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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
28/06/2021
Amerigo Verardi
Un sogno vitale che si genera e si rigenera
Ho sfogliato le pagine di questo doppio vinile, che si presenta con fare solenne dentro grafiche elaborate, affascinanti astrazioni, collage e mappe concettuali. Ho sfogliato le sue pagine mentre i solchi restituivano suoni, liriche, melodie e soluzioni umane di un fascino spirituale e (spesso) psichedelico. Non ho alcuna intenzione di investire questo spazio nel solito quando doveroso citazionismo discografico da ufficio, tra menzioni d’onore, biografie, ultimi premi indipendenti e crediti d’ufficio per restituire (com’è giusto che sia) un nome e un volto a chi ha pensato cosa. Fatelo da voi acquistando questo doppio vinile che in sé risulta essere un’opera alta anche solo girandolo tra le mani.

“Come nella vita di tutti i giorni, d’altronde, dove alle parole vuote di chi parla senza cuore né intelligenza né ironia né conoscenza, preferisco di gran lunga i suoni dell’ambiente circostante o il silenzio” (A. Verardi).

 

Un sogno di Maila è forse uno dei migliori ascolti che ho sentito scendere nel mio personalissimo profondo in questo tempo apocalittico, dove l’ostentazione dell’io ha superato l’inimmaginabile, sfoggiando incoerenza, banalità e volgarissima sufficienza. Torna salvifico l’oggetto, per me che ho capito quanto sia importante restituire l’esperienza alla vita mia di tutti i giorni. Un sogno di Maila, in fondo, per come l’ho vissuto io, è l’esperienza ed è a suo modo anche il modo di esperire non solo il suono, la trama e le sue vicende, ma anche quel sentire che passa inevitabilmente dai silenzi, dagli spazi vuoti, dalle righe e dai non detti. Ecco la parola chiave di questo disco: sentire.

Questo nuovo lavoro di Amerigo Verardi ha saputo regalarmi una mia verità, intima, personale, unica, e l’ha fatto non seguendo le melodie da sfoggiare nell’estetica delle canzoni e delle forme, ma lasciandomi penetrare tra gli interstizi del suono, scovando un mondo che in fondo, a vederlo bene, mi parla spesso anche con severità e violenza. Uno spazio inumano e incolore dove regna una quiete indescrivibile e dove c’è modo di conoscersi e di riconoscersi.

Ho chiesto molto a questo disco, visti i numerosi legami con il mio privato. Ho chiesto molto e lui non ha fatto fatica alcuna ad ignorare ogni mia richiesta: proprio così, ha voltato le spalle alla mia voce come farebbe un passante di oggi. Così ho creduto sulle prime, e di nuovo si cade nell’effimera superficialità delle cose. Mi sbagliavo ovviamente. Dopo aver abbandonato la ragione e le aspettative ho scoperto il dono di questo disco, un dono alto come la sua identità, e mi sono fatto condurre tra gli spazi vuoti e invisibili alla luce.

Esiste per me un altro disco oltre questo che si intitola Un sogno di Maila, esiste un altro spazio di suono oltre il bellissimo ricamo melodico che perdura lungo due vinili senza soluzione di continuità. In fondo è questa stessa chimica concettuale il sogno stesso, se ci penso bene: uno stato di non-esistenza in termini pratici, un non-luogo che si raggiunge oltrepassando la regola della tecnica di superficie o il tempo legalizzato dagli orologi. Ho ascoltato questo disco lasciando da parte ogni possibile legame con la terra battuta e la matematica razionale. Ad Amerigo Verardi ho chiesto molto, preso dalla curiosità che avevo, e sto rileggendo questa lunga intervista oltrepassando di nuovo le righe delle sue bellissime risposte. Chissà che altro disco suonerà tra poco.

Parola. Ecco uno dei protagonisti di questo disco. Ampie liturgie di parole. Partiamo da qui semplicemente: che rapporto hai con la parola?

Ne ho grande rispetto e ne sono affascinato. Però ci gioco, anche. Forse i testi migliori e più potenti che ho scritto sono nell’album Hippie dixit, almeno dal mio punto di vista. La parola è per me anche un mezzo di conoscenza, un’esplorazione di significati possibili che possono farti venire in contatto con verità ulteriori ed inaspettate. Tutto questo nel migliore dei casi, ovviamente. Adoro le canzoni con grandi testi. Diversamente, meglio la musica strumentale. Come nella vita di tutti i giorni, d’altronde, dove alle parole vuote di chi parla senza cuore né intelligenza né ironia né conoscenza, preferisco di gran lunga i suoni dell’ambiente circostante o il silenzio.

