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REVIEWSLE RECENSIONI
19/10/2021
Vikowski
The Long Run
"The Long Run" è il ritorno di Vikowski, una proposta maturata nella scrittura ma corente nella formula: ballate dagli echi New Wave, atmosfere notturne e un certo debito verso Interpol, Editors e The National.

Il ritorno di Vikowski è senza dubbio una bella notizia. Avevo seguito i primi passi di questo progetto, prima durante le esibizioni al Pending Lips (un contest che, cogliamo l’occasione di dirlo, ci manca moltissimo) poi nel disco d’esordio Beyond Skyline, che mi aveva gradevolmente impressionato. Aveva suonato parecchio dal vivo, ricordo soprattutto una bella apertura milanese ai Pains of Being Pure at Heart, poi non ne avevo più saputo nulla, anche se dai suoi canali Social si intuiva che fosse ancora attivo.

Oggi che finalmente abbiamo tra le mani The Long Run apprendiamo da lui stesso i motivi di questa assenza: fondamentalmente, il desiderio di staccare un po’ e di dedicarsi alla scrittura dei nuovi brani; poi la pandemia e l’esperienza, comune a molti suoi colleghi, della musica come veicolo privilegiato del raggiungimento di una più serena dimensione interiore.

Le canzoni di The Long Run vengono fuori da qui, grazie anche alla collaborazione con Lorenzo Pisanello, che ormai da tempo lo accompagna dal vivo e che si è occupato assieme a lui della produzione di queste dieci tracce. A completare il quadro di un disco realizzato prevalentemente in solitaria, una manciata di amici come Francesco Aprili (Giorgio Poi, Tutti Fenomeni, tra gli altri) alla batteria, Giorgio Distante alla tromba e Michele Ottoiano alla chitarra. Non sono presenti in tutte le tracce, vanno piuttosto ad impreziosire con il loro tocco alcuni di questi episodi, in un disco che, come il precedente, ha il suo fulcro principale nel binomio voce/piano.

È cambiata l’etichetta (non più Costello’s ma l’accoppiata serba Pop Pop Depresjia/Kisobranci) ma la proposta, sebbene notevolmente maturata nella scrittura, è rimasta la stessa: ballate dagli echi New Wave, atmosfere notturne e un certo debito verso act come Interpol, Editors o The National, cosa che il timbro baritonale e l’impostazione vocale di Vi Coppeta mette ancora più in evidenza.

The Long Run è un disco che, nonostante le atmosfere indubbiamente malinconiche ed un certo feeling dimesso, ha il suo centro nei rapporti umani e, a partire dall’iniziale “The Dentist”, storia di un’amicizia che rimane tale nonostante le strade differenti prese dai protagonisti, prova a fare i conti con una domanda che, soprattutto con la pandemia, è divenuta più urgente che mai: cosa vuol dire davvero vivere? Esiste qualche cosa in grado di rimanere solido mentre tutto si sgretola?

Il filo conduttore, come dice lui stesso, è dato dalla trilogia di bozzetti dedicata alla luna: “New Moon”, “Full Moon” e “Blue Moon”, variazioni sullo stesso tema, una linea vocale à la Tom Smith che è tra le cose più belle del disco, diverse soluzioni di arrangiamento, dalla resa orchestrale ad una minimale chitarra acustica; prima ancora che una serie di interludi, rappresentano la chiave d’accesso per entrare in un lavoro dalla dimensione intima molto profonda.

Il resto è tutta roba buona, con “The Dentist” ad aprire le danze, cupa ed elegante, la voce che si appoggia sul piano, i leggeri tocchi di Synth ed un tappeto orchestrale che sale verso la fine. “Our Fight Within” è stata scritta assieme all’amico Alessandro Panzeri, meglio conosciuto come Old Fashioned Lover Boy. È passato un po’ di tempo dal suo ultimo disco ma lo abbiamo recentemente ascoltato in un ispirato featuring sul brano “Talk to Strangers” di An Early Bird. Qui dà nuovamente il meglio di sé, contribuendo a rendere più solare una canzone che è nel complesso più scura delle cose che scrive da solo. Ottima prova vocale (due timbri e stili differenti che insieme funzionano molto bene) e un ritornello decisamente riuscito.

In “The Great North”, ammantato di leggerezza contemplativa, c’è un gran bel lavoro di Aprili alla batteria, un drumming che rende il tutto molto più dinamico rispetto ad altri episodi. Bellissima anche “Distance”, impreziosita dalla tromba e con una qualche reminiscenza degli ultimi Anathema nelle melodie.

E a chiudere il tutto c’è “New Year’s Eve”, che ripropone gli ingredienti classici del suono di Vikowski: piano più tappeto di Synth, qui con l’aggiunta del basso di Lorenzo Pisanello a fornire ritmo e una maggiore dinamica.

Una quadro d’insieme di grande effetto, che in mezz’ora ci restituisce un progetto in grande forma. L’unico difetto è che le canzoni alla lunga si assomigliano un po’ tutte e che non c’è una grande varietà di soluzioni, nonostante gli ospiti coinvolti. Siamo comunque sicuri che Vikowski saprà trovare la strada giusta per crescere ulteriormente.