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REVIEWSLE RECENSIONI
08/09/2023
Gary Moore
The Sanctuary Years
Seppur amato, apprezzato e ricordato con affetto, sono pronto a sostenere che Gary Moore sia stato un chitarrista e autore sottovalutato in tutte le sue diverse fasi musicali, soprattutto le più ombrose e discusse. "The Sanctuary Years" non ci offre clamorose scoperte o inediti sorprendenti, ma rispolvera quattro dischi che vanno assolutamente riscoperti.

 «Look at me then look at you

The things we put each other through

And everyday that we're apart

The skies run deeper through my heart

Surrender, surrender

To our love so tender»

(Gary Moore, "Surrender")

 

 

Ci sono tante canzoni ancora da scoprire di Gary Moore, perché anche nel suo materiale più controverso si nascondono piccoli gioielli. Pochi ricorderanno l’andamento sensuale e felpato di “Surrender”, estratto che arriva da A Different Beat del 1999, uno degli album dimenticati del grande artista britannico. Un’ode verso un amore tormentato e solo in parte felice, intriso di una malinconia che spesso era una precisa cifra stilistica dell’uomo che faceva cantare la sua chitarra come nessuno riusciva a fare:
«Guarda me e poi guarda te/ Le cose che ci siamo fatti a vicenda/ E ogni giorno che siamo separati, i cieli scorrono più profondi nel mio cuore/ Arrenditi, arrenditi/ Al nostro amore così tenero».

 

Il cofanetto The Sanctuary Years contiene quattro album del periodo trascorso da Moore presso la prestigiosa etichetta inglese Sanctuary Records, che va dal 1999 al 2004, non certo la sua fase di più grande successo ma sicuramente un periodo creativo frenetico e da riscoprire. Dopo la fase di hard rock “celtico” degli anni ottanta, Gary ottiene grandi consensi grazie a dischi di blues classico ma suonato con energia unica e classe cristallina. A metà degli anni Novanta il chitarrista e cantante decide di sperimentare, abbinando il suo classico stile bluesy con ritmi più moderni e tecnologici, uniti a frequenti incursioni verso un sound pop e più commerciale. Darkness In Paradise del 1997 sposa questa scelta rischiosa, ottenendo un’accoglienza poco entusiasta sia da pubblico che dalla critica, rimasti spiazzati da questo cambio repentino di attitudine.

Questa confezione deluxe parte da quel momento e contiene gli album A Different Beat, Back To The Blues, Scars e Power of The Blues, tutti con nuove note di copertina scritte da Dave Everley. Inoltre, il cofanetto include un mix 5.1 (edited) di Back To The Blues e interviste selezionate su Blu-ray, adesivi assortiti, poster e altro ancora. Il materiale musicale inedito è molto limitato, e si limita ad un lungo remix dance di “Can't Help Myself “(da A Different Beat), la versione “single” e accorciata della lunga ballad “Picture of the Moon”, e due estratti da Live At VH1: “Cold Black Night” e “Stormy Monday” (da Back To The Blues).

 

A Different Beat (1999) è sicuramente uno degli album meno amati di Gary Moore, per le sue sonorità blues rock, edulcorate da ritmiche dance e jungle, e dosi di misurata elettronica. Stroncato all’epoca in modo plebiscitario, riascoltato oggi suona fresco, colmo di idee brillanti e canzoni di tutto rispetto, che non stravolgono il contenuto consueto del songwriting di Moore, ma ne alterano la forma con risultati spesso sorprendentemente “ballabili” e accattivanti. A parte un paio di episodi inconcludenti, abbiamo un disco totalmente di rivalutare, che oggi suona ancora più attuale di ventiquattro anni fa.

L’insuccesso del disco però è una dura mazzata per Gary Moore, che decide di tornare al rassicurante blues di album come After Hours (1992) e sin dal titolo Back To The Blues (2001), cerca di rassicurare i suoi fan. Il tocco rimane stratosferico ma alcuni brani suonano legnosi e poco spontanei, mostrando una forzata volontà di tornare a uno stile che forse non lo rappresenta più come anni prima. Il suono è meno levigato e più crudo, ma leggermente “legato”, quasi frenato, con un paio di eccezioni come la già citata “Cold Black Night” e il mid tempo provocante di “Ain't Got You”. Il meglio però arriva dal repertorio più lento e melodico, con la chitarra che cesella melodie epiche e struggenti in “The Prophet”, l’antica magia di “Stormy Monday” e la malinconia cesellata e vibrante di “Picture Of The Moon”.

 

Il desiderio di tornare verso uno stile più essenziale e diretto si sfoga un anno dopo, in cui Moore decide di formare un trio, richiamando il già collaboratore Darrin Mooney (Primal Scream) alla batteria e Cass Lewis, bassista degli Skunk Anansie. L’obiettivo è quello di rievocare l’urgenza del rude rock blues dei Cream e la vorticosa intensità di The Jimi Hendrix Experience, e formare una band vera e propria, chiamata Scars (cicatrici) come il disco stesso. Il risultato finale è certamente più ruvido e “black” del consueto, grazie anche a ritmiche funk e groove pastosi e possenti, senza però sconvolgere e con un livello compositivo che spesso rimane solido ma senza picchi geniali. Hendrix viene citato più volte e in modo decisamente spudorato, come nel quasi plagio di “World Of Confusion” (una “Manic Depression” del 2002). L’esperimento Scars non verrà disprezzato dai fan, ma non sarà più ripetuto.

Passano due anni e Power Of The Blues torna alla formula consueta, con qualche piacevole novità, soprattutto nel ritorno al basso dello storico amico di sempre, il grande Bob Daisley, che collabora anche alla scrittura di due brani. Il disco non inventa nulla ma Gary Moore è in buona forma tecnica e compositiva, e ogni elemento che gira intorno al mondo del rock blues, viene rivisto e riproposto in una versione brillante e intensa, mai troppo veloce e rude, ma sempre dannatamente divertente e solida. Un disco più asciutto ed essenziale rispetto al consueto, che non fallisce nemmeno nella scelta delle cover, soprattutto in una versione sensuale e vibrante di "I Can't Quit You Baby".

 

Chi ama già questi lavori saprà cosa aspettarsi, ma questa ristampa è un regalo perfetto per gli amanti delle emozioni coniugate in musica. Spendete il vostro tempo per ascoltare e amare The Sanctuary Years e uno dei più grandi chitarristi della storia del rock.

«Tutti sanno cos'è il blues/ È un dolore con cui non puoi vivere/ è un amore senza il quale non puoi vivere». (Gary Moore, "Power Of The Blues")