Mi incuriosisce la composizione della parola, la scelta, la sua ricerca. Diviene per te anche strumento e suono nella composizione, o è semplicemente un elemento monolitico che il suono è chiamato a celebrare e degnamente rivestire?

Nelle canzoni amo molto mettere insieme delle parole per creare diversi piani di senso, oppure utilizzare pezzi di conversazione spicciola immergendoli in contesti paradossali. La parola o l’accostamento particolare di più parole, come dicevo, possono essere la chiave per una rivelazione, per una magia. Ci provo fin da piccolo a fare magie! Ma le parole DEVONO essere anche suono, in una canzone. E devono risuonare bene fra loro, oltre che con la musica e la melodia della canzone stessa. In ogni contesto assumono un’importanza diversa, naturalmente. Alcune parole ti arrivano dal nulla, in forma di immagine, ma semplicemente attraverso la concentrazione e la non-programmazione. Altre le cerchi più razionalmente per soddisfare un’assonanza, una rima o la necessità di un significato. Altre ancora le prendi in prestito scorrendo distrattamente le pagine di un libro sul teatro giapponese, per poi magari farle giocare con quella frase che ti ha detto quella volta tuo padre quando avevi undici anni. Alla fine puoi mescolare il tutto con il tuo istinto personale, che è quello che ovviamente fa la differenza, e creare il testo della tua canzone, istituire la tua poetica. E il risultato finale non è mai scontato, anzi, a volte è del tutto sorprendente. Ecco perché ti dico che per me le parole possono aprire nuove porte di conoscenza e rivelare misteri. Scrivo sempre meno per comunicare, scrivo più che altro per cercare di capire.

Immagine. Altro protagonista della composizione. La ricerca delle melodie, la tessitura delle armonie, la quadra di tutto il cerchio mistico di Amerigo Verardi, realizza delle visioni, alcune chiare, altre sfocate, talune lisergiche inevitabilmente. Inseguo delle visioni, durante la recitazione dei mantra, così come durante il pochissimo pop metropolitano di alcuni passaggi. Anche nei momenti più tangibili, quelle che mi arrivano non sono mai visioni precise e chiare. Spesso cambiano forma anche con l’umore degli ascolti che faccio. Che rapporto c’è, invece, tra le tue visioni e la scrittura che alla fine hai realizzato?

Il mix che cerco di ottenere fra parole e suoni è una specie di formula onirica per viaggiare nel tempo e nello spazio, che sposta continuamente l’attenzione dalla meta del viaggio ai misteri del percorso intrapreso e viceversa. Il viaggio sorprende me, prima di tutti. Non so mai dove porterà. Ma sono certo che sarà bello, affascinante e utile per la mia vita, perché l’ho intrapreso portandomi dietro solo il mio cuore puro e il mio intuito. Gli stessi motivi che lo potranno rendere divertente, appassionante e potenzialmente utile anche per gli altri. Quanto meno per coloro che sanno abbandonarsi, che amano farsi sorprendere, lasciarsi collegare a realtà “altre” attraverso la curiosità e il senso più alto di divertimento. Ci vuole anche un po’ di fiducia per chiudere gli occhi e farsi portare per mano. Quello che ho sempre cercato di creare è una “musica viva”, un quadro eternamente cangiante e che sia in grado di esprimere senso e sorpresa ad ogni sguardo, ad ogni ascolto. Come i dipinti di Gustavo Rol! Credo siano questi i motivi per cui i tuoi ascolti sembrano cambiare con il tuo umore. È un effetto che ho fortemente voluto e cercato. E per raggiungere certi obiettivi, io stesso devo per primo essere in grado di abbandonarmi e lasciarmi guidare dai flussi energetici che soffiano dentro e fuori. Ogni altro pensiero deve restare a distanza. È come meditare, credo. È la mia personale forma di meditazione. Una meditazione creativa che vorrei trasmettere anche a chi ascolta la mia musica.

Ecco, restando proprio sul tema: il video di “Due foglie” è girato dentro il tempio di Mutonia, i rigattieri del futuro secondo me. Prima di arrivare a questo ti chiedo: perché questa connessione?

La connessione è Chiara Chemi (The Doll Maker), ideatrice e regista del videoclip. L’idea è tutta sua. Una ragazza giovanissima, brillante e piena di magnifiche idee. Aveva già realizzato il video di “Due Sicilie”. Quest’anno le ho proposto “Due foglie”, uno dei brani migliori che io abbia mai scritto. Se potessi la ricoprirei d’oro.

