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REVIEWSLE RECENSIONI
This Is What A Winter Looks Like
Godsticks
2023  (Kscope)
PROGRESSIVE METAL / HARD ROCK
8/10
all REVIEWS
14/10/2023
Godsticks
This Is What A Winter Looks Like
"This Is What A Winter Looks Like" rappresenta il vertice di una carriera in crescendo e conferma i Godsticks come una delle migliori realtà progressive metal in circolazione.

Originari di Newport, nel Galles, e nati nel 2006 da un’idea del chitarrista e cantante Darran Charles, i Godsticks hanno esordito con un omonimo EP nel 2009, mettendo subito in mostra una brillante inclinazione per sonorità contigue al progressive rock. Da quel debutto, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, e la band, album dopo album, ha virato verso un suono più pesante, più metal, trovando la definitiva consacrazione con lo splendido Emergence (2015), un album che ha fruttato ai Godsticks un contratto con la leggendaria KScope, etichetta regina in ambito prog. Oltre alla indubbia bontà del songwriting, la band ha acquistato sempre maggior visibilità grazie esplosive perfomance live, attirando ulteriori consensi di pubblico e critica. Poi, un album, Inescapable, pubblicato a febbraio 2020, appena un mese prima che il mondo precipitasse nel lockdown, l’impossibilità di presentare le nuove canzoni dal vivo, l’inevitabile periodo di stasi creativa, e poi il ritorno sotto le luci di un palco, che ha riacceso l’ispirazione, portando lentamente alla composizione dei brani che confluiscono nella scaletta di questo ultimo This Is What A Winner Looks Like.

Registrato presso i leggendari Rockfield Studios, prodotto da James Loughrey e masterizzato da Maor Appelbaum, l’album si presenta con il biglietto da visita della splendida copertina creata da Richard Beeching, una cover visivamente accattivante, perfettamente aderente con il titolo dell’album, e capace di creare immediatamente suggestioni astratte e vagamente inquietanti.  

Il contenuto del disco, però, non è da meno: le dieci canzoni in scaletta, tutte intense e viscerali, coniugano alla perfezione slanci metal, aperture melodiche pervase di malinconia e una struttura dei brani che trae la sua complessità dal prog. This Is What A Winner Looks Like è un album metal, ma accessibile anche a chi non ama il metal, è dissonante e potente, costruito soprattutto sull’interplay equilibratissimo delle chitarre e su una sezione ritmica granitica, ma anche capace di momenti più sofisticati, in cui il drumming gioca con battute leggermente in controtempo.

L'apertura "If I Don't Take It All" è la miglior presentazione possibile, la voce di Charles, simile a quella di un Myles Kennedy sofferente, evoca gli Alter Bridge, i riff sono pesanti, ma c’è un’atmosfera profondamente melodica, specie nel ritornello, e un perfetto mix di armonia e caos, che eleva il brano dal mero status di canzone metal. Con la successiva "Eliminate And Repair" i giri del motore rallentano, il suono si fa cupo e inquieto, il ritornello è come sempre avvincente così come il lavoro a incastro fra le due chitarre. "This Is My New Normal" si apre in modo simile, con un riff di chitarra irrequieto e ombroso, il groove è trascinante, e il ritornello quasi funky introduce un senso di tragedia imminente, esaltato dal sinistro stridere delle sei corde.

Bravi ad alternare impeto rock e momenti più riflessivi, i Godstick virano nuovamente verso le tonalità basse e ossianiche di "Devotion Made To Offend", un brano che tocca il cuore grazie a un mood tanto solenne quanto grave e addolorato. "Silent Saw" è un’altra canzone di livello straordinario. Triste e meditabonda, si sviluppa attraverso un malinconicissimo impianto melodico e introduce nella fase centrale un suono di chitarra particolarissimo, dalle sfumature quasi jazzy.

"Throne" e "Don’t Say A Word To Me" tornano a mostrare i muscoli, ma la struttura, a fronte dei consueti ritornelli uncinanti, rimane poco lineare, le ritmiche sono spezzate, accentuando così il ringhio delle chitarre, ma c’è una raffinatezza compositiva di fondo che rende le due canzoni assolutamente imprevedibili nel loro svolgimento solo apparentemente caotico.

Altro gioiello è la successiva "Mayhem", decisamente il brano più pesante e arcigno in scaletta, costruito su accordi di chitarra dissonanti e distorti, e su un pattern di grancassa così complesso di mandare fuori di testa un batterista che non abbia uno straordinario bagaglio tecnico (e forza fisica). Il disco si avvia alla conclusione con "Lying", un brano atmosferico e melodico che, in netto contrasto con la brutalità appena ascoltata, restituisce al cuore un battito normale e vola alto grazie a uno splendido solo di chitarra, arioso e raffinato.

Chiude "Wake Up", forse l’episodio meno caratterizzato e più debole del disco, che con i suoi cupi echi Soundgarden sigilla una scaletta pressochè perfetta, una montagna russa emotiva, un sali e scendi di irruenza, classe e melodia, che mette il punto esclamativo su una discografia, mi si perdoni il gioco di parole, in “progressivo” crescendo.