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REVIEWSLE RECENSIONI
25/03/2021
Kings Of Leon
When You See Yourself
Tornano i Kings of Leon con “When You See Yourself”, un disco atmosferico e riflessivo prodotto nuovamente da Markus Dravs.

È solo di qualche settimana fa la notizia che Jimmy Iovine, uno dei più celebri e influenti produttori di tutti i tempi (Damn the Torpedoes di Tom Petty & The Heartbreakers, The River di Bruce Springsteen, Making Movies dei Dire Straits, Belladonna di Stevie Nicks e Once Upon a Time dei Simple Minds, solo per citarne alcuni), ha ceduto – ovviamente in cambio di una grandissima e non specificata somma – i proventi di tutti i suoi lavori alla Hipgnosis Songs Fund. Ebbene, uno dei primi che dovrà effettuare un versamento sul conto della società di Merck Mercuriadis è senza dubbio Markus Dravs.

Allievo di Brian Eno, al fianco di Coldplay e Arcade Fire (con i quali ha vinto un Grammy per Viva la Vida or Death and All His Friends e per The Suburbs), ma anche di Florence + The Machine e Mumford & Sons (altro Grammy, questa volta per Babel), Dravs nel corso dell’ultimo lustro ha stretto una solida alleanza con i Kings of Leon, dei quali ha curato la produzione sia del precedente WALLS sia di questo When You See Yourself. Entrambi lavori dove il produttore britannico ha riversato tutto ciò che ha imparato analizzando il rock da classifica firmato Iovine, capace di contaminare il rock americano con quanto di nuovo proveniva dall’allora scena post punk e new wave inglese, grazie a suoni di chitarra taglienti, un basso galoppante e, sullo sfondo, un discreto layer di tastiere.

Ecco quindi la ricetta (neanche tanto) segreta di When You See Yourself, ottavo album dei tre fratelli Followill (Caleb, voce e chitarra; Jared, basso; Nathan, batteria) più cugino (Matthew, chitarra), in tutto e per tutto una continuazione di quanto fatto di buono in WALLS (tanto che il lustro che separa i due dischi sembra di gran lunga inferiore ai tre anni intercorsi tra WALLS e il precedente Mechanical Bull). Unica differenza, un’atmosfera generale più oscura e meditativa, dettata sicuramente dalla pandemia da Covid-19, ma anche dal fatto che la band suona insieme ormai da più di vent’anni e il clan Followill per tre quarti è composto da padri di famiglia. Comprensibile, quindi, la voglia di alzare leggermente il piede dall’acceleratore ed evitare ogni accenno di edonismo, uno stereotipo rock che sui KOL – va detta la verità – è sempre sembrato forzato, anche a inizio carriera, quando venivano immortalati in patinatissimi servizi fotografici.

Molto probabilmente, i Kings of Leon sono una band che si è sempre sentita di mezza età, anche quando aveva vent’anni. E non è un caso che, ora che i Followill hanno quasi quarant’anni e non sono più costretti a replicare il successo di “Sex on Fire” e “Use Somebody”, si siano tolti di dosso il marchio di “nuovi U2” che ha ricoperto di eccessive aspettative Come Around Sundown e abbiano iniziato a pubblicare i loro album migliori. A cominciare da Mechanical Bull, primo disco dove hanno iniziato a perfezionare la loro attuale ricetta sonora, che prevede un sound ispirato ai gloriosi anni Ottanta di Tom Petty, ballate riflessive quasi lunatiche e pezzi rock dalla ridotta velocità di crociera, dove l’elemento drammatico prende il sopravvento sulla catarsi. Una ricetta che viene portata agli estremi in When You See Yourself, un album molto più notturno e riflessivo di WALLS, colonna sonora ideale per un viaggio in auto segnato più dall’introspezione che dalla fuga disperata e selvaggia, dove le canzoni fluttuano interconnesse una dopo l’altra, interrotte soltanto dai ritornelli e da qualche gancio melodico indovinato.

Ed è proprio questa la forza (e allo stesso tempo il punto debole) di dischi come When You See Yourself: da un lato sono lavori apparentemente impenetrabili, che vanno ascoltati soltanto quando si è certi di essere in perfetta sintonia con le atmosfere che si andranno ad affrontare, ma allo stesso tempo, se si è nella predisposizione di umore giusto, ogni sforzo viene ripagato con gli interessi e ci si ritrova felicemente ostaggio delle atmosfere sonore create dalla musica. È un miracolo artificiale, che con il tempo e gli ascolti può solo crescere in termini di intensità, reso possibile dal combinato disposto di ispirazione e mestiere.

Dopo il flop di Come Around Sundown (e il conseguente disastroso tour, che ha raggiunto vette degne di This Is Spinal Tap), i KOL hanno letteralmente preso per le corna la loro carriera con Mechanical Bull, mentre con WALLS hanno raggiunto il perfetto equilibrio tra l’urgenza e la passione che muoveva i primi lavori e la magniloquenza sonora che ha caratterizzato i dischi di maggior successo commerciale. Con When You See Yourself si confermano su ottimi livelli, raggiungendo il perfetto punto di equilibrio tra estro creativo ed esperienza, tanto da risultare – che piaccia o meno – una delle poche band veramente credibili dell’odierno panorama rock mainstream.


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