Torniamo al campo dei Mutoid. L’amico Andy MacFarlane un giorno mi ha mostrato la loro "Macchina del tempo” e non ricordo chi mi disse che un giorno che tutto quello che puoi immaginare si può realizzare. Magari non ora, non con il tempo e gli strumenti che abbiamo oggi, ma in futuro si potrà fare. L’impossibile, invece, è tutto ciò che la nostra mente non è capace di raffigurarsi in alcun modo. E a pensarci bene, visto che non possiamo pensarlo, non ne abbiamo neanche coscienza. Un sogno di Maila viaggia nel tempo, ma soprattutto viaggia nei sogni e nelle vite precedenti. Evidentemente sono cose di cui hai coscienza come tanti di noi. Ce le racconti? Che rapporto hai con tutto questo?

La macchina del tempo, o del sogno, o qualcos’altro del genere, esiste e ci siamo tutti dentro, anzi, è proprio dentro di noi: SIAMO noi. La nostra intelligenza, la nostra coscienza e la consapevolezza sono costantemente stimolate dai segnali da captare, decifrare, modulare e rimandare. Segnali con i quali interagiamo di continuo, spesso senza rendercene nemmeno conto. Deviamo spesso il corso delle cose con i nostri pensieri e i nostri comportamenti, accorciando o allungando il sentiero verso la conoscenza e la purezza del pensiero e dell’azione. È un viaggio affascinante, dove anche il minimo dettaglio è importante, dove anche il dolore più profondo interagisce con la gioia più grande per rendere tutto un po’ più chiaro al nostro sentire e comprendere la vita, il mondo. È un processo di raffinazione dell’anima, e ho l’impressione che possano volerci molte vite e forse qualche passaggio dimensionale. Ma non c’è bisogno di intestardirsi nel volere la verità rivelata su ogni cosa, non siamo in grado di conoscere più di quello che ci è suggerito. E il suggerimento possiamo trovarlo nella perfezione della natura, nella nostra infinita immaginazione o anche solo nelle remote origini del nostro desiderare. L’importante è immaginarla, la verità. E cercarla attraverso il percorso ideale, quello dell’intelligenza e del cuore. E poi condividere. Condividere tutto.

E con un bagaglio di mille vite fa (appunto), Maila si mette in viaggio. Destinazione: La via Lattea. Perché qui? Forse il punto in cui possiamo sentire quell’Om mistico che racconti poco dopo?

A qualcuno basta aprire una finestra per calarsi nella natura e nel cosmo, ma io abito in una via trafficata e piena di rumori e di smog, e quindi ho dovuto allenare la mente ad astrarsi dalla realtà circostante per andare alla ricerca di luoghi meno frenetici ed ansiogeni. Da quando sono bambino, ho spesso nella testa la visione di grandi spazi. Negli anni questi spazi si sono caricati di suoni e di significati. A volte penso ancora come un bambino, e in “Ritorno alle stelle” ho immaginato i pianeti che producono melodie fantastiche attraverso il loro movimento, e lo fanno per comunicare fra loro, per tenersi in equilibrio, come in un’immensa orchestra di limpide frequenze e suoni elettronici che si mescolano armonicamente fra loro. L’unione di queste miriadi di frequenze riconduce al principio di tutto, al suono primordiale, all’OM. Ho pensato che fosse lo scenario ideale per il passaggio da una vita ad un’altra. Via Lattea, Golfo mistico, invenzioni pure, fatte di parole e visioni ineguagliabili, in questo caso purtroppo non mie!

Mistica e spiritualità. Spesso tutto sembra sospendersi in una bolla di fumo. Spesso il risultato somiglia ad un movimento corale, antico ed arcaico. Anche dentro brani più simili alle nostre abitudini non c’è mai un posto solido dove sedersi e riprendere fiato. Potrebbero essere tantissime le domande in tal senso ma io ne scelgo una in particolare: alla fine senti che questo disco, questo concept del sogno e di Maila, ha un’anima che hai sentito di dover raccontare o, al contrario, è solo uno strumento per raccontare la tua?

