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REVIEWSLE RECENSIONI
05/12/2019
Marillion
With Friends From The Orchestra
I Marillion sono uno dei pochissimi gruppi di cui mi posso ancora definire fan. Che non vuol dire sostenerli sempre a prescindere, qualunque mossa decidano di compiere, ma comunque nutrire per loro un affetto che va molto al di là della loro effettiva portata storica e del peso che attualmente hanno nel panorama musicale.

Alla fine con loro è sempre la stessa storia: si ricordano tutti del periodo Fish, quando suonavano un Prog Rock forse fin troppo debitore a quello dei Genesis, ottenendo un successo commerciale enorme e rimanendo quindi marchiati a fuoco nella memoria collettiva.

Io do della loro storia una lettura completamente diversa: non ho mai amato troppo quei loro primi quattro dischi; di ottimo livello, per carità, ma fin troppo derivativi e poi, perdonatemi, lo stile canoro di Fish e il suo modo di proporsi non sono mai entrati nelle mie corde.

Per me i Marillion iniziano con Steve Hogarth (o h, come è simpaticamente chiamato da anni), cantante fenomenale, autore ispirato e frontman di grandissimo spessore, capace di donare alla band una nuova esistenza e di variare lo spettro sonoro delle sue composizioni, traghettandola verso un più ampio e generalista rock d’autore, che negli anni ha saputo declinarsi in infinite forme.

È una storia ormai trentennale (“Seasons End”, il primo disco con lui alla voce, è del 1989), che ha collezionato almeno due capolavori unanimemente riconosciuti (“Brave” nel 1994 e “Marbles” dieci anni dopo), una lunga serie di ottime prove e davvero pochissimi passi falsi.

Di tutto questo, “With Friends From the Orchestra” rappresenta forse il sunto più significativo e potrebbe anche essere un buon modo per i neofiti, di prendere confidenza con un gruppo dalla discografia altrimenti fin troppo vasta e disorientante. L’aspetto orchestrale nel sound della band britannica ha sempre avuto una certa preponderanza: se anche non l’hanno mai impiegato in full, diversi episodi della loro vicenda ne incorporavano in parte le sonorità e abbiamo sempre pensato che si sarebbero prestate ad una rilettura di questo tipo. Un passo in tale direzione era già stato fatto con l’ultimo disco in studio “F.E.A.R.”, che dal vivo era stato riproposto in alcune date con l’accompagnamento di un ensemble orchestrale (ne era uscito anche un dvd, registrato alla Royal Albert Hall di Londra).

Frutto di un periodo di pausa e della voglia di ritrovarsi tra amici, questo disco è semplicemente la riregistrazione di nove episodi del passato, con l’accompagnamento dell’orchestra. Il punto di forza principale sta senza dubbio nella scelta dei brani: si sono privilegiati alcuni di quelli più lunghi e cangianti, come “Ocean Cloud”, “This Strange Engine”, “The Sky Above the Rain”, che hanno accantonato il Progressive in favore di una proposta maggiormente all’insegna di atmosfere Art Rock. Fatta eccezione per il ripescaggio della bside “A Collection”, che è così finalmente disponibile in una pubblicazione ufficiale, il resto proviene tutto dai classici della band, titoli spesso e volentieri proposti dal vivo come “Estonia”, “Fantastic Place” o “The Hollow Man”, mentre un po’ più inusuale risulta la sola “Beyond You”, perla quasi dimenticata dall’ottimo “Afraid of Sunlight” del 1995.

Non c’è da dire molto, sul contributo dell’orchestra: si tratta di una mera sovrapposizione, l’aggiunta di un elemento in più, all’interno di brani già predisposti per essere arrangiati in questo modo e che dunque non vengono per nulla stravolti. Si tratta di una nuova interpretazione ma non di una rilettura: chi possiede alcuni dei numerosi dischi dal vivo che il gruppo ha rilasciato negli anni, non ci troverà nulla di particolarmente diverso. Semmai, gli archi conferiscono maggior enfasi ad alcuni passaggi ma per il resto si viaggia più o meno alla stessa velocità.

Dove starebbe, allora, l’utilità di tale lavoro? Chi conosce bene il gruppo vi troverà una raccolta di alcune delle sue più belle canzoni, in una versione diversa dall’originale e impreziosite dalla componente sinfonica; i neofiti che volessero avvicinarsi al mondo Marillion, come già detto, avranno a disposizione uno strumento nel complesso esaustivo; per tutti gli altri, ovviamente non c’è nulla di interessante. Questo disco non toglie e non aggiunge nulla a quanto già di ottimo Steve Rothery e compagni hanno fatto nella loro lunga carriera. Noi fan saremo a Padova e a Roma tra un paio di settimane, per il loro atteso ritorno in Italia.


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