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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
23/07/2018
Enzo Carella
Vocazione
L'altro giorno, mentre stavo leggendo una discussione su Facebook, mi ha colpito il commento di un utente il quale affermava che in Italia, a livello di musica pop, siamo tornati indietro agli anni 50, ovvero "siamo tornati all'epoca di Pat Boone".

L'altro giorno, mentre stavo leggendo una discussione su Facebook, mi ha colpito il commento di un utente il quale affermava che in Italia, a livello di musica pop, siamo tornati indietro agli anni 50, ovvero "siamo tornati all'epoca di Pat Boone". L'affermazione è da sottoscrivere in quanto, ora come allora, se escludiamo il fenomeno della Trap con annessi e connessi, le classifiche di vendita sono piene di cantanti innocui che raccontano di angosce sentimentali, apprezzati e approvati dai genitori e dai nonni (ahi) e quindi ritenuti adatti per la loro giovane prole (si parla di adolescenti). Insomma di artisti italiani che del pop ne fanno uno stato dell'arte o provano a dire qualcosa di originale, almeno per adesso sembra che non ci sia niente in vista (potreste obiettare che il panorama Indie-pop con personaggi quali Brunori Sas e Calcutta sia come una boccata di aria fresca, peccato però che i loro modelli di riferimento sono di quarant'anni fa, all’epoca dei cantautori, per intendersi) e tanto meno di apprezzabile per le mie trombe di Eustachio, quindi spero che mi scuserete se per l'ennesima volta devo andare indietro nel tempo per cercare un esempio di quello che era la ricerca artistica applicata alla canzone così detta "leggera".

Oggi parleremo di un disco uscito nel 1977 per opera di un musicista romano le cui gesta hanno un che di epopea leggendaria: sì, perché quando si parla di Enzo Carella ci troviamo di fronte all'epica misconosciuta della canzone d'autore italiana, di quella più immaginifica, quasi come fosse essa stessa inesistente o forse soltanto perché troppo in anticipo sui tempi. Carella quindi e "Vocazione" il disco in oggetto, o del trasformare in opera d'arte otto canzoni scritte in collaborazione con un altro personaggio che sembra uscito da un quadro di Magritte: Pasquale Panella.

Il surrealismo in parole che incontra la musica: ben prima di averci donato i capolavori realizzati insieme a Lucio Battisti, Panella entrò come una novità assoluta nel mondo della musica leggera italiana proprio con questo album, che a distanza di anni suona ancora moderno e rimanda al discorso che facevamo all'inizio; non un arruffianamento verso il pubblico ma una sana voglia di tirar dritto e di rivoltare come un calzino quella che era la musica di consumo di allora.

La title-track di per sé basterebbe per gridare al miracolo: ci troviamo di fronte ad un testo sonoro che si nutre di musica nera e rock cucito sopra le parole di Panella e impreziosito dal lavoro magistrale di Fabio Pignatelli dei Goblin al basso.

Ma il disco contiene altre perle, due su tutte: "Fosse Vero" e "Malamore", due canzoni dove la ricerca sonora va di pari passo ai calembour lessicali dei testi di Panella, un intrigante e incisivo sound permeato dal funk americano all'interno della melodia italiana, sì da far tesoro della lezione di Lucio Battisti. Altre suggestioni possiamo trovare nell'album, come ad esempio la fascinazione per le sonorità americane in quota Steely Dan e comunque in tutto il lavoro si respira un'aria che rifugge dai soliti luoghi comuni di cui era intrisa la musica leggera del bel paese degli anni 70.

"Vocazione" è stato e rimane uno degli album più belli e più importanti della musica popular italiana, anzi, della musica italiana tout court, sparito dalla circolazione troppo presto (non è mai stato ristampato in cd) ma che ad ogni nuovo ascolto accresce la meraviglia e lo stupore per sì tanta bellezza.