L’album si è raccontato, se così posso dire, attraverso il mio essere. Si è svelato passo dopo passo, come una scultura che ha preso forma da un grande blocco di marmo, senza aver dovuto creare in precedenza un disegno o un modello da seguire. Un tempo avevo un approccio personalmente più comprensibile alla composizione, riuscivo quasi a vederne concretamente i meccanismi che consistevano piuttosto nell’intensità del sentire e nel puro lavoro. Avevo un metodo e lo perseguivo attraverso la dedizione. Ma naturalmente mi sfuggivano tanti particolari importanti a cui non davo il giusto rilievo. Era questione di tempo, e io non ho mai avuto fretta. Negli ultimi anni tutto si è rarefatto e in genere ricordo poco o niente di come sono arrivato a pensare, scrivere e registrare, ad esempio, gli ultimi due album. Ogni risultato artistico che sono riuscito ad ottenere in questa fase della mia vita, ha assunto per me la graduale e semplice forma di un “servizio”. Un servizio che ho reso con tutta l’umiltà possibile a chi mi ha donato la facoltà di creare musica e la capacità di poterla fare e condividere con una gioia tale che non riesco nemmeno a descriverla. Si, hai ragione, anche io riconosco un profumo di antico e di arcaico in tutto questo processo. Come può esserlo il desiderio di uno stato di grazia, la ricerca della bellezza. L’idea e la musica di Un sogno di Maila sono venute fuori così belle e forti che evidentemente non possono essere solo ed esclusivamente opera mia. Non sono così intelligente. Mi ritengo più fortunato che intelligente. Cerco solo di interpretare il mio ruolo al meglio delle mie possibilità.

Mi colpisce il mantra iniziale. Ecco un altro ponte verso la mistica di questo lavoro. Se non erro sono parole in sanscrito, forse non tutte, di sicuro il popolo riconosce il finale, fosse solo come inciso di moltissime mode. Ma andiamo oltre. Me lo spieghi meglio?

Si, sono parole e frasi dell’antica tradizione induista. Quella più importante è Om Namah Shivaya, letteralmente “mi abbandono alla tua volontà, Signore”, che è uno dei mantra più potenti che un essere umano possa recitare. Mi interessano tutte le religioni nelle loro forme più pure e autentiche, ovviamente tenendomi bene alla larga da ogni forma di chiusura e di fanatismo. E sono affascinato dalle incarnazioni divine come Gesù Cristo e Babaji, perché sono anche strettamente legate ad azioni compiute in mezzo agli esseri umani. E certamente amo anche figure decisamente più terrene e quindi vicine al mondo in cui sono cresciuto, figure mai ufficialmente codificate come messaggeri o avatar divini, ma che hanno manifestato una fortissima tensione spirituale nell’offerta del loro immenso talento. Come Jimi Hendrix, che nell’ultimo anno di vita suonava e componeva per alimentare questo suo progetto purtroppo non totalmente portato a compimento e che aveva descritto come “Electric Church Music”.

Ecco una delle mie codifiche. L’amore vince tutto. L’amore vince su tutto. Siamo nella stanza di Maila, siamo in un pomeriggio afoso, immagino quel ventilatore, la noia che ci fa masturbare, immagino anche le speranze e i sogni che dall’infanzia ci restituiscono l’immortalità. Ora però ti chiedo di raccontarmi questi versi: «Claudio Rocchi è il santo. Che le regalò il Kybalion. Battiato la prese in giro. Perché l'amava davvero. L'amava davvero, l'amava davvero. L'amava davvero tanto che se la portò con sé nell'universo. Verso l'Uno, verso Dio. Attraverso il bardo.»

I versi non dovrebbero essere “raccontati” da chi ha già fatto uno sforzo per metterli in quella forma. Raccogliere gli stimoli e le emozioni dopo la fruizione di un’opera artistica, codificandoli e ordinandoli secondo la propria capacità di pensiero, è insieme un impegno e un atto creativo in sé, oltre che un divertimento, che lascio giustamente a chi ascolta. Lo faccio anch’io, quando fruisco dell’arte altrui. Tante persone hanno scritto di quest’album e tante mi hanno scritto personalmente, regalandomi riflessioni e riletture di questo lavoro che ho trovato sinceramente interessanti, a volte proprio illuminanti anche per me. Il senso e il divertimento in ciò che faccio si svolge anche in questo fantastico gioco di condivisione. Per ciò che mi riguarda posso dirti che Claudio Rocchi l’ho conosciuto nel 2012 e mi ha aperto diverse finestre di pensiero. Mi ha consigliato di leggere il Kybalion, la più importante raccolta di rivelazioni esoteriche mai tramandata, e io a mia volta l’ho passato a chi pensavo potesse giovarne. Battiato l’ho seguito più da lontano, ascoltando la sua musica e osservando il suo percorso con il rispetto e la devozione che sento di dovere a chi sta su un piano evidentemente più evoluto del mio. La frase sul portarsi Maila con sé attraverso il Bardo aggiunge oggi, dopo la recente scomparsa di Franco Battiato, un accenno di un tenero sorriso al mio brano. È uno dei simboli dell’intelligenza visionaria e del talento italiano che personalmente più mi mancherà.

