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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
20/01/2023
Live Report
Steve Wynn, 16/01/2023, Arci Bellezza, Milano
Questa sera Steve Wynn ha davvero incantato. Dai vecchi classici dei Dream Syndicate alle chicche della sua interessante carriera solista, uno Steve rilassato e completamente a suo agio, visibilmente colpito dall’affluenza, regala al pubblico accorso all'Arci Bellezza un concerto sentito e ricco di racconti dei migliori retroscena dietro la nascita delle sue canzoni.

Ogni volta che ci lamentiamo del fatto che un determinato artista non passa dall’Italia e, a partire da questo, ci lasciamo andare ad ogni sorta di polemica sul fatto che il nostro paese sia meno attento alla musica rispetto ad altri al punto che ormai la maggior parte delle band e dei solisti ci snobba, dovremmo fermarci un attimo e pensare che sicuramente c’è del vero ma che la questione è anche molto più complessa.

Lo dico perché poi ci sono nomi come Steve Wynn che, pur non potendo certo vantare un seguito oceanico in giro per il mondo (i suoi Dream Syndicate sono sempre stati molto amati dalla critica ma ben poco premiati dal pubblico; per non parlare poi dei lavori solisti dello stesso Wynn, che non sono certo tra i dischi più conosciuti in ambito di rock americano), nel nostro paese ha sempre avuto un bacino d’utenza non indifferente.

E così, dopo essere venuto a farci visita quest’estate coi Dream Syndicate, il nuovo anno lo vede ritornare addirittura con dieci concerti; un fatto ancora più eccezionale quando si pensi che le date a sud di Roma sono addirittura due (Avellino e Catania, a cui dobbiamo aggiungere un concerto nella stessa capitale). Non suonerà davanti a chissà quali folle, ma è comunque un dato conclamato che l’Italia, per Steve Wynn e la band, rappresenti un mercato privilegiato.

La data milanese, la quarta dopo Bergamo, Torino e Savona, si tiene all’Arci Bellezza e la risposta del pubblico è notevole: quando arrivo sul posto, poco prima delle 21, le sedie e i tavoli con cui è stata allestita la sala sono già quasi tutte piene e la gente continua ad entrare. L’allestimento (probabilmente una richiesta dello stesso Wynn, visto che mi hanno detto che anche a Bergamo era così) è stato un po’ problematico: i tavoli hanno tolto parecchio spazio, costringendo chi è arrivato dopo a rimanere in piedi contro le pareti. Sicuramente il colpo d’occhio ne ha guadagnato, ma per molti non dev’essere stato un concerto seguito in tutta comodità.

 

Le aperture previste questa sera sono due: la prima è Gianluca Grossi, un artista che non conoscevo e che è portatore di una proposta decisamente fuori dal comune. Di mestiere fa l’insegnante di scienze, e come tale si diverte a scrivere canzoni a scopo didattico, utili per memorizzare informazioni complesse mediante un linguaggio semplice. I brani sono molto lineari, ispirati alla musica popolare e hanno testi simpatici, fatti apposta per valorizzare la cantabilità delle melodie. In chiusura, c’è anche un brano di argomento calcistico, dedicato alla famosa rovesciata di Djorkaeff durante Inter-Roma della stagione ’96-97. Personalmente i brani mi hanno detto poco, non li ho trovati granché interessanti musicalmente. La simpatia di Filippo è però contagiosa e il carattere peculiare di quel che fa hanno senza dubbio reso molto piacevole la sua esibizione.

 

A seguire, dopo appena una manciata di minuti, arriva Carlo Pinchetti, che è invece una vecchia conoscenza. L’artista bergamasco non ha nulla di nuovo da promuovere (sta lavorando al nuovo disco ma non ha proposto nulla in anteprima) per cui il suo breve set si concentra sull’ultimo Una meravigliosa bugia, da cui vengono suonati episodi come “Lacrime”, “Recriminare” e “Fuori di me”. Sempre graditi i richiami alle band da lui fondate negli anni precedenti, omaggiate con versioni efficaci di “Pronti alla rivolta” (Finistère) e “Bandiera” (Lowinsky). In chiusura, una bella cover di “Androgynous” dei Replacements, utile anche a ricordare l’uscita di Graduated Unskilled, il tributo a Paul Westerberg e soci curato da lui e altri artisti e pubblicato da Moquette Records/Des/Dischi Soviet Studio (ne abbiamo parlato su Loudd poco prima di Natale).

Un’ottima esibizione, che ha stupito anche per il silenzio e la compostezza con cui è stata seguita.

 

Steve Wynn è senza dubbio più conosciuto per le cose fatte coi Dream Syndicate, ma non bisogna dimenticare che nel 1988 il gruppo si è sciolto e che da quel momento per lui è iniziata una carriera solista densa di episodi significativi. Ne abbiamo avuto ulteriore conferma con l’uscita di Decade, raccolta in 11 cd del periodo newyorchese (1995-2005, anche se Steve vive tuttora a New York), che oltre alla ristampa dei lavori già noti ha rivelato anche tutta una serie di gemme nascoste. Questa sera i Dream Syndicate saranno lasciati leggermente da parte, per dare appunto spazio all’altra faccia del suo cammino artistico. Ci saranno alcuni dei vecchi classici, questo sì, ma non si prenderà per nulla in considerazione (se non per un brano suonato nel finale) il periodo post reunion, quello che a partire dal 2017 ci ha regalato quattro dischi di ottima fattura (l’ultimo dei quali, Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions, è uscito a giugno).

