura, lo sai, nemmeno i nostri guai”, canta in “Cenere”, un'affermazione che si presta anche ad interpretazioni ottimistiche) ma che allo stesso tempo certifica che le canzoni, quelle scritte bene, sono in grado di essere sempre nuove e sempre antiche alla stessa maniera.

Tra le cose migliori uscite in Italia in questo strano 2020, senza dubbio.


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