Nel disco non solo misticismo e viaggi onirici ma anche punti “fintamente” concreti come ad esempio “Aiuto!” o “Gioco con i maschi, gioco con le femmine”, come sei giunto a questi come altri momenti del disco che sembrano anche molto distanti dal resto? Sembrano a me, sia chiaro...

La nostra vita è fatta di tanti elementi che nella personale percezione possono risultare distanti fra loro, oppure, per come la vedo io, come parti complementari di una perfetta unità tenuta in equilibrio dalla coscienza di ognuno. Nell’album è molto presente l’elemento umano, la nostra fatica nel gestire una ricchezza e una complessità che a volte sembrano proprio scavalcarci o addirittura schiacciarci. Abbiamo solo bisogno di riprenderci il tempo che qualcuno quaggiù ci ha strategicamente sottratto. E riacquistare la consapevolezza di essere insieme carne e spirito. Dobbiamo riappropriarci di questa consapevolezza per poi difenderla con coraggio e amore. L’arte può ancora rappresentare una chiave per ritrovare questa forza. La forza di andare controcorrente, soprattutto quando capisci che la corrente ti sta trascinando in basso, verso il disastro. In questo caso un disastro collettivo.

Cito ancora: "Apri gli occhi, l'amore è una droga per il popolino. Dagli l'oppio del popolo, dallo al tuo bambino”. Torna la noia, torna anche una certa maschera con cui stare al mondo. Al di là del titolo, penso che questo sia il momento più sociale di tutto il disco. Cosa mi dici?

Fa parte di me, come di molti che come me soffrono i soprusi, l’arroganza, le ingiustizie sociali, l’indifferenza. Nell’album, “Droghe per il popolino” corrisponde a una fase post adolescenziale di Maila. È il momento della vita di molte persone in cui ci si affaccia al mondo del lavoro, a dinamiche nuove e più violente che mettono alla prova la nostra forza reattiva di fronte all’inattuabilità di certi ideali, spesso esasperandoci e facendoci diventare anche più cinici. Malgrado una certa serenità ritrovata, la sofferenza delle persone e dei più deboli in particolare, spesso mi porta a sentire e successivamente smaltire una rabbia consapevole verso le brutture di una società i cui valori mi sembrano gravemente corrotti. Perché un’altra bruttura è l’ignavia di chi potrebbe dire o fare qualcosa, e invece preferisce starsene nel bozzolo delle sue sicurezze, in virtù di quel “quieto vivere” che finisce inevitabilmente per favorire la legge del più prepotente e che di virtuoso non ha proprio nulla. Se non ritroviamo al più presto una dignità personale e un’etica di razza, e parlo della razza umana, questo pianeta non avrà alcun futuro.

Mi lasci codificare la mappa dei testi? Questo foglio, che a spiegarlo contiene da una parte i testi e simboli raffigurati a lato. Dietro c’è una mappa sul corpo deforme di un uomo/animale, la testa di serpente e tanto altro… 

L’idea era quella di fornire all’ascoltatore una mappa fantastica, qualcosa da osservare durante il “viaggio”. Ho chiesto a Rocco Caloro, un mio amico fraterno che ha realizzato tutti i disegni compreso quello di copertina (mentre i collage sono opera della mia compagna Anastasia Luceri), di provare a disegnare una mappa fantastica, senza fornirgli altri dettagli. Dopo una settimana Rocco ha realizzato questo disegno che mi è sembrato perfetto. Nessuno di noi due ancora sapeva che la figura di cui parli anche tu, quella che campeggia al centro della mappa, fosse un Uroboro, un essere-serpente che si auto divora cominciando dalla sua coda. Né io né Rocco avevamo mai visto un’immagine simile prima che lui la disegnasse. E io l’ho scoperta del tutto casualmente navigando in rete. È un simbolo arcaico che rappresenta l’energia vitale che si consuma, muore e si rigenera in se stessa in un ciclo continuo, senza fine. Che è esattamente il principio che fa da sfondo alle vicende di Maila: la sua è solo una delle tante vite vissute e che continuerà a vivere. È un album dominato dal “caso” e dalle “coincidenze”, alle quali mi sono gradualmente arreso. Coincidenze che ho abbracciato apertamente nel brano “Due foglie” che simbolicamente le rappresenta tutte. 

