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REVIEWSLE RECENSIONI
03/05/2021
Royal Blood
Typhoons
Terribilmente catchy, pericolosamente disco, inguaribilmente rock. L’inconfondibile stile dei Royal Blood si riconferma con una nuova formula, in cui il duo si diverte a sperimentarsi in una veste più danzereccia. Venite a esorcizzare i vostri demoni ballando sulle oscure, leggere e insinuanti tracce di Typhoons.

Pensate al migliore rock alternativo inglese degli ultimi anni e alle ottime canzoni che i Royal Blood ci hanno regalato nel corso degli ultimi anni con Royal Blood (2014) e How Did We Get So Dark? (2017). Con una formazione insolita, composta unicamente da basso e batteria, questi due ragazzi del West Sussex hanno contribuito a tenerne alto il buon nome del genere: riff catchy e al tempo stesso potenti, una batteria precisa e versatile, canzoni capaci di soddisfare sia i gusti dei radioascoltatori sia quelli dei fan del genere e un suono riconoscibile, dovuto in gran parte alla tecnica di esecuzione del basso di Mike Kerr, che grazie all’utilizzo di vari pedali e amplificatori riesce a rendere il suono del suo strumento simile a quello di una chitarra elettrica, valorizzando al contempo tutto il fascino oscuro delle note tipiche di un quattro corde.

Aggiungete ora all’equazione un pizzico di Queens Of The Stone Age, una bella manciata di Daft Punk e una spolverata di Justice e Goldfrapp e avrete i nuovi Royal Blood: un’attitudine e un tiro ancora perfettamente rock alternative, uniti ad un’incredibile voglia di ballare via ogni demone; l’energia sudata di un concerto, ma con un pit che si trasforma nel migliore dei dancefloor. Lo stesso stile, ma con più consapevolezza e divertimento, messo al servizio di un groove trascinante, che non permetterebbe di tenere fermi piedi e testa neanche a legarli.

Delle 11 tracce che si snodano nei 38 minuti dell’album, di alcune vi innamorerete subito, mentre altre riveleranno il loro perché dopo qualche ascolto. Alcune canzoni le conoscerete già, visto che i singoli sono stati ben quattro, mentre altre vi stupiranno per la prima volta (come non impazzire per “Oblivion” o trovare accattivante “Million and One”?); in alcune troverete dei riferimenti molto definiti ed estremamente riconoscibili, come i riff à la Queens Of The Stone Age della bellissima “Boilermaker” (l’unico brano del disco prodotto dallo stesso Josh Homme, nel corso di una piccola sessione creativa nel suo desert studio) o il sound della meravigliosa “Limbo”, che richiama smaccatamente i Daft Punk in più di un passaggio, facendo passare per un attimo la nostalgia a tutti i fan del duo francese, mentre altri brani vi sembreranno più originali.

In ogni caso, al di là delle considerazioni o preferenze che si possono avere su ogni traccia, nel suo complesso Typhoons risulta un disco compatto e omogeneo, centrato e focalizzato nel suono e nelle intenzioni, sperimentale per quelli che erano i riferimenti e la base di partenza dei Royal Blood – che hanno deciso di non riproporre sempre la stessa formula ma di darsi la libertà e la gioia di giocare un po’ con le loro possibilità e i loro gusti – e al tempo stesso riconoscibile per quello che è il marchio di fabbrica del duo.

Typhoons è una nuova sfumatura che arricchisce il ventaglio delle loro possibilità come artisti e un’occasione per raggiungere nuovi fan, ma anche un nuovo capitolo della loro storia, perché non esisterebbero più né l’album né la band se Mike Kerr non avesse di recente conquistato la sobrietà. Una vita che nel 2014 è divenuta improvvisamente quella della rockstar aveva portato il frontman e bassista dei Royal Blood ad assumere qualche sostanza, ma soprattutto a bere, rendendo così ogni live e ogni suo giorno quasi ottenebrato. All’inizio del 2019 Kerr ha deciso quindi che si sarebbe ripulito e non avrebbe più bevuto, ritrovandosi così con nuove energie e un nuovo sguardo sul mondo, due elementi che hanno permesso alla band di liberarsi dei fardelli “ballando via” i problemi, tra testi che raccontano di una lotta vinta e un suono che, pur non perdendo di intensità, ha permesso a Mike e Ben di tornare a divertirsi per davvero: solo un basso, una batteria, un quintale di pedali ed effetti e tanta voglia di far sudare felici migliaia di persone assieme a loro.

Unica pecca dell’album? Va ascoltato ad alto volume, altrimenti non rende. Trovatevi quindi delle buone cuffie o preparatevi a gestire i vicini: o vi denunceranno o vi chiederanno invidiosi di unirsi alla festa. In attesa che riapra qualche club, spegnete le luci e lasciate giusto qualche barlume colorato nella stanza: avrete il party dance-alternative-rock più stiloso del palazzo.


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