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REVIEWSLE RECENSIONI
31/03/2021
Fulminacci
Tante care cose
Al di là di tutti i ragionamenti su stili e influenze, però, c’è che queste canzoni sono splendide, hanno un tiro pazzesco e funzionano tutte perfettamente anche dal punto di vista melodico.

È probabilmente presto per gridare alla scomparsa dell’It Pop ma i segni che qualcosa si sta muovendo ci sono. Dei numerosi epigoni di Calcutta cresciuti come funghi dall’uscita di “Mainstream” in avanti, nessuno o quasi è rimasto sulla bocca del pubblico casuale per più di cinque minuti; neppure il sound iper prodotto ed ultra zuccherino di un Tommaso Paradiso ha goduto di chissà quale pletora di imitatori. Al contrario, l’esordio su full length di Venerus, con la sua miscela efficacissima di Rnb e Neo Soul, il disco di un produttore affermato ed eclettico come Mace, il rinnovato successo di un gruppo meravigliosamente Pop ma anche ancorato alla tradizione come La rappresentante di lista, parrebbero dirci che il mercato musicale del nostro paese si starebbe sempre più discostando da una formula che punta sul do it yourself e su una certa frivolezza dei contenuti.

Ma sono solo analisi abbozzate, difficile dire davvero dove saremo di qui a pochi mesi; anche perché, non lo sottolineeremo mai abbastanza, finché non riprenderanno definitivamente i concerti, avremo solo una fotografia parziale dello stato delle cose.

Il nuovo disco di Filippo Uttinacci, comunque, sembra confermare il trend operante. Il cantautore romano, classe 1997, ha incantato gran parte di critica e pubblico con “La vita veramente”, del 2019, che si è portato a casa anche una Targa Tenco per la migliore Opera Prima e un Premio MEI come migliore giovane dell’anno. Il tutto per la felicità di Maciste Dischi, la sua etichetta, che sembra aver trovato un altro campione di numeri per mantenere al massimo della potenza il proprio roster; notizia ancora più importante dal momento che lo scioglimento dei Canova ha rappresentato davvero un brutto colpo.

La partecipazione a Sanremo aveva suscitato qualche perplessità, sia da parte dell’esercito soloni (“E questo chi è?”) sia da parte degli estimatori, timorosi che affrontare un palco così importante in una fase ancora iniziale di carriera, ne avrebbe eccessivamente condizionato il percorso.

E invece. La risolve lui stesso, in maniera fin troppo semplice, in “Forte la banda”, una delle nuove canzoni, dove afferma semplicemente che “la musica Pop la puoi fare soltanto se c’hai delle idee”. E qui Filippo non è semplicemente uno che di idee ne ha parecchie, bensì anche uno che sa dar loro concretamente forma. Se “La vita veramente” aveva stupito ed entusiasmato per una rilettura poco filologica e molto emozionale del canzoniere di De Gregori e della tradizione popolare romana, qui allarga lo spettro delle suggestioni e delle influenze, le mescola insieme e ne ricava dodici brani che suoneranno anche come mille cose già sentite mille volte ma che sono semplicemente irresistibili, di un livello qualitativo che neanche io che lo seguo dagli inizi osavo sperare.

Sanremo? A questo punto è una formalità. “Santa Marinella”, al netto di una maggiore apertura orchestrale e di un ritornello leggermente più disteso, è un suo pezzo fatto e finito, non c’è nessun tentativo di addomesticamento, di renderlo adatto al palco dell’Ariston e a conti fatti si può dire che tra tutti gli artisti “alternativi” (tra virgolette perché ormai è un termine senza senso, lo usiamo giusto per convenzione), Fulminacci sia stato l’unico o quasi a rimanere se stesso fino in fondo.

Ne ha fatta fede anche la serata dei duetti, dove assieme a Valerio Lundini e Roy Paci ha proposto una versione molto efficace di “Penso positivo”, una rilettura che, se messa accanto alla “Stavo pensando a te” di Fabri Fibra portata in giro nel tour di due estati fa, dice molto di un artista che si trova a suo agio anche con sonorità diverse da quelle che ha scelto di esprimere normalmente ma che pure fanno parte del suo background obbligato di (quasi) Millenial.

È così anche col nuovo disco, che pur mantenendo intatto il marchio di fabbrica dell’esordio (le prime due tracce, “Meglio di così” e la già citata “Santa Marinella” riprendono senza troppe complicazioni il mood cantautorale) si presta a numerose divagazioni in altri mondi sonori: c’è “Canguro”, già uscita come singolo, prodotta da Frenetik & Orang3 che ha un bel groove danzereccio, “La grande bugia” che gioca la carta del Synth Pop, con una melodia smaccatamente ottantiana; “Miss Mondo Africa” lavora di fiati e profuma di Neo Soul, “Un fatto tuo personale” (anche questa la si conosceva) ha un’impronta Urban e nelle strofe gioca, neanche troppo seriamente, col Flow. Poi c’è qualche incursione nel rock pop di matrice nineties, con tanto di chitarre elettriche in primo piano (“Tattica”, “Forte la banda”), pur senza prendersi troppo sul serio.

Al di là di tutti i ragionamenti su stili e influenze, però, c’è che queste canzoni sono splendide, hanno un tiro pazzesco e funzionano tutte perfettamente anche dal punto di vista melodico. Certo, gli arrangiamenti sono ottimi e anche il lavoro di produzione valorizza tutto al meglio; alla base, tuttavia, è proprio la scrittura a costituire un punto di forza: ai brani già citati aggiungete, se volete, “Giovane da un po’” e ditemi se non certifica l’esistenza di un autore che è in possesso di un qualcosa in più.

Già, perché alla fin fine la questione è fin troppo semplice: il problema non è l’It Pop, l’Indie, il Rap, la musica leggera (“anzi leggerissima”). Il problema è se chi interpreta qualunque tipo di proposta è in grado o meno di scrivere canzoni. Fulminacci, per quel che mi riguarda, è uno di questi. E non mi stupirei di vederlo arrivare davvero molto in alto nei prossimi anni.


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