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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
13/07/2020
CABEKI
Sopra una terra che sta morendo
In copertina Indigo mette a nudo la solitudine dell’uomo oppure, forse, la sua disperata libertà moderna. In questo futuro, il passato ha solo scheletri. E nel futuro di Cabeki, i grattacieli erano meravigliosamente fieri di dimostrare benessere e potenza. Poi una rivoluzione, l’apocalisse, poi l’ovvia povertà che ha risucchiato ogni cosa. Poi l’origine verso cui tornare.

Per la prima volta il suono della chitarra acustica viene edulcorata, viene destrutturata, viene condotta altrove. Per la prima volta tutto quel che accade è accaduto assieme, in tempo reale, in presa diretta. Durante l’ascolto sei dentro i suoni… e i suoni sono sentieri di sabbia, sono vie nel deserto, sono la polvere che giace sugli scheletri di quei grattacieli. E la polvere, se mi credete, è in qualche modo la misura stessa del silenzio che cade sopra le cose. Questo nuovo disco di Cabeki si intitola “Da qui i grattacieli erano meravigliosi” ed è un dipinto distopico in cui il tempo si posa, come quella polvere di cui parlavo, che cade a coronamento dell’apocalisse. Questo nuovo disco di Cabeki è una riflessione misurata con mano artigiana sul proprio tempo, sul tempo che diciamo di sentire come nostro… sulle nostre stesse distruzioni quotidiane. E in queste 8 composizioni strumentali di chitarra acustica “edulcorata”, di suoni sintetici e di drumming digitali pilotati a pedale, quasi li vedo gli scheletri dei grattacieli che erano bellezza e potenza e futuro, quasi la sento la povertà del nostro lusso effimero, della vanità stupida che tanto sappiamo nascondere sotto falso nome per pulirci la faccia e salvare il sonno la notte.

Andrea Faccioli mi restituisce un nuovo disco in cui, come al suo solito, illumina e dipinge in astratto e senza mai perdere il gusto per la melodia che risolve e che diviene poi segno indelebile di equilibrio: l’ho riconosciuto anche se inganna questa “nuova” faccia che ha dato al suono della sua chitarra… e non mancano neanche le “semplicità contadine” di chi a quella mano artigiana restituisce la sacralità di una tradizione e l’importanza che aveva un tempo il mestiere. Sono dischi che sottolineo sempre con dedizione, sono dischi importanti, sono dischi che servono per viverlo meglio questo tempo che ci vuole allineati e conformi alle regole pattuite dal potere costituito. Chissà se a forza di scriverlo e di cantarlo lo capiremo mai quanto inutili sono questi grattacieli meravigliosi…

Le origini. Questo disco, distopico, apocalittico, desertico… mi narra di un ritorno che l’uomo intraprende verso le sue origini. E lungo la via ricorda quanto erano meravigliosi i grattacieli visti da lì… 

La visione onirica di questi grattacieli, ormai diventati alberi nel deserto, abbandonati e corrosi dal tempo, da un lato mi fa quasi provare "tenerezza" nei confronti di un'umanità stupida che ha sprecato denaro e risorse per mero lucro. Dall'altra effettivamente è il sogno di un ritorno alle origini. Io sono un grande fan di Miyazaki e di "Conan, Il ragazzo del futuro". Il disco è anche una sorta di omaggio a lui e alla sua filosofia.

Sospensione. In ogni dove di questo disco, in particolar modo dentro le ossa della title track, sembra davvero di vivere in uno scenario come quello che circonda il protagonista della copertina. Sospensione appunto… era quello che volevi? Un momento sospeso dopo l’apocalisse, in attesa di un nuovo inizio?

Nonostante in fondo sia un disco molto melodico, di base c'è sempre una certa inquietudine. E non è detto che l'inquietudine sia per forza negativa, è una spinta a muoversi, contro l'immobilismo.

Il suono di questo disco l’ho trovato assai “disturbante” in senso bello, sia chiaro. L’ho percepito carico di personalità, preciso e cosciente di deviare le attese e di tradire le abitudini. Percepisco - in quel prezioso limbo che separa il disturbo dal messaggio - questo dialogo tra distorsioni e delay… non so se ho individuato correttamente alcuni degli effetti che hai usato… ad ogni modo parlami del suono… parlami di questi ribattuti distorti che sembrano echi lontani di una città abbandonata…

In questo disco ho effettato la chitarra acustica, cosa che nei dischi precedenti non ho mai fatto. Ho voluto deviarla. Mi ha ispirato molto l'utilizzo di un delay granulare che ne fa Alan Sparhawk dei Low. Nell'ultimo tour aveva un suono incredibile, sgretolato ma pur sempre melodico e presente, non noise puro. Mi ha molto affascinato. In più nel primo brano ho anche raddoppiato la melodia della chitarra con un synth filtrato da un fuzz.

Che poi questa volta il suono è meno “chitarristico” - se mi concedi il lusso di edulcorare le parole in questo modo. Ho come l’impressione che tu abbia ricercato altro con la chitarra. Ho come l’impressione che questo disco sia la scusa buona di inventare nuovi suoni da dare allo strumento visto che i suoi non bastavano più… cosa mi dici?

