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REVIEWSLE RECENSIONI
27/04/2020
Trivium
What The Dead Men Say
Grazie a una Produzione con la “P” maiuscola e una composizione studiata in ogni dettaglio, “What The Dead Men Say” porta con sé esperienza, sperimentazione ed una continua maturazione all'insegna del miglioramento e della qualità.

Con una storia lunga più di vent'anni, iniziata quando i componenti erano poco più che adolescenti, i Trivium si confermano una delle band di ultima generazione più longeve. Da sempre molto criticati, perché ahimè ogni album (ed ogni novità) viene sempre visto attraverso il filtro di tutto ciò che è stato fatto tra gli anni '80 e i primi anni '90 da altri, il quartetto di Orlando è andato dritto per la sua strada e, incurante delle malelingue, è giunto fino a questo 2020 con il nono e attesissimo album.

Grazie a una Produzione con la “P” maiuscola e una composizione studiata in ogni dettaglio, “What The Dead Men Say” porta con sé esperienza, sperimentazione ed una continua maturazione all'insegna del miglioramento e della qualità. Dal 2003, anno in cui uscì il fortunato ed acclamato “Ember to Inferno”, ad oggi i ragazzi hanno saputo individuare i loro punti di forza e fatto leva su di essi, andando a migliorare sempre di più il pattern compositivo e lavorando sui cambiamenti dovuti all'inevitabile passaggio degli anni. Il lavoro più grosso è stato fatto sicuramente da Matt Heafy, di cui consiglio di seguire i profili social per le sue sessioni musicali extra Trivium, che ha studiato con intensità la sua voce, seguendone il percorso naturale e raggiungendo sfumature sempre più profonde e che perfettamente si adattano all'andamento dei brani. Notevole è il lavoro fatto da Alex Bent, giovanissimo batterista da poco entrato nella band, che ha disegnato una nuova linea dietro le pelli inserendo sonorità molto punk e poco metal, dando così movimento e velocità all'intera composizione.

L'album anticipato con una serie di uscite mensili dai singoli “Catastrophist”, “Scattering The Ashes”, a parer mio il brano più bello ed esaustivo di tutta la tracklist, e dal recentissimo “Amongst The Shadows And The Stones” che ancora deve essere assimilato da fan ed ascoltatori, è un viaggio in dieci pezzi tutti in salita che segna una nuova maturità.

I Trivium hanno saputo fare centro anche questa volta e per le sonorità intraprese all'interno di “What The Dead Men Say” sono certa che otterranno meritatissimi riscontri positivi anche da chi non ha saputo digerirli in questi anni. Il metal ha bisogno di giovani, il metal è un genere saturo, che è anche stufo di essere ricordato solo attraverso i soliti ed intoccabili mostri sacri, il metal ha bisogno di band come i Trivium, che nel silenzio e senza clamore mediatico, tirano fuori album su album senza mai ripetersi.


TAGS: FrancescaCarbone | loudd | recensione | Trivium | WhatTheDeadMenSay