E’ inevitabile che chiunque prima o poi, nel corso della sua esistenza, si sia domandato come sarà l’ultima ora, il momento esatto, cioè, in cui tirerà le cuoia e andrà a mangiare, a tempo indeterminato, l’insalata dalle radici. A me succede. Non tanto spesso a dire il vero, ma talvolta la domanda da un milione di dollari, spunta inevitabilmente fra i miei pensieri da cazzeggio filosofico. Ultimamente, anche con una certa frequenza, dal momento che l’Inter, la mia squadraccia del cuore, si esprime con esibizioni pedatorie che inducono continui attacchi di panico e malevoli accessi tachicardici (e le mie coronarie da tabagista cronico col vizio dell’alcol e del gorgonzola, non ringraziano certo).
Sarebbe bello (ah, se fosse possibile!), scegliere come, o quanto meno dove, rendere l’anima a Dio (al quando, mentre scrivo mi accarezzo gli zebedei, nemmeno ci penso). E anche se questa in realtà è l’unica cosa sulla quale difficilmente possiamo fare previsioni azzeccate, amo prefigurare per me stesso lo scenario, molto Sturm Und Drang, di un mare che ruggisce sotto un cielo livido e carico di presagi, di un vento di salsedine che mi schiaffeggia il volto, di una paglia fra le dita, possibilmente farcita, e di un ultimo Jack Daniel’s, servito senza ghiaccio, of course.
Qui, però, siamo nel campo della pura speculazione fantasiosa, indotta anche da quella visone romantica con cui ciascuno di noi immagina (e vorrebbe che fosse) l’ultimo giorno della sua vita. Anche se immaginare non costa nulla, la vedo francamente difficile. Quello che invece si può fare, è lasciare adeguate disposizioni testamentarie per organizzare un funerale in grazia di Dio (o del demonio, vallo a sapere).
In primo luogo, ci terrei a non avere preti fra i coglioni, angeli e puttini che svolazzano sul cadavere come avvoltoi, aspersione di incensi, schiere di prefiche piangenti a snocciolare moccoli e rosari, e giaculatorie latine che fanno calare la palpebra anche al più addolorato dei congiunti. Insomma, gradirei una sobria cerimonia civile, senza grosse pretese, senza paludamenti, senza fiori del cazzo, che sono anche allergico, e senza crocefissi del malaugurio a rendere presbiteriana l’atmosfera.
Potete, invece, sventolare bandiere rosse e gagliardetti dell’Inter, e se volete, farvi un chilum in compagnia o tracannare birra ghiacciata, concludendo ogni sorso con rutti di apprezzamento. Un’immagine un po' rozza, questa, me ne rendo conto, ma che replicherebbe fedelmente gli scenari vissuti in quasi tutti i weekend della mia vita. Sappiate, peraltro, che io farei lo stesso al vostro di funerale, non certo per disprezzo, anzi: le cerimonie sono sempre una gran rottura di cazzo e, per renderle memorabili, bisogna essere capaci di movimentarle un po’.
In secondo luogo, ed è ciò che più mi sta cuore, pretendo una colonna sonora coi fiocchi. Su questo non transigo. Se parte l’Ave Maria di Schubert o il cazzo di Adagio di Albinoni, giuro che non solo mi rivolto nella bara, facendo venire a tutti gli astanti i capelli bianchi, ma verrò a tirarvi i piedi di notte, secula seculorum, rendendo il vostro meritato riposo un vero inferno. Fare un buona compilation è fondamentale, figuriamoci se è anche l’ultima che mi tocca ascoltare. Quindi, niente musica da esequie istituzionali, buona solo per scatenare la lacrimuccia o far venire la cecagna con tanto di bolla al naso, ma un po’ di sano rock.
Devo ancora preparare una scaletta adeguata (ritengo di avere ancora un po' di tempo), ma tre o quattro canzoni le ho già individuate. Inizierei con I’m Only Sleeping dei Beatles, che darebbe un bel tocco surreale, con la voce di John che sembra essersi appena svegliato e che invece, nella realtà, si era fumato un paio di cannoni. Poi, ancora Beatles. Direi, A Day In The Life, che soddisfa anche una certa enfasi commemorativa, senza tuttavia scadere nel banale. Farei seguire una classicissima Free Bird dei Lynyrd Skynyrd, non certo per la metafora assai abusata dell’uccello finalmente libero di volare, ma per quel cazzo di assolo chilometrico nel finale di canzone che sono anni che mi trasmette brividi adrenalinici (e magari sarebbe pure in grado di resuscitarmi, vallo a sapere). Un pezzo del Boss, ovviamente, non può mancare. Ci terrei ad ascoltare la mia canzone preferita, Racing in The Street, perché chiudere coi versi: “Stanotte l’autostrada risplende. È meglio che tu ci giri alla larga, amico, perché l’estate è arrivata ed è il momento giusto per gareggiare in strada”, dà bellissime sensazioni, blood brother.
Poche altre raccomandazioni. Niente cremazione e aspersioni di cenere in giro, perchè si inquina e poi francamente mi starebbe un po’ sui coglioni essere sparpagliato di qua e di là, tra Caronno Pertusella e Quarto Oggiaro. Sono ecologista, e se c’è una cosa buona nell’essere sepolti, è quella di ritornare alla terra, trasformarsi in humus e aiutare un fiore a sbocciare (questa l’ho trovata nei Baci Perugina). Quindi, voglio essere seppellito, non infilato in uno di quei loculi a tre metri d’altezza, che devi prendere la scala e rischiare l’osso del collo per venire a mettere due crisantemi (a proposito: al primo crisantemo che vedo, vi sputo direttamente dalla foto senza pensarci un secondo).
Una semplice lapide di pietra sarebbe l’ideale, magari con l'iscrizione di un verso di Jimenez che mi è sempre piaciuto molto: “Per ogni crosta di pan duro che Dio ti darà, tu dagli il diamante più fresco del tuo spirito“. In alternativa, se costa troppo l’iscrizione, mi accontento di una frase più breve, tipo “Juve merda”, che non si sbaglia mai e va sempre di moda. E a proposito di poesie. Se proprio non si può fare a meno di una pallosissima orazione funebre, leggete questa. E’ della grande Sylvia Plath e mi racconta benissimo, meglio di tanti ipocriti paroloni:
Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un'aiuola
ultra dipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.
Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
E dopo una breve cerimonia, tutti da me per un gran finale a base di salamelle, birra ghiacciata a badilate e un po’ di fottutissimo funky!
Siete invitati tutti, ovviamente. Appuntamento fra una cinquantina d’anni, più o meno. Siate puntuali, che mi stanno sul cazzo i ritardatari. Anche perché, se vi perdete lo spettacolo, diventa un casino organizzare una replica.