Si comincia poco prima delle 22 ed è una solida versione di “Anthem”, tra le sue cose più importanti, ad aprire le danze. La resa sonora, come già rilevato in precedenza, è ottima, Steve appare rilassato e completamente a suo agio, visibilmente colpito dall’affluenza (“Grazie per essere venuti qui di lunedì sera!”) e desideroso di scambiare qualche parola col pubblico tra un pezzo e l’altro. Racconta qualche retroscena dietro la nascita delle canzoni (come quando, prima di “Manhattan Fault Lines”, spiega che è stata scritta per descrivere il primo impatto del suo trasferimento a New York a Los Angeles o quando, prima di “The Deep End”, svela che il brano sarebbe nato da una nuotata in piscina assieme alla moglie), omaggia le recenti scomparse di Wilko Johnson e Jeff Beck dicendo che quella sera avrebbe provato a suonare diverse canzoni senza plettro, una tecnica che ha imparato proprio da loro due, e racconta alcuni episodi divertenti di questo tour italiano, dal pittoresco ma anche inquietante viaggio a Milano passando dalla Liguria (“Guardavo questi tornanti a picco sul mare e mi dicevo: beh, se è la mia ora è la mia ora!”) ad una cena pre concerto in cui, assolutamente a caso, gli è stato chiesto che cosa pensasse dei Guns n’ Roses.

Insomma, Steve non smentisce la proverbiale gentilezza e disponibilità (che rinnoverà nell’invito, dopo il concerto, di raggiungerlo al banchetto del merchandising per fare quattro chiacchiere) e come sempre quando suona da solo, è voluto andare oltre la mera esibizione davanti ad un pubblico.

 

Questa sera però c’è un’ulteriore sorpresa: dopo i primi cinque pezzi eseguiti in solitaria (sono arrivate anche cartucce pesantissime dal repertorio dei Dream Syndicate come “Tell Me When It’s Over” ed una particolarmente energica “The Days of Wine and Roses”) sul palco viene chiamato Rodrigo D’Erasmo, che starà con lui fino alla fine del concerto. Il violinista degli Afterhours (che ha però collaborato con una miriade di nomi, tra cui Le Luci della Centrale Elettrica, Calibro 35, Ghemon e Afghan Whigs, solo per citarne alcuni) è un vecchio amico di Wynn, ha suonato su Crossing Dragon Bridge del 2008 e ha preso parte al relativo tour. Dopodiché i due sono sempre rimasti in contatto e non è raro che suonino insieme quando il musicista americano passa dal Nord Italia. La presenza del violino permette un maggior numero di soluzioni e rende il suono più profondo, tutto a vantaggio della resa dei singoli brani. Ci sono ovviamente episodi di Crossing Dragon Bridge, come “Wait Until You Get to Know Me”, “Bring the Magic” e, nel finale, una toccante “Punching Holes in the Sky”, ma anche la coinvolgente “Carolyn”, col suo singalong contagioso ed “Amphetamine” col suo ritmo sostenuto, ma la vera gemma della serata per me è “Merrittville”, suonata in una versione più lenta e leggermente cupa, a cui il violino dona un inedito fascino crepuscolare.

Dal repertorio dei Dream Syndicate arriva anche “Glide”, unico brano post reunion (proviene dal solidissimo How Did I Find Myself Here?), suonata perché, come Steve spiega sorridente, ad ogni data di quel tour del 2008, si divertiva a mettere in scaletta una canzone che Rodrigo non conosceva, per vedere come avrebbe reagito. In questo caso se la cava più che bene: ascolta la prima parte, esegue un notevole solo nel mezzo e poi accompagna il resto della strofa con un pregevole pizzicato.

Siamo agli sgoccioli ed ecco comparire anche Roberto Dellera (il suo amplificatore ed il suo basso sono rimasti sul palco per tutto il tempo, che prima o poi sarebbe arrivato non era un mistero) a dare spinta notevole agli ultimi due episodi della serata, una “Boston” sempre molto gradita ed una inattesa “Down By the River”: non saranno i Crazy Horse, ma i tre la eseguono in maniera onesta, con anche un interessante intermezzo strumentale dove è ovviamente il violino a prendersi la maggior parte dello spazio.

Certamente i concerti dei Dream Syndicate sono un’altra cosa (e infatti mi è spiaciuto tantissimo essermeli persi nel loro ultimo passaggio milanese) ma questa sera Steve Wynn ha davvero incantato. Speriamo che ripassi a breve con la band ma vederlo in questa occasione ha in qualche modo colmato l’assenza.

 

Photo credits: Anna Lisa Pinchetti