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REVIEWSLE RECENSIONI
28/05/2019
The Putbacks
The Putbacks
Se amate le atmosfere cinematiche, se pensate che i testi siano un intralcio alla musica e il noir è il vostro credo, sono certo che questo è il disco che vi accompagnerà per lungo tempo.

La letteratura e la cinematografia da sempre rappresentano la paura e la suspence con il ritrovarsi in strade buie, di notte, magari metteteci un po’ di nebbia un rumore di passi sul selciato e il gioco è fatto. Ma avete mai pensato di ritrovarvi in un posto assolato, quasi deserto se non per la presenza di fauna locale, e silenzioso al punto da farti muovere con circospezione per paura che salti fuori un killer sbiellato sbucato dal nulla che ti colpisce con aria di sadismo in pieno petto con un coltellaccio arrugginito?

Credetemi, chiunque di voi sia stato in Australia e si sia ritrovato nei suoi spazi immensi e assolati, probabilmente avrà provato questa sensazione. Sono certo che la vostra mente avrà elaborato anche una colonna sonora immaginaria per il vostro film immaginario. Se non lo avete fatto perché troppo impegnati a farvi passare la paura, ci hanno pensato, guarda te, proprio dei nativi del posto, ovvero la band australiana The Putbacks, cinque ragazzi per una formazione di astrazioni funk psichedeliche noir e di groove denso e pastoso.

Dopo aver accompagnato la cantante aborigena Emma Donovan nel 2014, i nostri hanno deciso che era giunto il momento di far da sé e una volta ingaggiato il produttore Paul Bender degli Hiatus Kayiote se ne sono usciti con un album omonimo che porta il loro nome, edito per l’australiana Hopestreet Recordings e che è la summa del discorso che facevamo all’inizio.

Disco tutto strumentale che va a pescare nelle recondite paure dell’essere umano e te le sbatte in faccia con una miscela di funk nero come la pece come possiamo ascoltare in “The Way”, brano che vede la partecipazione di Bilal, la psichedelia in odore di fantascienza di “Oranges”, il conga groove screziato di Hammond di “Heavy S**t”, il soul lascivo alla Isaac Hayes di “Hold On” e le raffinate tessiture soul jazz di “No Man No” che vede la partecipazione di Miguel Atwood-Ferguson alle tastiere. Spazio agli inseguimenti in auto lungo le strade del deserto di Uluru con la trascinante “Drones” mentre il finale è affidato alla ipnotica “Silver” e alla jazzata, intrisa di tabacco e fumo, “Slowes Slow Dance”.

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TAGS: black | funky | noir | recensione | review | soul | theputbacks