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Jim Jarmusch/Neil Young - Dead man (1999)
Un film, un disco
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16/01/2018
Un film, un disco
Jim Jarmusch/Neil Young - Dead man (1999)
L’essenza del miglior film di Jim Jarmusch (sempre in bilico fra grottesco e ironia) è racchiusa in queste poche sequenze; una profonda e potente metafora sull’opposizione fra civilizzazione e cultura, tra ragione moderna e natura
di Vlad Tepes

“Every Night and every Morn

Some to Misery are born.

Every Morn and every Night

Some are born to Sweet Delight,

Some are born to Endless Night”

 

“Ogni notte e ogni mattina

Nascono alcuni alla rovina

Ogni mattina e ogni notte

Nascono alcuni al soave diletto

Nascono alcuni ad infinita notte”

 

Scena iniziale: William Blake (Johnny Depp), un giovane contabile, viaggia su un treno alla volta della città di Machine dove gli è stato promesso un lavoro; non lascia legami: i genitori sono morti, la fidanzata l’ha lasciato. Assieme a lui, goffo nei suoi abiti da cittadino ‘piedi dolci’, viaggiano dapprima panciuti borghesi, poi contadini, quindi dei cacciatori di pelli, rozzi e bruciati dalle intemperie; a mano a mano che ci si addentra nel cuore della tenebra, i compagni divengono più brutali. Dai finestrini si intravedono panorami desolati, carovane di pionieri distrutte, villaggi indiani in sfacelo ed abbandonati. Il fuochista del treno[1], annerito dalla fuliggine, entra nello scompartimento: si siede davanti al protagonista, gli predice la morte, poi si informa sulla sua provenienza, sulle speranze di lavoro. Le ultime parole del dialogo sono improvvisamente sovrastate dagli spari: i cacciatori cercano di abbattere dei bisonti tirando dal treno in corsa.

L’essenza del miglior film di Jim Jarmusch (sempre in bilico fra grottesco e ironia) è racchiusa in queste poche sequenze; una profonda e potente metafora sull’opposizione fra civilizzazione e cultura, tra ragione moderna e natura: una civilizzazione guidata da una ragione fredda e matematizzante, gravata dalla brama e dal possesso, unidirezionale, che anela al profitto attraverso la distruzione della vita e della bellezza[2]; e quelle di un mondo culturale alternativo, ma soccombente, ciclico e tollerante, dove vige l’immaginazione, la passione, l’assenza di leggi artificiose o vincoli morali, in cui, per dirla con il poeta William Blake (1757-1827), omonimo del protagonista e filo rosso della pellicola, “ogni cosa che vive è santa”.

Il treno è, come in Monsieur Verdoux di Chaplin, uno dei simboli più potenti di tale mondo spietato ove tutto è sfigurato dal piacere più laido e dal possesso, entrambi amplificati dalla geometrica potenza della meccanizzazione industriale; una perversione che sfocia nella brama fine a se stessa (i cacciatori uccidono per uccidere).

William Blake, però, è rifiutato da Machine: dopo l’incontro con una prostituta, uccide il figlio del boss locale (Robert Mitchum) e, benché gravemente ferito, fugge. Egli ha reciso i vincoli di sangue, ora continua a morire: rispetto alla follia della ragione. Dimentica il proprio passato, la propria individualità, gli occhiali (ora vede bene); elimina come un angelo della morte i rappresentanti dell’umanità malata di Machine, cacciatori, pervertiti, sceriffi, ciarlatani, frodatori; col sangue di un cerbiatto ucciso (ora suo pari[3]) si copre il volto di geroglifici di guerra.

Inizia un lento viaggio di purificazione: le forze della ragione cercano di riportarlo verso il regno del male; viene infatti braccato da tre bounty killer: il più feroce, Cole Wilson (Lance Henriksen), è un cannibale, simbolo di quel progresso che finisce per fagocitare se stesso (infatti ucciderà gli altri due compagni); la Natura lo attirerà nel proprio grembo come un figliol prodigo: simbolo di questo polo l’indiano Nessuno (che gli racconterà come, catturato e portato in Inghilterra, abbia finito per ammirare le opere del poeta omonimo). Tali due poli si annulleranno nel finale (Nessuno e Wilson si uccidono a vicenda): il vecchio William Blake, morente in una canoa indiana che si spinge al largo, ha espiato le sue colpe; terminati i riti lustrali, potrà ricongiungersi con lo spirito universale e rinascere alla vera vita.

Parafrasando la più celebre raccolta di poesie del poeta inglese, William Blake riconquista l’innocenza (natura, vita, sacro, istinto) e perde l’esperienza (inorganico, morte, dissacrazione, artificio).

Il miglior Neil Young dei Novanta accompagna questo magnifico rito di passaggio con sonorità rarefatte e psichedeliche creando “un capolavoro per lente saturazioni, arie sommesse e feedback relativamente controllati[4]”.

 

[1] Il fuochista fu il progetto embrionale del romanzo America di Franz Kafka. Il film è anche  una metafora del progresso americano.

[2] A Machine i fiori sono di carta, gli animali sono impagliati, le industrie Dickinson trattano metalli.

[3] In Ghost dog Forrest Whitaker elimina due cacciatori colpevoli d'aver ucciso un orso. “Nelle antiche culture” sentenzia il protagonista “l'orso è pari all'essere umano”.

[4] Webbaticy, Dead man