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REVIEWSLE RECENSIONI
Ten Years Alive On The Infinite Plain
Tony Conrad
2017  (Superior Viaduct )
EXPERIMENTAL/AVANT-GARDE
7/10
all REVIEWS
16/01/2018
Tony Conrad
Ten Years Alive On The Infinite Plain
Se pensate che sia una prova troppo estrema e parossistica, bè avete ragione. Ma bisogna pur ammettere che è assai più utile degli ultimi sproloqui di Kozelek o più rivelatrice di qualunque recente esempio di noise estremo abbiate in mente.
di Giovanni Capponcelli

Forse davvero esiste un orrore sotteso alla tremenda contingenza dell’esistere.

Bene, qualunque cosa significhi questa frase, potete starvene ore ed ore al parco a fissare alberi come farebbe Sartre, oppure ascoltare ciò che di più estremo offre il panorama discografico attuale.

Un solo brano, un’ora e mezza di musica. La registrazione di una performance del Marzo 1972 al Kitchen di New York, tra arte visiva, estasi minimalista e Teatro della Musica Eterna. Ovvero una di quelle rare pubblicazioni che realisticamente possano ben testimoniare cosa fosse stato partorito dai discepoli di LaMonte Young a fine anni ‘60, appena un anno prima dello strampalato meeting di Conrad coi Faust, ed il tentativo incestuoso ed immorale di piegare le ragioni del “beat” (ovvero del rock) all’imperturbabilità ascetica del suono puro. Un suono che esplora tutte le tonalità, dal grigio al nero, attraversando ogni microintervallo, con un flusso di totale ed assoluta continuità. Tony “non facit saltus”, ed è certo un esercizio di dedizione tanto per il performer quanto, se non di più, per l’ascoltatore, che si trova presto immerso in un sarcofago chiuso ermeticamente, come Houdini gettato nella vasca. Ma il trucco è che qui non abbiamo bisogno di scappare; anzi subentra un certo confortante straniamento nello “stare”; stare fermi incollati, svuotati da tutto ciò che disordinatamente accumuliamo nella memoria volatile della nostra testa, per poi essere riempiti con lentezza esasperante di un fluido denso di onde perfettamente distribuite, come il miele che cola dal cucchiaio. “A sound current flowed out all over the infinite plain”.

Assieme alla viola totemica di Conrad, anche Rhys Chatham al “long string drone” uno strumento preparato dal leader stesso (una sorta di contrabbasso metallico) e Laurie Spiegel al basso. E bisogna ammettere che questa performance, che funziona come per accumulo, si carica di una suspense sinistra minuto dopo minuto, quando ormai l’impazienza è tale da far apparire imminente la soluzione di questo costante flirt con il ciglio del nulla, imminente la caduta rovinosa del funambolo dalla corda ed una conclusione che risolva il perenne dilemma dell’attesa.

Ma i tartari non spuntano all’orizzonte. “And when I had returned, the sound was still there”

Poca musica incisa e venduta su disco ha un impatto così profondamente fisico (Necks, Bohren & der Club of Gore) e bisogna guardare altrove per trovare paragoni calzanti: forse nei templi tibetani, agli ottavisti nei cori nella liturgia russa.

Se pensate che sia una prova troppo estrema e parossistica, bè avete ragione. Ma bisogna pur ammettere che è assai più utile degli ultimi sproloqui di Kozelek o più rivelatrice di qualunque recente esempio di noise estremo abbiate in mente.

Sconsigliato a coloro che ritengono di avere già tutte le risposte alle solite domande.