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REVIEWSLE RECENSIONI
08/05/2019
Anderson .Paak
Ventura
La ricetta per fare un grande album di soul non passa per forza di cose dall’andare a cercare formule astruse, nel volere stupire con pochi ingredienti dai suoni tutti uguali, come quando ti mangi quelle cazzo di insalatone insipide dal gusto indefinibile.

Se siete adusi nell’ascoltare R’n’B e tranne rare eccezioni come me staccate la spina dopo due pezzi, forse proverete meraviglia vera quando nelle vostre trombe di Eustachio si spargeranno le note di “Ventura”, nuovo album di Anderson .Paak che arriva giusto a cinque mesi di distanza dal pur notevole “Oxnard”. Affidatosi ancora una volta alle sapienti mani di Dr. Dre per la produzione e lasciato da parte l’hip hop più estremo del precedente lavoro, Paak qui riprende il filo lasciato in sospeso con “Malibu”. Quindi il soul ammantato di classicità ma riletto ed aggiornato al 2019 è quello che troveremo nelle undici tracce di “Ventura”.

Prova ne sia che .Paak piazza un hat trick o per meglio dire una tripletta di brani ad inizio lavoro, che già questi potrebbero bastare per essere soddisfatti a modino: l’iniziale “Come Home” va subito al sodo ed omaggia Marvin Gaye nei suoi duetti con Diana Ross, ma questa volta al posto della chanteuse troviamo il rap di un Andrè 3000 quanto mai in forma. Suoni caldi e pastosi preludio al romanticismo orchestrale di “Make It Better”, un tuffo nel soul anni 60 in quota Al Green che vede della partita Smokey Robinson come backing vocals (cioè, vi rendete conto, ‘sto sborone di .Paak, che ha avuto il coraggio di mettere il grande Smokey ai cori) e mai scelta fu più azzeccata. Il terzo goal lo piazza con “Reachin’ 2 Much” e qui siamo in territorio Quincy Jones, del periodo fine Seventies, quello per intendersi, che ci regalò il fantasmagorico Michael Jackson di “Off The Wall”. Ospite d’onore che nell’occasione duetta con .Paak sono le giunoniche fattezze di Lalah Hathaway.

Intendiamoci, non è che il disco finisca qui, anzi, quel che troveremo poi è come una tavolozza di groove dove i brani fluiscono incatenandosi l’uno con l’altro, creando un corpo unico dove il soul più morbido incontra il funk e dove i più scaltri troveranno anche delle punteggiature jazz. “Winners Circle” stupisce per quel suo ondivagare tra l’hip hop (e qui il rap è tutto di .Paak) e quei cori femminili presi dal George Benson più cool e groovy. I testi poi non si limitano a parlare di bollori più o meno erotici, ma anche di presunti bollori climatici, come in “Yada Yada” bel pezzo di groove strascicato che affronta il tema del riscaldamento globale o sulle politiche trumpiane su muri e respingimenti nel bel “King James” pezzo uscito come singolo e dedicato al campione di basket LeBron James, e qui mi sia consentito scomodare quel genio di Curtis Mayfield come ispiratore e presenza fantasma che vi aleggia sopra.

Il plus di “Ventura”, vero punto di forza dell’album, sono le canzoni, tutte, nessuna esclusa, ruffiane al punto giusto che troveranno il modo di non farvi abbandonare il disco dopo un ascolto distratto; qui di sostanza ne troverete molta e il miracolo di “Ventura” è quello di aver reso attuale il retro-soul, e non vi sembri un ossimoro questo.

Prendete ad esempio l’intro al piano di “Jet Black” che prende avvio come una ballad che più classica non si può e poi se ne parte con un rap contrappuntato dalla voce di Brandy, morbida e sensuale per uno dei vertici del disco; che dire poi di “Twilight” e quel suo contrappunto di tromba campionata e dalla melodia così lussureggiante, preludio al soul in orbita psichedelica di “What Can We Do”, gran finale del disco, duettato con il compianto Nate Dogg, dove .Paak canta come se lo stesso fosse presente in studio, quando invece si tratta di una registrazione di una persona deceduta otto anni fa; niente a che vedere in questo caso con i tanti duetti posticci che tutto sapevano tranne che di vero o perlomeno di verosimigliante.

Un grande disco questo, che fa ben sperare sul rinnovamento del soul e questa volta passando per i classici, onorandoli come un vero artista dovrebbe fare, senza per questo esserne una mera copia carbone.


TAGS: album | anderson.paak | black | funky | hip-hop | R&B | recensione | soul | ventura