Paradossalmente c'è quasi più chitarra qui che nei dischi precedenti, solo che spesso l'ho denaturalizzata. Cercare nuovi suoni credo sia il bello di fare il musicista. Alchimia timbrica.

Che poi, forse più di prima, hai suonato tutto in tempo reale, in presa diretta, dal vivo… buona la prima… o poco ci manca, insomma… e penso che debba avere anche questo un ruolo importante nel messaggio di questo lavoro… l’ho interpretata come un non ritorno, un aver la possibilità di cambiare le cose… che è sinonimo di un nuovo inizio dopo l’apocalisse. E sai che me lo sarei aspettato questo modo di lavorare in presa diretta?

Questo infatti è l'aspetto del disco che più mi premeva. Doveva essere più che mai il "qui e ora". E volevo che il live rispecchiasse il disco e viceversa. Non volevo più dover riarrangiare i brani con la loop station per poterli suonare dal vivo. Niente loop e solo suonato.

E quindi parliamo della copertina. Hai sempre lavorato molto attentamente alla faccia del disco. Questa volta l’immagine è davvero suggestiva. Questo sole che nasce tra le dune del deserto… ma io voglio spingermi ancora oltre, quasi sfidando il pudore e la morale: quest’uomo che cammina sulle acque, sulle onde di un mare divenuto sabbia… richiami di genesi e di nuovi inizi…

La copertina è di un'artista che ho scoperto su Instagram. Da questo punto di vista sfrutto molto i social. Mi piace molto il mondo dell'illustrazione e quindi cerco artisti che mi possano piacere. Lei si chiama Indigo, nome fittizio ovviamente. Credo sia americana ma non ne sono sicuro: è molto riservata. I suoi lavori mi sono piaciuti molto. Avevo visto un lavoro che poteva avvicinarsi all'idea del disco e le ho chiesto di lavorare su quella. Mi piaceva l'idea che fosse in antitesi al titolo del disco: "Da qui i grattacieli erano meravigliosi" e in copertina c'è un uomo solo nel deserto. Poi cerco sempre di immaginarmi come deve essere su una copertina: uno se la deve ricordare o almeno restarne affascinato in qualche modo e il lavoro l'ho trovato molto forte. Non c'è in realtà nessuna visione mistica o biblica alla base. Però il bello è che ognuno può trovare molti e diversi significati, come per la musica del disco.

Impossibile non sottolineare la poesia che regna nella lettura dei titoli dei brani. Un’idea davvero bella, in senso alto del termine lo dico. Che poi, a leggerla, è davvero il racconto di questo lavoro…

In tutti i dischi mi piace dare una chiave di lettura, anche se approssimativa e non legata alla scrittura della musica. In genere i titoli arrivano alla fine e con fatica. Non mi piace mettere titoli astratti, o a sé stanti, ai singoli brani, cosa che può capitare se scrivi musica strumentale. E in più vorrei che il disco fosse recepito come un'opera integra, e non fatta di tanti singoli.

Fra cielo e terra, al futuro, una fragile memoria… ma se i grattacieli erano rivolti al futuro, la loro assenza significa il fallimento di quella idea di futuro?

Il fallimento di quello che l'uomo pensa sia il vero significato dell'esistere su questa terra.

E, visto che i grattacieli erano meravigliosi, in che modo questa fragile memoria li ricorda secondo te? Con paura o con nostalgia?

Il grattacielo come fragile memoria parla della vanità dell'uomo e del suo attuale modus vivendi. Quello che sta succedendo, virus a parte, lo dimostra. L'uomo sta perdendo e nel suo fallimento, nella sua caduta, porta con sé un pianeta che sta morendo. Il problema è l'antropocentrismo. Noi ci reputiamo superiori al resto delle specie viventi perché dotati di intelligenza e pensiero, ne siamo sicuri? Il pianeta si sta esaurendo grazie a noi: è questa "l'intelligenza"? Il sentirsi fuori e superiori ad un equilibrio naturale non è intelligenza, è stupida vanità.

Chiudiamo. Abbiamo tutti bisogno di credere in nuovi inizi. Abbiamo tutti bisogno di pensare che l’apocalisse sia un momento di passaggio verso un futuro nuovo. Oggi viviamo qualcosa di simile, la musica e la cultura da anni vivono qualcosa di simile. Eppure penso che l’apocalisse abbia imparato l’arte della distruzione, un poco per volta, in modo sadico e feroce… ma un poco per volta… è come se ci fossimo accorti di quanto sia importante cesellare la distruzione perché crei abitudine e “normalità” invece che sprigionarla da dentro una bomba in pochi secondi. Ho trovato anche tutto questo dentro questo nuovo disco di Cabeki… ma non so cosa ne pensi tu…

Siamo esseri fragili e impauriti: la paura crea rabbia, la rabbia crea distruzione. Distruggi perché non capisci o ti conviene non capire per il breve tempo della tua esistenza. Senza capire che il qui ed ora può essere un macigno distruttivo nel futuro.

Non so nemmeno io cosa ne penso. Forse abbiamo solo perso il vero senso dell'essere qui. Forse in realtà non bisogna per forza trovare il senso dell'essere qui. Non è quello l'importante. Non so. Ad Majora.


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