In una precedente conversazione mi hai raccontato del tuo rapporto con le cose, gli oggetti, gli strumenti. Poco legame verso di loro, ma ascoltando il suono di questo disco direi che hai un forte legame con quello che producono. Mi pare di capire che non ricerchi un suono preciso, ma piuttosto sembri accogliere il suono che l’oggetto è in grado di darti. Non è così?

Gli esperimenti su particolari combinazioni di suoni sono il mio insignificante contributo alla ricerca scientifica. Scherzo!!! Vivo immerso nei suoni e la mia vita ne è influenzata da sempre. La musica mi ha permesso di viaggiare con la mente e allontanarmi da cose di cui non me ne fregava niente, ed è così ancora oggi. È vero, tendenzialmente cerco di non sviluppare alcuna dipendenza, anche dalla musica stessa, e a maggior ragione dagli oggetti con cui la musica la faccio, in primis le mie chitarre. A volte ho bisogno di ostentare un certo distacco dagli strumenti e dagli aspetti più tecnicisti che li riguardano, ma lo faccio perché non voglio alimentare fra noi chitarristi estenuanti discussioni che trovo noiose. Discussioni infinite sulle rarissime versioni customizzate di distorsori vintage, su quelle fenomenali valvole assemblate in Groenlandia, sui plettri di purissima pietra lavica lavorata a caldo o sulle particolari risonanze dei legni stagionati nei cimiteri... Gli attrezzi del mestiere sono importanti, ma non per il loro valore economico e nemmeno per quello sentimentale. Nella fattispecie nessun attaccamento a questi valori ti potrà suggerire un’idea artistica. E nessuna chitarra da 10.000€ potrà darti il tocco ed il feeling di Mick Taylor o di Peter Green. Il talento, la personalità, il gusto e la profonda dedizione sono davvero tutto quello di cui veramente hai bisogno per fare buona musica. Alla parola “ispirazione” dedicherei invece un capitolo a parte, ma lasciandolo in bianco, in modo che ognuno possa sentirsi libero di riempirlo come gli pare.

E questa distanza fisica dalle cose, se l’ho ben codificata, come giustifica invece la realizzazione di un oggetto così importante com'è la stampa fisica di questo disco?

Non è un oggetto fine a se stesso, né una bizzarria per spillare quattrini ai collezionisti. È un “vestito di scena”, e come tale concorre a creare una suggestione ulteriore al mondo sonoro e testuale dell’album. Non a caso si sono occupate di questa veste grafica persone molto vicine a me, persone che condividono il mio immaginario e l’amore per la vita. 

Chiudo, promesso. Se nutri poco legame verso gli oggetti, allora mi immagino sarai poco legato alla canzone in quanto tale, in quanto forma. Immagino lascerai fluire l’ascolto senza badare ai ricami, ma pensando più al flusso di coscienza che questo procura. Vero? E se tutto questo è vero, come e cosa senti oggi riascoltando Un sogno di Maila?

Non mi piace avere vincoli o confini, di nessun genere. La musica è il mio spazio, è lo spazio della mia anima. La creatività e la fantasia sono elementi alla portata di tutti, poi ognuno ne fa l’uso che può o che crede, e io ho imparato a farli muovere liberamente, lottando anche per offrire loro gli spazi più grandi che riesco ad aprire e immaginare. Quello che ne ho ricevuto in cambio è stata una sensazione di estrema leggerezza che, nei momenti più intensi, ora mi verrebbe da descrivere come un senso di “beatitudine”. Sono molto felice di avere ancora la possibilità di fare musica in questo modo. E so che non sarà sempre così facile continuare a farlo. Quindi mi godo fino in fondo questo stato di privilegio, cercando di condividerlo il più possibile. Ah, mi chiedevi di Un sogno di Maila, potrai anche non crederci, ma io non lo ascolto dal giorno che abbiamo finito di mixarlo e masterizzarlo, più o meno sette mesi fa. Ho riascoltato qualche singolo brano, ma ancora non ho riascoltato l’album per intero. Però mi piacerebbe farlo, ci sarà senz’altro un’occasione. E quindi ti farò sapere che ne penso!


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