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REVIEWSLE RECENSIONI
10/05/2022
Yung Lean
Stardust
Dopo quasi 10 anni di carriera (e ne sta per compiere solo 26) e diversi side-project, Yung Lean sembra aver ancora molto da dire sperimentando con la sua musica. "Stardust" può non essere immediato, e ragionevolmente può anche non piacere, ma continua a rappresentare un esempio di ciò che significa fare musica con la propria testa senza al tempo stesso perdere rilevanza nella scena internazionale.

Dopo che il suo nome è ricominciato a girare grazie ad un brano del 2012 (“Ginseng strip 2002”) diventato improvvisamente virale su TikTok, Yung Lean ha pubblicato un nuovo disco.

Stardust dura poco più di mezz’ora ed è composto da 12 brani, dopo il fin troppo lungo Starz torna infatti a realizzare progetti più brevi e, rispetto al precedente, cambia notevolmente anche il numero di collaborazioni. Troviamo infatti numerosi ospiti, tra i quali spiccano Fka Twigs e Skrillex (in due brani), oltre allo svedese Ant Wan e ai compagni di squadra Thaiboy Digital, Ecco2k e Bladee.

Il viaggio parte proprio insieme a Fka Twigs nella riuscitissima “Bliss”, in cui Lean riesce a coinvolgere la cantante inglese nel suo tentativo di usare la voce come un vero e proprio strumento, in grado di mescolarsi coi suoni della produzione. Lean ha deciso di insistere parecchio su questa tecnica in tutto il suo progetto e anche il singolo “Trip” o un brano come “Starz2theRainbow” ne sono un chiaro esempio.

Anche nelle produzioni ha compiuto un passo in avanti rispetto al passato e si è avvicinato a suoni più hyperpop e meno tipici del cloud rap nella stupenda “All the things”. Nonostante ciò, a farla da padrona nelle produzioni rimane quell’atmosfera cupa e a tratti inquietante tipica di Lean. Trovano comunque spazio alcuni episodi più leggeri e spensierati, soprattutto nella prima metà del disco e nella collaborazione con Skrillex, Bladee e Ecco2k.

Sui testi trovo inutile soffermarmi particolarmente dato che il punto di forza del cantante rimangono le produzioni e il suono generale del disco, non voglio dire che sia un album scritto male, ma nella sua musica questo lato viene sempre messo in secondo piano con la convinzione che la comunicazione avvenga principalmente tramite l’atmosfera creata più che con le parole in sé.

Un ultimo punto da sottolineare è che siamo al terzo album di fila costruito con una coerenza, per buona parte della sua carriera Yung Lean ha sempre concepito i dischi come una semplice raccolta di canzoni fatte in un determinato periodo e si notava mentre da Poison Ivy qualcosa è cambiato nel tentativo di dare una vera e propria identità e coesione a ciascun progetto, gli era riuscito con “Starz” e si riconferma anche con questo nuovo album.

Dopo quasi 10 anni di carriera (e ne sta per compiere solo 26) e diversi side-project, Yung Lean sembra aver ancora molto da dire sperimentando con la sua musica. Stardust può non essere immediato, e ragionevolmente può anche non piacere, ma Yung Lean continua a rappresentare un unicum in grado di compiere una rottura rispetto a qualsiasi regola musicale ed estetica che dovrebbe portare un artista al successo senza perdere rilevanza nella scena internazionale.