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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
17/05/2021
Cowboy Junkies
The Trinity Session
Nella musica vale tutto: un sussurro può fare rumore più di mille voci e una raccolta di canzoni sconfiggere il tempo. The Trinity Session dei Cowboy Junkies è un album maestro in questo senso: una delicata cartolina spedita ai posteri con all’interno il segreto dell’eternità.

Carlos Santana ne parla concitato in un' intervista del 2004: “Adoro i musicisti che hanno una concezione sferica della musica e della vita. Sono proiettati al futuro, ma si guardano indietro, le due cose si possono fare nello stesso tempo e garantiscono l’eternità musicale a chi utilizza questo approccio.”

Il 1988 ci lascia in dote un album che rispecchia la filosofia dell’artista messicano, The Trinity Session, dei canadesi Cowboy Junkies. Band capitanata da Michael Timmins (songwriter e chitarrista di grande spessore) e dalla sorella Margo (superba vocalist), con il fratello Peter alla batteria e l’altro, John, ai cori e seconda chitarra proprio per questa pubblicazione, si avvale poi del formidabile Alan Anton al basso più un susseguirsi di fantastici special guest del calibro di Jeff Bird, Kim Deschamps, Steve Shearer e Jaro Czerwinec.

Registrato in presa diretta il 27 novembre del 1987 presenta due succulente particolarità. In primis una location che è da brividi e sarà determinante per creare un’atmosfera carica di spiritualità, abbinando il sacro della Church of the Holy Trinity di Toronto al profano del repertorio del gruppo che, oltre a composizioni autografe, spazierà da Lou Reed a Hank Williams. E poi il tipo di registrazione, studiata per questo particolare concerto, al fine di catturarne l’anima: solo un microfono connesso, ma ambisonico, a marchio Carlrec. Questa tecnica consente di avere un sistema stereo a tre dimensioni, vengono considerate appunto le direzioni dello spazio, anche quella verticale. Così la resa del suono diventa ottimale e l’ascoltatore sentirà ricreata l’acustica originale dell’ambiente, in questo caso la chiesa, dove tutto è nato. Viene anche definito campo sonoro sferico, ci risiamo con questo aggettivo, caro Santana!

Il potere di questa performance è quasi inenarrabile. Si parte con l’emozionante canto a cappella di Mining For Gold e via via vengono toccati, a volte intersecati delicatamente il folk, il blues, il rock, il jazz e il country più ruvido, lontano da quello patinato mainstream.

E’ davvero difficile trovare alti e bassi nelle dodici tracce, che scorrono come un torrente carico di violente giornate di pioggia, ma allo stesso tempo hanno l’intimità di una cenetta tra innamorati a lume di candela. Misguided Angel sicuramente rappresenta il manifesto del disco, con l’armonica del meraviglioso Jeff Bird ammiccante fin dalle prime note, i ricami incessanti cesellati dal dobro dell’inarrestabile Kim Deschamps abbinati all’atmosfera rurale offerta dall’accordion di Jaro Czerwinec.

Margo e Michael Timmins hanno confezionato un capolavoro impossibile da dimenticare. L’altro membro della famiglia, John, accompagna con chitarra e cori il canto appassionato della sorella in una canzone in cui la voce femminile narrante serba anche un pizzico d’ironia per una storia d’amore contrastata dai parenti, ma da lei tanto desiderata, anche se l’anima gemella può non sembrare perfetta agli occhi altrui.

Il Blues di I Don’t Get It  è un altro highlight, stavolta è il turno della ficcante french harp di Steve Shearer e in un attimo si gode già della tenerezza interpretativa presente nel seguente classico di Hank Williams, I’m So Lonesome I Could Cry.

Un’altra cartolina spedita verso l’eternità è To Love Is to Bury. Accanto all’impalcatura data da basso e batteria e via via dai vari strumenti, gioca un ruolo imprescindibile il violino – ancora una volta il polistrumentista Bird lascia il segno- e ci si ritrova a sognare di correre gaudenti in una prateria sconfinata del west, lievi, senza cattivi pensieri, ma semplicemente cogliendo l’attimo e toccando la felicità con un dito. Ci si risveglia soddisfatti per approdare, poco più in là, sempre nel paradiso della musica con la tenerezza di Dreaming My Dreams with You e la spontaneità del traditional Working on a Building, quest’ultimo non facente parte della originale stampa su vinile, ma fortunatamente poi incluso insieme ai languori nostalgici della sublime Blue Moon Revisited (Song For Elvis).

Non è finita: se qualcuno sciaguratamente non avesse mai amato o conosciuto Sweet Jane da ora adorerà alla follia questa composizione di Lou Reed con i Velvet Underground. Chiaramente ispirata a una loro interpretazione dal vivo del 1969, downtempo rispetto alla versione originale che compare in Loaded, è di una bellezza mozzafiato. Il potente riff rallentato, stemperato dalla voce emozionante di Margo, non perde niente del suo fascino, anzi acquisisce un’aura divina e ancestrale.

Magari aver potuto essere presenti mentre i Cowboy Junkies erano in azione quel giorno! Si racconta che il gruppo riuscì a convincere chi di dovere ad affittare loro la chiesa con due stratagemmi: la rassicurante dichiarazione che si sarebbe trasmesso un programma radio speciale per Natale e l’accettazione che rimanesse aperta al pubblico. Se sappiamo bene che la prima richiesta non fu soddisfatta, invece la seconda portò pure alcuni problemi alla band, costretta a risuonare alcuni brani a causa di alcuni turisti che si avvicinarono troppo alla batteria, persino urtandola. Michael Timmins, però, ricorda con piacere una giovane coppia che, senza disturbare e in un angolino, assistette per più di mezzora allo spettacolo.

The Trinity Session cambiò per sempre la vita e la carriera del complesso canadese e ne rimane l’apice. Tuttora in fervente attività, Margo e compagni hanno comunque in seguito confezionato album di livello, come The Caution Horses (1990), il sottovalutato, profondo At the End of Paths Taken (2007) e il recente All That Reckoning (2018). Mai, però, si è rivissuta l’atmosfera magica di quel lontano ’88. I loro concerti in verità rimangono un must e a tal proposito è imperdibile il DVD Long Journey Home, pubblicato nel 2006, appassionante resoconto di una notte del 2004 a Liverpool.

In conclusione un ricordo del sottoscritto: sono ormai passati quasi nove anni da quel loro show a Rezzato (BS). Rimane indelebile la memoria di una performance meravigliosa in cui oltre al fascino della cura e l’attenzione maniacale degli arrangiamenti si è dato spazio all’improvvisazione al fine di rendere ogni serata unica. Proprio come la loro musica.


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