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MAKING MOVIESAL CINEMA
14/12/2017
Diva
Una porta segreta?
Da un lato, non intendo rovinare la visione a chi ancora non conosca il film: dall’altro, mi pare poco saggio fornire chiavi di lettura.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

A scanso di equivoci per il lettore che potrebbe fermarsi alle prime righe: Diva è un romanzo e poi un film.

In ambito internazionale, se il secondo può annoverarsi fra i cult movie[1] il primo forse rientra nella categoria dei libri che richiederebbero maggior notorietà per essere di culto oltre le nazioni francofone[2].

Io scoprii il film, e poi del romanzo, ma entrambi in Inglese.

Lo vidi, due volte consecutive (in giorni diversi) in un cinema di Baker Street, a Londra, perché era recensito in Time Out[3]: allora bastava quello, non c’era internet eppure … Parlo di un 30 anni fa ben abbondanti.

Fui molto colpito da diverse scelte, intanto andava via come un videoclip, con colori anche sgargianti, ma con la grana e quindi la nettezza del film. Probabilmente notai nei titoli che era tratto da un romanzo, ma chi fosse quel Delacorta era davvero impossibile saperlo, del resto è lo pseudonimo di uno Svizzero: Daniel Odier.

Tempo dopo trovai il romanzo, tradotto in Inglese e “copertinato” in omaggio alla locandina del film (al momento ignoro dove sia la mia copia).

Di Delacorta lessi anche altro (questa la cronologia della “serie” fra il 1979 e il 1987: Nana, Diva, Luna, Lola, Vida, Alba.), ma Diva resta il suo titolo più famoso in ragione del film.

Come si arrivi dal libro, del 1979, al film, uscito nel 1981, lo spiega il regista, Jean-Jacques Beineix in un documentario[4] dedicato alla sua opera prima firmata in prima persona, da quasi trentacinquenne, come regista: una telefonata/proposta gli dice di leggere quel “polar”[5].

Sì, però occorre trovarla una copia: e Beineix gira per Parigi fra librerie chiuse e librerie sfornite finché  arriva, inevitabilmente verrebbe da dire, al Drugstore[6] di Saint Germain Des Pres (non esiste più, era nella piazza antistante la chiesa, a qualche decina di metri e un - mi pare -  incrocio da Lipp, celeberrima brasserie): ivi ne recupera copia.

Ma passiamo al film: caveat: il “rivale” di Beineix, Luc Besson, è più giovane di lui, e il film del secondo intitolato Subway (il più vicino a Diva come stile) è uscito nel 1985.

Da un lato, non intendo rovinare la visione a chi ancora non conosca il film: dall’altro, mi pare poco saggio fornire chiavi di lettura.

Pertanto, vi propongo una serie di miei pensieri a fronte di una visione integrale (ma suddivisa n tre giorni) contemporanea.

- La trama principale può dare un salto di battito cardiaco ai fan di cantanti donne (mi capitò).

- Protagonista: Jules: (nome che a me fa venire in mente Maigret) ricorda il personaggio di Antoine Doinel – in versione ventenne[7] – di François Truffaut. Mia impressione?

- Deuteragonista: Alba: una minorenne, è in effetti la co-protagonista della serie di Delacorta.

- Deuteragonista: Serge Gorodish, un uomo fatto, bon vivant (dandy?) fidanzato di Nadia, che in qualche modo opera anche come fratello maggiore di Jules.

- Fra Gorodish e Alba aleggia Serge Gainsbourg?[8]

- Senza volersi fregiare di cultura non sempre presente: al tempo “satori”, per i pochi che avevano udito la parola, poteva significare: o Jack Kerouac oppure i Bauhaus. Fate voi. Quello di Gorodish, di satori, è imburrare baguette.

- La scena di Jules e Alba fuori dal negozio di dischi strizza l’occhio alla passeggiata di Belmondo e Seberg[9] in A Bout de souffle?

- Il cattivo, noto come “Le curé” ricorda il cattivo dei puffi “j’aime pas” (“io odio”).

- In una Parigi livida al sorgere del giorno, le grandi statue operano come dioscuri protettivi.

AVVERTENZA

Per una volta pubblico un post che non risulta necessariamente concluso (ma non incompleto nelle parti sviluppate).

Prendetelo dunque come possibile prima stesura.

 

[1] Secondo la mia definizione è un film di cui non ci si stanca mai di vedere scene isolate, anche se talvolta la visione intera può risultare faticosa oltre le prime (senza quantificazione) volte.

[2] Mi permetto due esempi di traduzioni italiane: London Fields di Martin Amis e The Crypto Amnesia Club di Michael Bracewell. Il primo è poco noto nel nostro paese, in patria è acclamato; il secondo potrebbe essere un culto minore in Gran Bretagna, ma quante copie abbia venduto da noi francamente …

[3] Settimanale su tutto quanto capitava a Londra e anche un poco guida a ristoranti. Anni dopo arrivarono edizioni straniere e guide turistiche (ben fatte anch’esse, almeno inizialmente).

[4] Disponibile almeno nella versione in doppio DVD del film.

[5] Tecnicamente è un polar: “policier” più “noir”.

[6] Ecco, in Italia i drugstore alla parigina non ci sono mai stati; per la capitale francese sono stati (almeno due ne esistevano) fondamentali in termini teenageriali.

[7] In 5 film di Truffaut egli è protagonista: il più noto è Les Quatre Cent Coupes, ma in quel film Antoine Doinel (sempre interpretato da Jean-Pierre Léaud) è poco più che un bambino.

[8] In effetti, Gainsbourg e Jacques Dutronc furono ipotizzati per il ruolo.

[9] Rispettivamente Michel Poiccard e Patricia Franchini, protagonisti alla pari mi sento di dire del film: godardiano nella regia, truffautiano nella sceneggiatura.