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REVIEWSLE RECENSIONI
The Death Of Me
Polaris
2020  (Sharptone Records)
HARDCORE METAL / HARD ROCK ALTERNATIVE ROCK
7/10
all REVIEWS
10/03/2020
Polaris
The Death Of Me
Cinque giovani ragazzi australiani, metalcore nelle vene con influenza à la Architects e un debutto di due anni fa che ha scosso le classifiche. Il nuovo The Death Of Me porterà di nuovo i Polaris in vetta?

Il liceo serve a molte cose. Si iniziano a sperimentare emozioni, situazioni e sentimenti complessi, si incontrano spesso gli amici che ci si porterà dietro per una vita e si inizia a condividere con loro le passioni che ti bruciano dentro.

Questo il caso dei Polaris, cinque ragazzi che nel 2012 hanno deciso di mettersi insieme dopo che il batterista Daniel Furnari e il bassista/vocalist Jake Steinhauser si incontrarono nella loro battaglia delle band liceale, scoprendo un reciproco amore per il metal e la musica alternativa. Tempo di reclutare il chitarrista Rick Schneider e il cantante Jamie Hails attraverso amici comuni e passaparola e le basi erano state poste.

Dopo essersi messi subito al lavoro con l'EP Dichotomy, pubblicato in maniera indipendente nel 2013, aver subito qualche leggero cambio di formazione e pubblicato un secondo EP The Guilt & The Grief nel 2016, i cinque australiani lavorano al loro debutto ufficiale, The Mortal Coil (2017). L’album schizza nelle classifiche ARIA - le più importanti d’Australia - direttamente nella Top 10 (sesto posto) e al primo posto nelle classifiche AIR (dedicate specificatamente alla musica indipendente); nell’anno successivo, inoltre, The Mortal Coil viene anche nominato per il miglior album Hard Rock/Heavy Metal del Premio ARIA.

La notorietà li impegna per due anni in numerose tournée sia australiane sia internazionali e porta i Polaris a suonare sia come headliner sia a fianco di band del calibro di Architects, Parkway Drive e Beartooth.

Giunge quindi l’ora di realizzare un nuovo album. La pressione e la responsabilità rischiano di farsi sentire, quindi i Polaris tornano a casa, nello stesso posto in cui avevano registrato il loro debutto, e creano uno studio temporaneo nella piccola città costiera di Mollymook, a circa tre ore a sud di Sydney. Assieme a loro il fidato ingegnere del suono Lance Prenc, e l'amico di lunga data Scott Simpson (chitarrista degli Alpha Wolf, una band metalcore di Melbourne), con i quali hanno co-prodotto il nuovissimo The Death Of Me.

La produzione, la cura e pulizia del suono e la bravura dei musicisti in campo per la realizzazione dell’album, infatti, sono tra gli elementi più meritevoli di plauso. Anche dal punto di vista della scrittura, testuale e musicale, troviamo però in The Death Of Me delle positive sorprese.

Rispetto ai testi, in soli 43 minuti, i Polaris presentano una sintesi di temi che vanno dalla crescita personale, alla salute mentale, al dubbio, alla pressione delle aspettative, alla comprensione di se stessi e del mondo che ci circonda, argomenti da sempre a loro cari, ma che sono stati inevitabilmente sostanziati dalle esperienze condivise nel corso degli ultimi tre anni di successo e vita in tour.

Dal lato musicale, invece, nello svolgersi delle 10 tracce troviamo un metalcore piacevole, non certamente innovativo o sconvolgente, ma ben fatto, capace di giocarsi e giostrarsi tra aggressività e melodia, anche se, ad opinione di chi scrive, particolarmente riuscito in special modo nelle tracce più aggressive.

Punta di diamante di The Death Of Me, infatti, è certamente il singolo “Hypermania”. Una traccia che, oltre ad essere una delle più belle dell’album, porta con sé diverse piccole prime volte per i Polaris: da un lato un processo di scrittura nuovo, che si origina e prende forma e pensiero a partire dai riff della chitarra di Rick Schneider, dall’altro, in conseguenza delle caotiche vibrazioni sonore e delle parole che si generavano da questi, la decisione di realizzare un brano completamente urlato, senza parti o contraltari melodici: una novità per la band.

Nel novero delle tracce degne di menzione sul lato delle più aggressive troviamo anche “Landmine”, che regala dei riff à la Slipknot, il primo singolo “Masochist” e la bellissima “Creatures of Habit”, che nasconde anche dei brevi picchi di doppia cassa. Il lato delle eccellenze si arricchisce inoltre della canzone più lenta ed emotiva dell’album, “Martyr (Waves)”, che riesce a far vibrare le giuste corde dell’animo e a diventare così uno dei brani di riferimento per il climax e il messaggio dell’album.

Nell’elenco delle più deboli, invece, si colloca “Above My Head”, che non sempre riesce a rendere convincente l’amalgama di urlato e melodico, facendole sembrare parti di due canzoni diverse e generando un risultato tutto sommato mediocre. Un amalgama che, per quanto non perfetta, diventa invece molto più convincente in “Vagabond”, che nei suoi poco più di quattro minuti riesce inoltre a passare dal metalcore più urlato, al melodico pulito puro, a dei riff degni delle migliori canzoni rock, mantenendo al contempo una sua unità.

Un buon equilibrio di melodico, aggressività ed emozione lo troviamo invece in canzoni quali la bella “All Of This Is Fleeting”, dove le influenze à la Architects si respirano potenti, oltre che nell’apertura di “Pray For Rain” e nell’epilogo di “The Descent”.

The Death of Me sarà per i Polaris un nuovo trampolino di lancio per le classifiche? Le possibilità ci sono tutte. L’innovatività rispetto al genere di riferimento (il grande calderone del metalcore) non è certamente da contemplarsi, ma appunto perché l’offerta è sempre molto ampia, trovare una band capace di creare delle buone canzoni, non banali e noiose, ben eseguite e personali, non è mai facile.

I Polaris hanno aggiunto un nuovo mattone alla loro carriera e nei prossimi anni avranno certamente modo di calcare molti palcoscenici vecchi e nuovi: visti i risultati che stanno ottenendo live e in studio, non possiamo che augurarci che la bandiera della loro musica e del metalcore australiano sventoli ancora a lungo.


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